IN RICORDO DI STEFANO RODOTÀ Un maestro, un interlocutore, un amico

stefano-rodota

Stefano Rodotà ci ha lasciati, ma il suo ricordo e la sua lezione ci accompagneranno ancora per tanto tempo.

Rodotà era un giurista insigne e un uomo di grandi passioni civili. Ha scritto libri che hanno lasciato un segno profondo nel dibattito pubblico, ha animato grandi battaglie per l’espansione e per la difesa dei diritti, ha insegnato a riflettere e a reagire ai rischi involutivi che può sempre correre la democrazia.

Era un pensatore profondo e raffinato ma anche un uomo che non si sottraeva all’impegno pubblico per difendere le sue convinzioni più profonde. In tanti sicuramente ricordano il suo impegno per il No durante l’ultimo referendum costituzionale.

Rodotà era un amico della Casa della Cultura. È stato nostro ospite tante e tante volte. Ha partecipato a decine di incontri con interventi sempre lucidi e appassionati: la programmazione della nostra “Scuola di cultura politica” è stata segnata e scandita dalle sue lezioni. In ogni occasione ha dimostrato anche generosità e disponibilità nel rapporto con il pubblico.

La sue lezione culturale dovrà essere seriamente riflettuta e meditata. Gli spunti sono tantissimi: si pensi solo alla densità delle riflessioni contenute in uno dei suoi ultimi testi: “Il diritto di avere diritti”. Sicuramente, aggiungiamo, dovrà essere ripreso e sviluppato il suo sforzo sistematico per mettere alla prova il diritto con le immense trasformazioni tecno – scientifiche dei nostri tempi.

Di lui ci restano anche i ricordi di tante, intense conversazioni personali: anche così ci ha trasmesso la sua lezione di stile, di rigore e di impegno appassionato.

FARE CULTURA IN UN GARAGE

capelli-fablab

Un garage, un gruppo di giovani appassionati di tecnologia e come sottofondo un rumore lieve ma continuo di stampanti 3D in piena attività. Non a Los Angeles o nella Silicon Valley, ma nella periferia di Milano, a due passi dalla fermata di Gorla della MM, in uno spazio di makers che hanno organizzato, nell’ambito del progetto “Rosetta”, un incontro culturale con Casa della Cultura e con cheFare.

Per la Casa della Cultura si tratta, senza ombra di dubbio, di una prima volta: in settant’anni non aveva mai partecipato a un’iniziativa culturale in un garage. Eppure questo appuntamento inedito, svoltosi ieri sera, 25 maggio, ha riservato molte interessanti sorprese e ha messo in circolazione tanti stimoli che meriteranno di essere riflettuti ed elaborati attentamente.

Innanzitutto questo incontro ci aiuta a scoprire una realtà poco conosciuta, il mondo dei “fablab” milanesi: luoghi dove è possibile costruire qualsiasi cosa con un mix di tecnologie digitali. Essi sono animati da giovani che amano la tecnologia e che partecipano a una rete internazionale di ricerca e di discussione.

Basta uno sguardo al laboratorio per afferrare il rapporto friendly che questi giovani artigiani alquanto atipici riescono a stabilire con le tecnologie digitali: esse, nelle loro mani, diventano un docile strumento per sviluppare la loro creatività.

La discussione che si svolge durante la serata apre anche una interessante finestra sulla cultura che sostiene questi gruppi: i giovani che li animano lavorano “assieme”, in uno spirito e in una dimensione comunitaria, rivendicando il diritto – dovere di “porte aperte” e di un continuo processo educativo.

In questo contesto sembra quasi naturale che la questione proposta alla discussione verta sulla disabilità e sulla città accessibile. Nella tavola rotonda organizzata nel mezzo del laboratorio, tra le stampanti che continuano a ronzare, si confrontano infatti Thomas Emmenegger, un primario psichiatra che ha fondato l’associazione Olinda, Maria Chiara Ciaccheri, impegnata nella progettazione del Museo per tutti, Carlo Riva, presidente di Làbilità e Matteo Schianchi, uno sportivo paraolimpico che ha scritto una Storia della disabilità. Lo spirito comunitario e il rapporto creativo con le tecnologie – viene argomentato – sono strumenti potenti per affrontare con spirito nuovo la difficile questione della disabilità: le storie di vita raccontate durante l’incontro hanno suffragato con qualche efficacia questa argomentazione.

Thomas Emmenegger ha chiuso brillantemente la discussione esplicitando la sua sensazione di essersi imbattuto durante la serata in un software che potrebbe essere di grande aiuto per rammendare le nostre periferie. A questa bella metafora, del tutto coerente con l’ambiente e con la discussione ospitata, potremmo aggiungere un’ulteriore considerazione: è buona cosa che la cultura raccolga gli stimoli che provengono da luoghi come questi, un mondo in cui pulsa vita e creatività giovanile.

IN RICORDO DI ALFREDO REICHLIN

ferruccio-capelli-reichlin

Dopo una lunga malattia, a 91 anni, Alfredo Reichlin, uno dei più autorevoli dirigenti comunisti, ci ha lasciato. Era studente liceale al Tasso di Roma quando diventa partigiano e partecipa alle azioni militari dei Gap romani. Dopo la guerra comincia l’attività giornalista all’Unità, giornale di cui diventerà direttore nel 1956: sono gli anni di un rapporto intenso con Togliatti e con Pietro Ingrao. Nel ’63 viene inviato a dirigere l’organizzazione di partito della sua regione, la Puglia. Rientra a Roma e diventa, dai primi anni Settanta, uno dei più stretti collaboratori di Berlinguer. Dopo la fine del Pci accompagna tutte le trasformazioni successive del partito, accompagnandole con interventi via via sempre più inquieti fino all’ultimo accorato articolo di pochi giorni fa in cui – come in un testamento – invita a “non lasciare la sinistra sotto le macerie”.

Con Reichlin la Casa della Cultura ha interagito molto in questi ultimi anni. Abbiamo interloquito con la rivista milanese che dirigeva, “Argomenti umani“, e abbiamo presentato i suoi due ultimi libri: “Il silenzio dei comunisti” – scritto con Miriam Mafai e con Vittorio Foa, e “Il midollo del leone“. In quest’ultima occasione all’ultimo momento aveva dovuto declinare la partecipazione per un ricovero in ospedale. Ci eravamo detti: ci vedremo alla prossima occasione. Quest’opportunità non ci sarà più.

Ricordiamo Reichlin come un politico colto: era parte di una generazione di dirigenti politici per cui era impossibile pensare alla politica senza lo studio, la ricerca, la riflessione approfondita. Era un brillante oratore: discorsi eleganti, non retorici e non urlati. Alfredo Reichlin aveva anche il dono di una scrittura scorrevole ed efficace, il che accresceva l’autorevolezza ai suoi scritti. Anche nei suoi saggi storici vi sono pagine di splendida finezza. Mentre scrivo queste note mi viene in mente come evoca una notte romana del giugno 1944, la prima notte di libertà della sua città. Quella pagina suonava all’incirca così: “In quel condominio popolare romano era l’ora della cena: ognuno mangiava a casa sua con i vetri aperti per il gran caldo. Improvvisamente da una finestra cominciano ad uscire le note di un vecchio inno sepolto per vent’anni: una voce aveva intonato l’Internazionale. Tutti gli inquilini, donne e uomini, si affacciano alla finestra e con gli occhi inumiditi dalla commozione accompagnano quel canto struggente”. La vita dell’Italia libera comincia così, con la memoria profonda che recupera e ripropone un vecchio glorioso inno interdetto per oltre vent’anni.