PERCHÉ RITORNARE A LEGGERE MARX

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Ho accettato l’invito di Carlo Monti a discutere di Marx non senza qualche preoccupazione. Marx è un autore che conosco bene, eppure questa richiesta mi ha reso un po’ inquieto. Forse perché è da tanto, tanto tempo che ci sono solo rarissime occasioni per discutere pubblicamente di Marx, oppure ancora perché, nel momento stesso in cui Carlo mi ha avanzato questa richiesta, ho realizzato che avrei dovuto fare lo sforzo di parlare di Marx in modo diverso rispetto al passato. E parlare di un grande autore in modo diverso è, pur sempre, una sfida e un impegno non da poco.

Marx, il marxismo, hanno dominato la discussione pubblica negli anni sessanta, settanta. Poi, a un certo punto, c’è stata una brusca cesura: su Marx e sul marxismo è calata una coltre di silenzio. Interrotta solo, ogni tanto, da qualche contumelia. Vi fu un episodio editoriale che riassume sinteticamente questo passaggio. La Casa editrice Einaudi iniziò, verso la fine degli anni Settanta, la pubblicazione di un’impegnativa storia del marxismo. Il primo volume, uscito alla fine del decennio, ebbe un grande successo. Gli altri, che uscirono subito dopo, al passaggio del decennio successivo, furono un drammatico flop editoriale: Marx, da un momento all’altro, non interessava più nessuno.

In realtà l’oblio di Marx e la rimozione, per non dire la condanna, del marxismo hanno emblematizzato il brusco cambio di paradigma culturale che si verificò agli inizi degli anni Ottanta: una pietra tombale scese sulle ideologie che avevano animato il movimento operaio e i movimenti delle classi oppresse nel mondo: si stava entrando, a passo di corsa, nel nuovo mondo neoliberale. Un attimo ancora ed eravamo entrati nell’epoca della globalizzazione neoliberale, che ebbe la sua sanzione e suo trionfo con il passaggio cruciale dell’89, quel vero turning point della storia globale: il crollo del muro. Da quel momento Marx era il passato: anzi, nella nuova ideologia dominante, Marx il passato da rimuovere, anzi da condannare aspramente come ispiratore di un mondo crollato, scomparso: il socialismo reale.

Ma perché si verificò questa abiura? Cosa erano stati Marx e il marxismo?

Il pensiero di Marx, la sua filosofia, ebbero fin dall’inizio, fin dalla metà dell’Ottocento, un destino assai particolare quale non ebbe nessun altra filosofia: il pensiero di Marx, il marxismo furono il punto di riferimento, l’ideologia di riferimento (ideologia è qui un termine voluto: la visione del mondo) dell’emersione sociale e politica delle classi oppresse, del movimento della classe operaia, dei partiti e dei sindacati che costituirono l’ossatura del movimento operaio, del protagonista decisivo della seconda metà dell’Ottocento e di larga parte del Novecento. Il marxismo rappresentò la visione del mondo che dava un senso, una prospettiva, al movimento operaio: presentava una visione della storia che ne esaltava la funzione (la classe operaia soggetto storico del cambiamento), offriva una visione dell’uomo che contrastava sia il nichilismo che la passività subalterna. Insomma, il pensiero di Marx, ebbe grandiosi effetti politici. Si immerse nelle lotte e nella realtà del mondo e inesorabilmente ne uscì trasformato. Vi fu il marxismo (anzi: i marxismi) dell’Occidente, vi fu il marxismo prevalente in Russia e quello che prevalse in Cina, vi fu il marxismo dei paesi in lotta contro il colonialismo: varietà assai diverse fra di loro.

Nel blocco sovietico divenne addirittura la dottrina ufficiale del socialismo reale: la vita pubblica era dominata dal marxismo – leninismo. Quel pensiero, trasformato in ideologia chiusa, dogmatica, intransigente, era diventato qualcosa di simile a una religione ufficiale, di regime, ed era l’unica espressione culturale ammessa in quei paesi. In quella formulazione, chiusa, ripetitiva e dogmatica, della tensione critica di Marx, della sua ispirazione originaria, restava ben poco. Eppure il nome era quello: marxismo – leninismo. E, allora, non è difficile capire perché la paralisi prima e poi il crollo del socialismo reale erano destinati a travolgere anche il marxismo. Marx e il marxismo furono identificati con quel fallimento: oblio e condanna scesero inesorabilmente sul marxismo e sul grande pensatore di Treviri.

Per di più, non scordiamocelo, quegli anni, gli anni Ottanta, coincisero con i primi segni di indebolimento del movimento operaio anche nei paesi occidentali. È una storia che noi ben conosciamo. IL passaggio dal fordismo a nuove modalità produttive, l’irruzione delle nuove tecnologie, il mutamento radicale del lavoro. Sono fenomeni che provocarono la crisi, e nel giro di un paio di decenni, la rapida dissoluzione del movimento operaio: dei suoi partiti, dei suoi sindacati, dell’idea stessa che il movimento operaio potesse essere la forza decisiva per la trasformazione sociale.

Per Marx cominciò la lunga stagione – quasi quarant’anni – della damnatio memoriae e dell’oblio. Pochi gruppi di studiosi – Vittorio Morfino rappresenta assai bene uno di questi – cercarono tenacemente di farlo vivere, di rinnovarlo. Un’azione controcorrente, mentre tutt’attorno imperversava la nuova ideologia dominante, quel neoliberalismo che nelle sue diverse forme, da quelle più o meno progressive fino a quelle più esplicitamente e più duramente conservatrici e reazionarie, si è trasformato nel main stream, in quello che è stato efficacemente definito il pensiero unico dominante.

Fino a che, in tempi recenti, qualcosa ha iniziato a muoversi. Lentamente Marx ha cominciato a riapparire nelle librerie, sono apparsi nuovi studi, nuovi libri: di Marx si è tornato a ragionare. Il 2018 era il bicentenario della nascita: non è passato in silenzio. Marx e il suo pensiero sono tornati ad essere una presenza con cui fare i conti. Di Marx si torna a ragionare, come facciamo noi stasera.

 

2 – Marx ritorna trascinato dall’onda lunga della crisi. Non solo crisi economica: quella crisi che un po’ tutti avvertiamo, crisi dell’Occidente per l’emersione di nuovi popoli, per l’impatto con le altre culture, per la crisi demografica, crisi del rapporto uomo – natura come dimostrato dal riscaldamento climatico e dai sempre più frequenti fenomeni metereologici estremi, crisi di un modello di sviluppo costruito in Occidente ed esportato nel mondo intero. È nel mezzo di questa crisi che si sente il bisogno di tornare a ragionare a ragionare sui classici. Ecco allora il pensiero di Marx: quel pensiero che più di ogni altro ha scavato sulle contraddizioni di questo modello di sviluppo.

Si tratta di una lettura e di un recupero non semplice. Che deve passare attraverso la ripulitura di tante cose caduche. Pensiamo alla sua filosofia della storia, a quell’idea idea, che ebbe tanto peso nel passato, che lo sviluppo delle forze produttive avrebbe provocato la crisi irreversibile del capitalismo, che era prevedibile il passaggio dal capitalismo al socialismo e che al proletariato era assegnato il ruolo di affossatore del capitalismo: tutte cose che oggi appaiono lontanissime, cose di un’altra epoca storica … Come tutta la discussione sulla scientificità del marxismo: tutto passato …

Ma c’è qualcosa del suo pensiero che torna potentemente a mordere. Qualche volta ne trovate traccia anche nei commenti giornalistici: molti hanno ricordato la celebre previsione del Manifesto: “tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria”, oppure ancora: la previsione che il capitale avrebbe afferrato tutto il globo … Previsioni potenti: nessuno come Marx seppe vedere il movimento del capitale e seppe prefigurare quella che oggi chiamiamo globalizzazione …

Ma c’è dell’altro. Vorrei cercare di metterlo a fuoco focalizzando tre nodi, quelli che hanno spinto me personalmente alla rilettura e al ripensamento di Marx.

Prima questione: da tempo ho avvertito l’esigenza di mettere al centro della mia riflessione il nodo di un nuovo umanesimo. Le ragioni di questa ricerca penso siano abbastanza intuitivi: siamo immersi in processi gravi di disumanizzazione e avvertiamo, in tanti, l’esigenza di mettere su basi serie la riflessione su un nuovo umanesimo. Nella storia, questa è la prima cosa che ho messo a fuoco, vi sono state tante forme diverse di umanesimo, ovvero tanti modi diversi di porre il problema della libera espressione della creatività e della libertà umana. Il problema è pensare un umanesimo per questa nostra epoca segnata dalla globalizzazione neoliberale e dallo sviluppo impetuoso della scienza e della tecnica.

È nel vivo di questa ricerca che ho riscoperto la radicale spinta umanistica che animò il giovane Marx e che mi appare oggi di straordinaria potenza e attualità. La sua ricerca muove da una scoperta decisiva: che al fondo di tutta l’attività economica, alla base di ogni cosa, di ogni prodotto, di ogni merce che viene nelle nostre mani, vi è l’attività umana, il lavoro degli esseri umani. Questo lavoro nel rapporto sociale capitalistico viene sottratto agli esseri umani: diventa lavoro estraniato, oggettivato. Il frutto del lavoro umano e l’uomo che l’ha erogato vengono separati, fino al punto che il frutto del lavoro, le merci, cominciano a contrapporsi all’uomo stesso. Questo svelamento, questo disoccultamento, è il nucleo essenziale del pensiero di Marx: tutta la sua produzione culturale è finalizzata a realizzare le condizioni di una riappropriazione da parte degli esseri umani del frutto della loro attività. Marx precisa che questa riappropriazione non può avvenire da parte di singoli individui, ma da parte dell’uomo sociale, ovvero degli uomini che collaborano tra di loro.

Il giovane filosofo, in alcuni passaggi di grande forza, annota che il rapporto con l’uomo è immediatamente il rapporto dell’uomo con la natura e che l’umanismo si identifica con il naturalismo. L’umanesimo possibile è la ricostruzione del rapporto con la natura. Potremmo dire che è l’apertura di una radura dove l’uomo – insisto: l’uomo – realizza, vive, colloca nell’esteriorità del vivere la ricchezza della sua intelligenza, della sua riflessività, della sua sensibilità. Il problema è come ridare all’essere umano la possibilità di esprimere liberamente le sue relazioni con il mondo umano, sociale, naturale.

Si tratta di un progetto umanistico radicale: esso attraversa tutta l’opera di Marx. Aiuta anche a noi a capire come è potuto accadere che il frutto del nostro lavoro e della nostra intelligenza incominci a ergersi minaccioso contro di noi, come è stato possibile che il nostro modello di sviluppo abbia generato – con il riscaldamento climatico – minacce alla nostra stessa sopravvivenza come specie umana, come sia possibile che gli sviluppi impetuosi della scienza e della tecnica ci possano apparire fuori controllo.

Penso che per costruire il progetto di un nuovo umanesimo avremo bisogno di attingere a larghe mani a queste straordinarie intuizioni. Ovviamente si tratta di un lavoro che deve essere fatto con sapienza e duttilità critica. Oggi ci appaiono chiari alcuni limiti del suo sguardo penetrante: la sua previsione dello sviluppo era troppo lineare, non riuscì a intuire la straordinaria complessità che avrebbe raggiunto lo sviluppo capitalistico. Dovremo fare interagire con il suo pensiero altre sorgenti culturali: ma di certo nel pensiero di Marx c’è una spinta potente al riconoscimento della nostra comune umanità.

Seconda questione: mi sto interrogando, come tanti, sulla crisi della nostra democrazia. Di questi tempi accadono cose davvero sorprendenti: un grande paese come il Brasile elegge come Presidente un autentico imbecille come Bolsonaro, un nostalgico dei gorilla militari e nel contempo asservito al peggiore capitalismo di rapina. Una specie di nuovo Nerone che sta divertendosi a bruciare le sue foreste. Come è possibile che i cittadini lo abbiamo scelto? Perché in tanti paesi del mondo, dagli USA alla Russia di Putin, dall’India di Modi al Pakistan di Khan, a tanti paesi europei i cittadini rovesciano i loro consensi su “uomini forti”, che si presentano come uomini soli al comando, sprezzanti delle regole democratiche? Perché la democrazia tende a trasformarsi in democratura, in democrazia è illiberale? Insomma, perché dilagano i populismi?

Tutta la mia ricerca da tempo ruota attorno a questa domanda. Le risposte non sono semplici. Ed è in questa ricerca che, nuovamente, ho riscoperto riflessioni decisive di Marx, anzi: del giovane, giovanissimo Marx. Penso a un libretto straordinario scritto da Marx all’età di venticinque anni: La questione ebraica. In quelle pagine Marx scruta e denuncia i limiti strutturali della democrazia, ovvero l’uguaglianza formale dei diritti cui non corrisponde l’uguaglianza nella vita reale. Uguali nel cielo dei diritti; diversi nella vita economica e sociale. Marx coglie qui il nodo di un limite strutturale della democrazia: l’emancipazione, continua, non può essere solo politica, deve essere anche emancipazione umana.

Mi chiedo se qui non stia la chiave più illuminante per ragionare sulla rivolta populista contro le élites. Per altro, aggiungo, in alcuni lavori di Marx, questo autore spesso accusato di gretto e banale determinismo economico, si trovano alcune degli spunti più efficaci per descrivere l’ascesa dei proto – populismi. Si legga “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte”: là dove parla del futuro imperatore che seduce le masse – le pescivendole di Parigi – e le scaglia contro le istituzioni elettive. Una descrizione viva, mordente, geniale: suggerisco vivamente ai nostri supponenti politologi di rileggere queste pagine!

Oggi, questa la mia convinzione, per ragionare sulla crisi della democrazia dobbiamo recuperare nella nostra cassetta degli attrezzi anche gli straordinari spunti critici di Marx.

Terza questione: i successi del populismo fanno riemergere la questione della libertà. I cittadini si consegnano ai leader, avrebbe detto Freud. L’interesse si restringe solo alle piccole libertà, ma dinanzi alle grandi libertà, ovvero alle decisioni sulle scelte di fondo attinenti il modello di sviluppo economico e sociale, prevale la passivizzazione, la delega all’uomo forte. I cittadini, ognuno isolato nel suo mondo, deprivati di corpi intermedi, condannati alla solitudine involontaria, si rivelano esposti come mai alle pulsioni autoritarie.

Andiamo più a fondo: c’è qui un punto di contatto tra i populismi e il pensiero dominante neoliberale. La libertà essenziale dei neoliberali è la libertà del consumatore: ognuno libero di scegliere la merce che più gli aggrada. Spetta poi, aggiungono i neoliberali, al mercato comporre gli interessi dei singoli. La politica, ovvero lo stato, deve ridursi al minimo: interferire il meno possibile con la libertà degli operatori economici.

In questo mondo dominato da populisti e neoliberali riemerge la questione della libertà. Della libertà degli esseri umani di prendere in mano il loro destino, di scegliere dove e come andare. La questione della grande libertà rispetto alle piccole libertà. Ancora una volta Marx, il giovane Marx, ci aiuta a porre la questione. Nel momento in cui fa i conti con i suoi compagni di studi, gli allievi di Hegel, scrive le famose undici tesi su Feuerbach. Famosissima la XI: “i filosofi fino ad ora si sono limitati a interpretare il mondo; ora devono cambiarlo”. Si tratta della sua prima straordinaria affermazione dell’indissolubilità di teoria e di praxis. Da questa affermazione non tornerà più indietro. Tutto il suo pensiero si forma nella praxis ed è un invito continuo, incessante e mettersi alla prova nella praxis. Penso che questa sua dottrina della praxis sia una dottrina essenziale di libertà. Gli uomini, ci dice Marx, sono liberi solo quando, gli uni assieme agli altri, prendono in mano il loro destino: quando affinano pensiero critico, quando costruiscono idee e le mettono alla prova nell’effettiva vita politica, civile e sociale.

Con Marx, quindi, sto tornando a fare i conti. Trovo il suo pensiero vivo e penetrante anche sulla realtà di oggi. Il suo metodo, lo svelamento critico della realtà, quel suo sguardo in profondità sempre animato da una profonda radicale passione per la libertà umana, penso che abbia molto da dire anche a noi.

Sguardo critico, svelamento della realtà umana nascosta nelle cose, passione intransigente per la libertà umana, inseparabilità di umanismo e di naturalismo: ecco il Marx di cui oggi torniamo ad avere bisogno ed è bene che, assieme, ricerchiamo le modalità per rimetterlo in circolazione.

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