INTERVENTO ALLA TAVOLA ROTONDA: EUROPEISMO DELLE IDENTITÀ E DELLE DIFFERENZE

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Forum Europeo di Psicoanalisi
Amore e odio per l’Europa – Forum di Milano
Sabato 16 febbraio 2019, presso l’Aula Magna
dell’Università Statale DI Milano

A conclusione del convegno: Amore e odio per l’Europa, convocato presso l’aula magna dell’Università statale dall’associazione internazionale dei lacaniani – milleriani il 16 febbraio 2019

 

1 – Il titolo del convegno – Amore e odio per l’Europa – esprime magnificamente le passioni estreme che si stanno condensando in Europa e che, fra l’altro, danno un sapore inedito all’ormai prossimo rinnovo del Parlamento Europeo.

Queste due passioni estreme sembrano coesistere, anche se di questi tempi vi è una tendenza prevalente: dall’amore per l’Europa si è passati al disagio, all’insofferenza, perfino all’odio. Questo slittamento nell’umore pubblico si tocca con mano soprattutto in Italia, fino a pochi anni fa il paese con i più radicati sentimenti europeisti (l’Europa era vista come l’estrema ancora di salvezza rispetto alle incertezze delle classi dirigenti italiane), oggi governato da due formazioni populiste che nella campagna elettorale hanno esasperato i toni antieuropeisti, sia come polemica contro la casta europea sia come rivendicazione sovranista.

 

2 – Altre volte nella storia dell’Europa moderna gli umori sono cambiati bruscamente. All’Europa illuminista è subentrata, dopo le guerre napoleoniche, l’Europa romantica nella quale si sono costruite e assestate le principali nazionalità europee.

Verso la fine dell’Ottocento l’Europa sembrava avere imboccato una nuova era di pace, la Belle Epoque per l’appunto. Un momento storico affascinante, ma che si rivelò fragile ed effimero: quei quarantacinque anni di pace furono possibili perché le tensioni intraeuropee erano scaricate nella conquista imperiale del mondo. Quando, conquistato il mondo intero, si dovette decidere quali fossero le potenze dominanti in Europa si precipitò nella moderna “guerra dei trent’anni”, in quei due terribili conflitti globali nati proprio qui, nel cuore del nostro continente.

Dopo la seconda guerra l’Europa sembrò avere appreso la lezione: le frontiere vennero gradualmente abolite, vennero inventate – primi nel mondo- istituzioni nuove, sovranazionali. Dal Mercato Comune alla CEE fino all’Unione Europea, cui aderivano, prima della Brexit, ben vent’otto paesi. Oggi sembra un sogno sfocato: la più coraggiosa innovazione politica del dopoguerra ora sta scricchiolando in modo inquietante.

 

3 – Perché questo rigetto? Molti sostengono che si tratta delle conseguenze della “grande crisi economica”, di quella crisi a doppia tornata, che in Europa ha colpito prima nel 2008 e poi nel 2011. Questione serissima: l’Italia non ha ancora recuperato i livelli economici precedenti alla crisi. Per di più la gestione europea della crisi è stata quanto meno discutibile: è indubbio che nel 2011 la Germania (e i paesi ad essa più strettamente collegati) hanno imposto una “austerità” che sarebbe stato saggio evitare. Aggiungiamo che da troppo tempo una parte troppo grande di cittadini non migliora la propria condizione: molti anzi, soprattutto i più giovani, avvertono uno slittamento all’indietro delle proprie condizioni di vita.

Eppure questa spiegazione non è esaustiva. Gli scricchiolii non nascono solo nei paesi economici in sofferenza: si avvertono anche in paesi in pieno boom (si pensi alla Polonia) e anche altri che hanno saputo reagire prontamente al doppio colpo del 2008 e del 2011.

Per di più sintomi del tutto analoghi a quelli che scuotono l’Europa stanno dilagando in paesi non europei. La presidenza americana di Trump, il fatto politico più sconcertante dei nostri tempi, ci esonera da quell’osservazione che tante volte nel passato è uscita dalla nostra bocca: “queste cose in America non succedono”. Succedono anche in America, purtroppo, perfino di peggio. Per non parlare poi di una vicenda scioccante come quella del Brasile: un grande paese che elegge Presidente un nostalgico dei “gorilla”, un uomo che in campagna elettorale ha rivendicato il diritto non solo a torturare ma anche a uccidere gli avversari.

 

4 – Cosa sta accadendo? Di certo qualcosa di maledettamente serio.

L’ipotesi interpretativa che vorrei proporvi è che negli ultimi trent’anni la globalizzazione, lo sviluppo impetuoso della scienza e della tecnica e l’ideologia neoliberale – i tre processi dominanti degli ultimi decenni – hanno impresso un’accelerazione vertiginosa ai cambiamenti, hanno determinato “una nuova grande trasformazione”. Ma il tutto è avvenuto senza alcuna cabina di regia, al traino di una crescita tumultuosa dei mezzi che ha reso evanescente, perfino cancellato, ogni finalità.

Nell’insieme si è innescato un cocktail micidiale di cambiamenti che oggi a tante, troppe persone sembra sfuggito a ogni controllo. Il lavoro, la comunicazione, lo spazio fisico, la vita delle persone hanno iniziato a cambiare a ritmi vertiginosi; l’innovazione è diventata inarrestabile anzi: ognuno è sollecitato a immergersi e a portare il proprio contributo all’innovazione continua. Ci sente scagliati dentro un vortice di cambiamento, gettati nel futuro, ma un futuro che appare indecifrabile: un “futuro addosso”, come ho titolato il mio ultimo lavoro.

Il futuro incombente genera nostalgia: un sentimento oggi diffusissimo. Retrotopia, ha scritto Baumann in un suo libretto postumo. Siamo in tempi di nostalgia, ovvero in tempi neoromantici. In estrema sintesi: è esplosa la percezione del tempo e dello spazio. Ecco perché torna, prepotente, il tema dell’identità, la questione che avete giustamente proposto per questa tavola rotonda finale.

 

5 – Ragioniamo attentamente. Il sogno universalistico dell’Europa unita, delle frontiere aperte, di diritti uguali per tutti sembra in ritirata. In tutti i paesi ci si confronta con un’opinione pubblica incerta, inquieta, che cova sentimenti di rabbia e rancore che possono esplodere in ogni momento: si pensi ai “gilets jaunes”.

È in questo contesto generale che sta emergendo e dilagando il richiamo a identità particolari, alle identità nazionali innanzitutto – ecco il ritorno dei nazionalismi, detti sovranismi in polemica con il potere sovranazionale dell’Europa -, alle identità subnazionali (la Catalogna e, contrapposto ad essa, la rabbiosa risposta del voto andaluso), oppure alle comunità etiche (in Italia: la “comunità degli onesti” contrapposta alla casta, alle élites tradizionali).

Da dove viene tutto ciò? Capirlo non è facile: probabilmente è opportuno innovare con coraggio le stesse categorie interpretative. A me sembra che le persone si sentano immerse in processi che stanno scuotendo la loro vita quotidiana, che alterano e compromettono le relazioni con gli altri, che percepiscono come una minaccia.

Tre fenomeni, soprattutto, mi sembrano decisivi: la disintermediazione, la solitudine involontaria, lo spaesamento. La disintermediazione è il fenomeno tipico dei nostri tempi: sospinta dal digitale, essa diffonde l’illusione dell’onnipotenza dell’individuo mentre, in realtà, smontando i tessuti organizzati della società, ne accentua la fragilità e l’esposizione al rischio. La solitudine involontaria, antica questione segnalata dai filosofi morali come il peggiore castigo per gli esseri umani, si sta diffondendo in profondità, erodendo il tradizionale tessuto della solidarietà sociale. Terzo, non meno importante: lo spaesamento, ovvero la difficoltà di orientarsi in una mole crescente di stimoli e di informazioni cui non corrispondono adeguati strumenti di decodifica.

Di tutto questo ci ha parlato due, tre anni fa Ken Loach in un film bellissimo, premiato con la Palma d’oro a Cannes, “Io Daniel Blake”. Il film parlava di un falegname di mezza età, Daniel Blake, che non riusciva più a orientarsi in un mondo dove tutto stava cambiando con tanta rapidità. La sua professionalità, le sue competenze improvvisamente erano svalutate: il mondo circostante si era fatto ostile, respingente. Ciò che prima era lineare e afferrabile si era fatto complicato e ambiguo: per ovviare alla disoccupazione viene indirizzato ai centri per l’impiego, strutture burocratiche che si rivelano per lui una trappola mortale.

Per tante persone la realtà quotidiana comincia ad assumere una dimensione ambigua, sfuggente, perfino minacciosa. Di certo non è la prima volta che accade. Pensiamo al modo come si è evoluta la percezione dello straniero tra gli antichi. Lo straniero veniva chiamato hostis, l’ospite, ma a un certo punto questa stessa parola assunse anche un significato diverso, l’ospite belligerante. Un passo ancora e l’hostis divenne il nemico. Lo straniero divenne a un tempo ospite e nemico. Questa ambiguità si produsse molti millenni fa, ma qualcosa del genere si sta riproducendo anche sotto i nostri occhi.

Freud nel 1919 introdusse un concetto che a me sembra meriti di essere richiamato, l’unheimlich, il perturbante. Qualcosa che ci è noto e familiare, ma che nel contempo suscita inquietudine, paura, perfino spavento. Mi chiedo se quello che sta accadendo attorno a noi (la disintermediazione, la solitudine involontaria, lo spaesamento) non stia trasformando la realtà quotidiana, ciò che ci è noto e familiare, in qualcosa di fastidioso, urtante, minaccioso. Come se il perturbante, l’unheimlich, fosse entrato prepotentemente nelle nostre vite.

 

6 – La spinta identitaria, ovvero la ricerca di protezione e di scurezza attraverso identità nettamente definite, viene cavalcata dai movimenti e dalle formazioni populiste. I populismi sono tanti e diversi tra di loro (ne ho classificati sei: i nazional – populismi, i populismi identitari, i populismi patrimoniali, i populismi dell’antipolitica, i populismi mediatici e quelli per contagio), ma vi sono tratti ben precisi che li accomunano. Uno soprattutto merita di essere richiamato, perché fra tutti il più pericoloso: i populismi, tutti, senza eccezione alcuna, si affermano sulla base dell’identificazione con un leader supremo, incontrastato.

Una folla di uomini soli, privi di solidi ancoraggi sociali e politici, senza più corpi intermedi cui appoggiarsi, tende a consegnarsi nelle mani di leader autoritari, venditori di parole d’ordine semplici e urlate, ripetute con imperterrita insistenza a dispetto di ogni argomentazione razionale.

Il fenomeno è stato individuato a suo tempo, nel 1921 (attenzione alle date!) da Sigmund Freud in un saggio (“Psicologia delle masse e analisi dell’io”) che di questi tempi mi capita di citare in continuazione. Si tratta del fenomeno più inquietante di questa stagione populista, perché esso può innescare pericolose derive autoritarie.

 

7– Non sarà semplice contrastare queste spinte identitarie e le connesse pulsioni populiste. Gli scricchiolii dell’Unione Europea stavolta sono maledettamente seri.

Ci attende una battaglia difficile e complessa. Per correggere alcune storture dell’Unione Europea stessa: l’accento negli anni passati è stato messo troppo sulla costruzione del mercato europeo. Serve mettere in circolo un’altra idea di Europa: un’Europa sociale e solidale, più attenta alle disuguaglianze sociali e territoriali, un’Europa più democratica perché più permeabile e sensibile all’inquietudine e al disagio sociale.

Ma a monte vi è un’altra questione, proprio quella proposta nel titolo stesso di questa tavola rotonda, ovvero “identità e differenze”. Bisogna trovare la forza di rimettere in circolo l’idea di un’Europa animata e sorretta da valori universalistici nella quale possa sopirsi il cozzo tra identità chiuse, in urto rancoroso e rabbiose le une con le altre; un’Europa nelle quali le differenze siano rispettate e valorizzate come un punto di forza; quell’Europa che per prima ha tentato di fare vivere l’“universalismo delle differenze”.

Un’Europa aperta, inclusiva, rassicurante: il luogo migliore per fare vivere quell’idea di humanitas che è stata pensata proprio qui, nel nostro continente. L’umanesimo è il vero orizzonte europeo. Il cuore della nostra battaglia culturale è un “nuovo umanesimo”, o meglio in simili frangenti preferirei parlare di un “umanesimo tragico”, un umanesimo consapevole delle tremende contraddizioni, dell’asprezza dello scontro che lo attende.