IN APERTURA DELLA SERATA “A SETTANT’ANNI DAL DISCORSO CON CUI FERRUCCIO PARRI INAUGURA LA CASA DELLA CULTURA”

16 marzo 2016

Ringraziamento a tutti coloro che hanno accettato l’invito. Al sindaco Giuliano Pisapia innanzitutto, che più volte ha sceso queste scale in questi anni, fin dai giorni della sua campagna elettorale: ci fa piacere che sia qui anche oggi, per il ricordo e il festeggiamento del nostro Settantesimo. Vediamo qui anche tanti altri amici: Giuseppe Sala, che ci ha chiesto di impegnarci nelle prossime settimane nella discussione sul futuro della città, Elena Lattuada, segretaria regionale della CGIL, Massimo Bonini, segretario della Camera del Lavoro, Filippo Del Corno, assessore alla Cultura, Sandro Antoniazzi, presidente della Fondazione San Carlo, Roberto Cenati, presidente dell’Anpi e tanti altri: a tutti un grazie di cuore. Abbiamo anche ricevuto tanti messaggi: lasciatemene ricordare almeno uno, quello particolarmente caldo e affettuoso del presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia.

Abbiamo preso sul serio questa ricorrenza: abbiamo promosso nelle scorse settimane tante iniziative (sulla “scuola di Milano”, il ciclo sull’illuminismo), altre sono in programma: verso fine maggio si svolgerà l’incontro su “Le donne e la Casa della Cultura”. Abbiamo scritto anche un libro (La porta rossa) per una storia ragionata di questi Settant’anni, dei rapporti della Casa della Cultura con la cultura italiana ed europea.
Perché tanto impegno? Per due buone ragioni
La prima: settant’anni sono tanti. Sono tantissimi per un circolo culturale. Nato nella stagione della Resistenza (nella clandestinità! Con l’incontro di Curiel, Vittorini e Banfi), ha attraversato tutta le turbolenti stagioni politiche e culturali della nostra vita repubblicana. Pensate quanti circoli culturali hanno chiuso i battenti in questi decenni: la Casa della Cultura continua la sua vita. Segno che le radici erano ben solide e che si è riusciti a farvi circolare linfa vitale.
Le seconda ragione: raggiungiamo i settant’anni, ma siamo in forma! In questo lungo periodo di tempo vi sono stati alti e bassi (probabilmente inesorabili). Ma dalle fasi di incertezza e involuzione la Casa della Cultura è sempre riuscita a risalire, proprio come un’Araba Fenice. Come dopo l’ultimo serio “intoppo” quando, per un improvviso cedimento strutturale, due anni e mezzo fa crollò il soffitto della sala. Fu un momento drammatico: vi fu il rischio concreto di chiusura. L’abbiamo affrontato e risolto di slancio: con un appello alla città per aiutarci a reagire e risorgere. La risposta dei cittadini è stata splendida: abbiamo trovato rapidamente le risorse, riparato il danno durante i mesi estivi, senza neppure una significativa interruzione della programmazione: segno di un legame profondo con la città e della volontà di Milano di continuare ad avere la “sua” Casa della Cultura.
Oggi (nel Settantesimo) possiamo presentare un biglietto da visita fatto di fervore di iniziative, di una robusta rete di collaborazioni tra gli intellettuali progressisti e di un rapporto vivo con i cittadini milanesi e con l’opinione pubblica della città.
Stiamo esplorando nuovi campi di iniziativa: le nuove frontiere della scienza e della tecnica (siamo un centro di cultura umanistica, ma oggi è impensabile una cultura umanistica che non si misuri con gli sviluppi dirompenti della scienza e della tecnologia); le arti espressive e quelle performative: pochi mesi fa abbiamo proposto “filosofie del cinema”, con una risposta sbalorditiva, che ha messo a dura prova le nostre strutture organizzative; abbiamo rilanciato la discussione sull’urbanistica e sull’architettura. Stiamo affrontando alcuni nodi del dibattito economico che sono sottovalutati o svalutati nel mainstream culturale, a iniziare da quello sui “beni comuni”.
Così pure stiamo cercando e sperimentando strade nuove anche per rinnovare la nostra proposta in campi consolidati, tradizionalissimi, come la filosofia, la storia, la psicanalisi, la poesia e la letteratura, sempre con lo sguardo aperto sull’Europa e sul mondo, per verificare se e come è possibile ricostruire un “canone”, trovare criteri interpretativi con cui orientarsi nella disordinata e caotica produzione culturale contemporanea.
Sulla questione, che continuiamo a considerare decisiva, della “cultura politica”, dopo lunga e attenta riflessione, abbiamo dato vita a una vera e propria “scuola di cultura politica”: 220 iscritti anche quest’anno, 1.200 in sei anni, un’operazione culturale che si sta trasformando in una nuova istituzione della vita culturale cittadina.
Il tutto accompagnato da uno sforzo continuo per confrontarsi attivamente con i cambiamenti della produzione culturale e della comunicazione e per usare al meglio le nuove tecnologie: abbiamo potenziato e trasformato il sito, ci siamo insediati nei social e abbiamo deciso di trasmettere tutto ( o quasi ) in streaming.
Soprattutto cerchiamo di ripensare e rinnovare i rapporti con i giovani, con i giovani studiosi (sentiamo l’urgenza di favorire l’emersione di una nuova generazione di studiosi!), con il pubblico dei giovani. Ed è stata per noi una bella e imprevista soddisfazione scoprire, grazie agli algoritmi di facebook, che abbiamo il picco di consenso tra le giovani donne dai 24 ai 34 anni!

Per presentare questo progetto abbiamo fatto ricorso a due immagini: “ritorno al futuro”, ovvero recupero dei motivi ispiratori della “prima casa della cultura”, quella originaria, di via Filodrammatici, quando poté sprigionarsi il progetto originario di Banfi e Vittorini. Con l’obiettivo, abbiamo aggiunto, – ecco la seconda immagine – di proporre “un’enciclopedia critica della contemporaneità”, dove penso sia evidente a tutti l’intento di fare vivere e mettere alla prova quell’ispirazione illuminista che ha lasciato un’impronta così profonda in questa istituzione.
Ma qual è il filo conduttore di tutto questo lavoro?
La ricerca continua di un equilibrio tra la coerenza con le radici, con i nostri valori di fondo e le esigenze di innovazione; detto altrimenti: l’equilibrio tra “resistenza” e progetto.
Il tema della coerenza, della “Resistenza”, torna con insistenza come motivazione profonda di chi anima questa comunità di ricerca: resistenza alla spettacolarizzazione, alla banalizzazione e impoverimento del dibattito pubblico, al prevalere delle suggestioni e delle semplificazioni, resistenza al pensiero unico e all’omologazione culturale. Per fare vivere, invece, lo scavo in profondità, la riflessività, il gusto dell’approfondimento, il pensiero critico.
Ma anche, ecco l’altro polo della questione, esplorazione a tutto campo dei tumultuosi cambiamenti in corso, confronto con e immersione nell’innovazione, ricerca delle nuove sorgenti della creatività culturale, curiosità verso le diversità, esplorazione delle possibilità che si possono intravedere.
Questa tensione tra l’ancoraggio ai princìpi e l’immersione nel nuovo è il vero e più profondo filo conduttore della nostra ricerca: un legame tenace e orgoglioso ai nostri valori, ma nel contempo il coraggio, l’apertura, la ricerca e la costruzione dell’innovazione.
Per questo abbiamo scelto la “Porta rossa” come simbolo di questa nostra istituzione e abbiamo intitolato “La signora in rossa” il docufilm per rendere omaggio a questi Settant’anni di storia: un messaggio simbolico semplice, chiaro, evidente.
Ma nel contempo lavoriamo tenacemente per rinnovare la nostra proposta culturale, per relazionarci con le aree vive e pulsanti dell’innovazione culturale – in Milano e non solo in Milano – , per ripensare in continuazione il nostro sistema di comunicazione, fino alla nostra ultimissima scelta: una rivista, un magazine, “viaBorgogna3” – appena uscito, da due giorni!, sul nostro sito – per usare le immense potenzialità della Rete per fare durare nel tempo e far vivere anche fuori da questa sala, anche lontano da Milano, quanto si discute e si elabora qui dentro.
Insomma – e concludo per cedere la parola a Giuliano Pisapia – in questo nostro Settantesimo possiamo dire che questa Casa della Cultura ha un bel passato di cui siamo orgogliosi, ma proprio per questo cerchiamo con tutte le nostre forze di fare in modo che possa avere anche un futuro che abbia la stessa dignità e lo stesso prestigio del suo passato.