Editoriali viaBorgogna3 magazine

ANNO II N 7 DAL CURARE AL PRENDERSI CURA
diritti e solidarietà umana nella medicina di oggi

La salute come bene comune

Da un anno e poco più anche il tema “salute” ha fatto irruzione nella programmazione della Casa della Cultura. Per una ragione molto semplice: la salute è senza ombra di dubbio una delle grandi questioni dei nostri tempi, con mille profonde implicazioni culturali. Affrontarla è un compito imprescindibile per chi, come il nostro centro culturale, propone uno sguardo critico a tutto campo sulla contemporaneità.

Salute vuole dire, innanzitutto, confrontarsi con le prodigiose conquiste della ricerca medico – scientifica. Essa ha spostato sempre più in avanti le aspettative di vita: malattie considerate incurabili fino a poco tempo fa sono ora affrontate con rapidità ed efficacia. Alcuni degli articoli qui raccolti parlano di altri decisivi passi in avanti che si stanno delineando per affrontare le “malattie rare” e per individualizzare l’intervento medico. La vita si sta sempre più allungando, ma proprio da qui derivano anche conseguenze indesiderate come il numero crescente di persone anziane esposte al crollo cognitivo. Problemi nuovi, perfino drammatici, che sollecitano sempre nuove frontiere per la ricerca medico – scientifica.

Più a fondo: l’efficacia di un sistema sanitario richiede la capacità di passare dalla “cura” al “prendersi cura”. L’intento dei promotori del ciclo “Salute, diritti, solidarietà umana”( ottobre 2016/ giugno 2017), che ha riscosso il consenso di tutti gli interlocutori intervenuti, era quello di mettere l’accento su un decisivo nodo culturale, ovvero sul fatto che l’efficacia dell’intervento medico è intimamente connesso al riconoscimento e alla valorizzazione del malato: in primo piano vi deve essere la persona e la sua dignità. Si tratta di un autentico rovesciamento dell’approccio alla medicina. Ad esso hanno contribuito molteplici forze. Vi è stata un’evoluzione della sensibilità all’interno stesso del mondo degli operatori sanitari. Ma vi è stata anche una vigorosa sollecitazione di tante forze sociali. Tra esse un ruolo di primissimo piano hanno svolto la riflessione e la voce del movimento delle donne. Proprio dal pensiero femminile è venuta una spinta decisiva a mettere al primo posto nella cura l’unicità dell’individuo e l’etica della responsabilità.

La questione salute rimanda, però, a qualcosa di ancora più impegnativo: essa è legata alle condizioni complessive di esistenza, alla qualità della prevenzione, allo stesso stile di vita. Come vien detto in questo fascicolo con grande efficacia, la prima condizione della salute è la Costituzione stessa di un paese. Ecco allora la riflessione sulle condizioni complessive di organizzazione e funzionamento del sistema sanitario, oppure ancora sul ritmo e sulla qualità della vita nei luoghi di lavoro e nelle città, sul problema dell’inquinamento e dell’ambiente, dell’equilibrio uomo – natura.

Infine, la salute è intimamente connessa all’esercizio della cittadinanza. Lo hanno evidenziato in pressoché tutti questi incontri le voci degli esponenti dell’associazionismo degli utenti e familiari e quello dei volontari, un tessuto associativo ricco e articolato – per lo meno a Milano – anche se poco conosciuto. Esse hanno aiutato a capire l’importanza delle relazioni umane e solidali attorno al paziente e dell’azione capillare di sensibilizzazione dei cittadini. Esse ci hanno anche detto che questioni quali quelle connesse alle malattie mentali oppure, ancora, agli homeless e ai rifugiati non sono riducibili ad aspetti tecnico – organizzativi. Esse implicano una nuova sensibilità diffusa e un intervento attivo e responsabile dei cittadini.

Insomma, questi nove incontri hanno messo a fuoco che la salute non è questione riducibile ai pur decisivi progressi della scienza e della tecnica medica. Essa non è riducibile neppure all’efficacia degli interventi sul singolo paziente. La salute è il frutto dell’organizzazione complessiva di una società, del suo livello di coesione sociale, in una parola della sua civiltà. La salute, senza ombra di dubbio, è un fondamentale bene comune.

DAL CURARE AL PRENDERSI CURA
diritti e solidarietà umana nella medicina di oggi

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ANNO II N 6 GLI ANTICHI E NOI

Noi e il mondo classico

Questo numero di “viaBorgogna3” è costruito con i materiali del ciclo “Gli antichi e noi. Quale passato per il nostro futuro?“, promosso dalla Casa della Cultura nella primavera del 2017 grazie all’impegno e alla passione di Mario Vegetti, Mauro Bonazzi e Mario Ricciardi.

Quando l’iniziativa ha preso avvio non è mancato un pizzico di sorpresa: che senso ha oggi, hanno chiesto più persone, una riflessione sistematica, così impegnativa, sul rapporto con il mondo classico? Questa domanda merita una risposta puntuale e argomentata.

Vi sono state, come tutti sanno, epoche passate in cui il rapporto con la classicità è stato un topos culturale caratterizzante. Vale, ricorda Mario Vegetti nella sua breve introduzione, per il Medioevo e per il Rinascimento che si sono interrogati ininterrottamente sul mondo classico e che, pur fornendone immagini alternative, si sono definiti in relazione ad esso. Qualcosa del genere vale anche per la stagione del Neoclassicismo e, a pensarci bene, anche la lunga epopea dei nazionalismi europei non ha mancato di attingere motivi ispiratori decisivi dall’antichità.

Tutto ciò non vale più per la nostra epoca: essa non ha elaborato una sua idea della classicità. Non ne sente il bisogno. Probabilmente perché essa non ama la storia. O per meglio dire, ha della storia una visione povera, molto riduttiva, ridotta a curiosità monumentale e attrazione turistica. In nessuna epoca precedente sono state curate con tante cura le vestigia del passato: esse sono esposte agli occhi di tutti ma, inerti, non parlano: con esse non si dialoga più. Alla storia non ci si rivolge per capire se in quegli avvenimenti passati si possono rintracciare argomenti e lezioni utili a capire anche l’oggi.

Questa sguardo superficiale, questo surf disincantato sulle memoria del passato, deve essere problematizzato. Viviamo in un’epoca di immensa complessità, dentro – per usare l’espressione suggerita da Karl Polanyi – una “grande trasformazione”. Avvertiamo il bisogno acuto di una bussola con cui orientarci dentro di essa, ma percepiamo acutamente anche tutte le difficoltà nel rintracciare o nel costruire qualche strumento in grado di guidarci. Proprio per questo può risultare proficuo e stimolante immergerci nella riflessione e nella ricerca dentro l’epoca classica, dentro quella lunga e complessa stagione storica nella quale si sono compiuti avvenimenti decisivi e sono stati elaborati alcuni dei concetti che ancora oggi sono al centro della discussione. È allora che si sono definiti i concetti di polis e di impero, che si è cominciato a discutere di dittatura, oligarchia e democrazia, che si è definita l’idea della dignità umana.

Ragionare su quelle vicende e su quelle idee è qualcosa che non è riducibile a curiosità erudita e non è neppure riconducibile all’improbabile e perfino un po’ surreale ricerca di qualche modello da riproporre per l’oggi. Il senso della ricerca che ha animato via Borgogna – che qui viene riproposta – è far vivere quelle antiche vicende per ricostruire la loro origine e il loro sviluppo, per coglierne la complessità, gli scarti e le rotture, per interrogarle. Insomma per alimentare anche in quest’epoca che appare dominata dal presente assoluto quel fecondo rapporto passato – presente che solo può dare profondità alla nostra ricerca e riflessione.

GLI ANTICHI E NOI

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ANNO II N 5, FILOSOFIA E SPAZIO PUBBLICO

La forza delle idee nello Spaio pubblico

Con felice intuizione lo scorso anno Fulvio Papi ha dedicato il seminario autunnale da lui tradizionalmente organizzato in Casa della Cultura a una riflessione su “filosofia e vita pubblica”. In questo numero della rivista pubblichiamo larga parte delle lezioni tenute in quell’occasione perché, ripercorrendole, si può cogliere limpidamente il ruolo e l’efficacia che il pensiero filosofico ha svolto in passaggi storici decisivi, dall’Atene del V secolo a.C. fino a tante vicende europee del XX secolo: le idee suggerite dai filosofi a più riprese – evidenziano gli scritti qui raccolti – hanno animato e orientato il dibattito pubblico.

Oggi si può dire altrettanto? Difficile rispondere affermativamente. Non mancano segnali confortanti di un vivo interesse per la filosofia: basti pensare al successo dei molti festival di filosofia e allo spazio che i media concedono ai filosofi. Si tratta di manifestazioni ed esibizioni che non riescono però a nascondere le debolezze dell’offerta filosofica e la caotica ridondanza che sembra caratterizzare il dibattito pubblico contemporaneo.

I saperi filosofici sono andati articolandosi e diversificandosi: le voci e gli ambiti di ricerca si sono moltiplicati. Ne è derivata pluralità e abbondanza dell’offerta filosofica, ma anche un “effetto dispersivo” che rende alquanto problematico individuare nell’attuale ricerca filosofica linee di tendenza prevalenti e proposte ben identificabili. Il dibattito filosofico contemporaneo, che pur deborda nel sistema mediatico, non appare innervato da proposte che abbiano la forza di condizionare e orientare la discussione pubblica. Si sente il rumore filosofico, ma è diventato problematico ascoltare la voce della filosofia.

Sullo sfondo un problema più generale: un mutamento profondo delle modalità, dei toni e dei contenuti del dibattito pubblico. Esso, trascinato dalla crescita esponenziale del sistema mediatico, si è dilatato ma si è anche decomposto in un confuso, disordinato chiacchiericcio. A ben vedere è lo spazio pubblico, nel suo insieme, che si è profondamente modificato: esso si è largamente trasferito nei media – dai giornali alle televisioni e ora in Rete – ma nel trasloco si è trasformato e deformato.

L’impatto di questo cambiamento è tale da modificare i tratti stessi della vita democratica: Bernard Manin ha parlato, con formula efficace, di un passaggio in successione dalla democrazia parlamentare a quella dei partiti e ora alla democrazia del pubblico. L’espressione “democrazia del pubblico”, in questa accezione, contiene una accentuazione quanto meno problematica. I cittadini sono inondati da informazioni, ma in mezzo a tanto rumore, ci dice lo studioso francese, si sono ridotte le possibilità di un loro ruolo attivo. Si sono complicate le linee di scorrimento tra la volontà dei cittadini e le istituzioni, ma prima ancora è diventato più difficile il processo di selezione delle idee e delle proposte che emergono nella vita pubblica.

Questa deriva – ci viene ricordato in questo stesso numero della rivista – non è però irreversibile. Nella società si manifestano sempre “potenzialità alternative”: il cantiere della democrazia si rinnova di continuo. Idee nuove si formano in continuazione e non vi è ragione per cui non debbano trovare la possibilità di agglutinarsi e di farsi sentire. Di questi tempi sembrano prevalere i messaggi di chiusura, di rancore e di rabbia cavalcati dai populismi. Ma fortunatamente riescono ad alzarsi anche altre voci, magari da fonti e con modalità di diffusione imprevedibili e sorprendenti.

Ecco allora – ci ricorda il focus di questo numero di viaBorgogna3 – l’effetto spiazzante dell’enciclica di Papa Francesco, il Papa venuto dall’altro capo del mondo. Questo pontefice ha oggi la forza che manca ad altre leadership istituzionali: riesce a raccogliere e riordinare elaborazioni diffuse e a riproporle con una struttura narrativa che conferisce loro una rinnovata forza ed efficacia. Il messaggio dell’enciclica papale ci invita ad avere cura della terra e a ridare voce e dignità ai più poveri. Un messaggio semplice, che trova la sua forza nell’intima coerenza tra idee e operato del mittente e nella radicale diversità rispetto al “pensiero unico” dominante.

L’enciclica di Papa Francesco ci parla della sostenibilità ambientale e sociale, la grande questione cui abbiamo dedicato il terzo numero della nostra rivista. Lo stimolo del Pontefice ci permette ora di riproporre una riflessione sulla sostenibilità proprio mentre dagli Stati Uniti ci arriva la notizia che il neo presidente americano, Donald Trump, ha annunciato la cancellatura delle misure ambientaliste del suo predecessore: la sostenibilità ambientale diventa il centro di una moderna battaglia globale, ad un tempo culturale e politica.

 FILOSOFIA E SPAZIO PUBBLICO

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ANNO II N 4, CORPI, MENTI, MACCHINE PER PENSARE

Il futuro è dietro l’angolo?

Dinanzi ai nostri occhi si stanno accumulando mille piccoli segni di un prossimo salto di paradigma tecnologico. Ce lo segnala quotidianamente il sensore più sensibile dei nostri tempi, il sistema pubblicitario. Da qualche mese negli spot pubblicitari appaiono robot gentili, servizievoli e dialoganti con gli umani. Non era mai accaduto: ora, per la prima volta, i protagonisti della saga cinematografica “Guerre stellari” si concretizzano anche sul piccolo schermo.

La pubblicità non fa altro che rielaborare qualcosa che sta accadendo di fatto: piccoli robot cominciano a entrare davvero nelle nostre case per assolvere ad alcuni elementari servizi. Un anticipo, si dice, di un prossimo diluvio destinato a cambiare profondamente il nostro modo di vivere. Nel contempo le cronache dell’industria innovativa infittiscono e particolareggiano le notizie relative all’automobile senza guidatore: la nuova, letteralmente sconvolgente e ormai in fase sperimentale frontiera dell’Automotive.

Qualcuno potrebbe obiettare che i segnali di un salto di paradigma si stavano accumulando da parecchio tempo. Un osservatore pignolo e polemico, probabilmente, ricorderebbe un passaggio cruciale di dieci anni fa, quel primo iphone che mescolava il telefono cellulare e il personal computer. Senza averne piena consapevolezza ci stavamo mettendo in tasca un cellulare che non era più un cellulare, un oggetto che nasceva dall’ibridazione di diverse tecnologie innovative.

In realtà scienza e tecnologia da tanto tempo hanno iniziato una corsa che sembra non fermarsi più, che anzi si accelera progressivamente, verso sempre nuove frontiere. Tecnologie digitali, nanotecnologie, biotecnologie, robotica, neuroscienze continuano ad accumulare conoscenze. Il salto di paradigma sta solo un passo oltre: nelle potenzialità dirompenti che la loro ibridazione lascia intravedere. Ormai stiamo arrivando proprio lì.

A quel punto l’essere umano avrà a disposizione mille e mille protesi qualitativamente nuove. Si parla, ad esempio, di cuore, rene e polmone artificiale e vi è anche chi accenna all’utero artificiale. Qua e là si comincia a parlare di un possibile radicale allungamento della vita, fino a 120 anni. Di certo – forse questa à l’unica cosa che oggi possiamo dire con certezza – la nostra vita cambierà. Anche per questo si intensificano le discussioni sul post – umano e sul trans – umano.

L’impatto si preannuncia – o meglio, già è – dirompente non solo sulla vita dei singoli uomini ma anche sul modo in cui gli esseri umani convivono tra di loro, sull’organizzazione della società e sulle relazione tra i popoli.

In questi anni abbiamo ragionato molto sulla globalizzazione: di certo un fattore che ha ridisegnato l’economia e la politica a livello globale. Non sempre, però, abbiamo percepito con chiarezza che la globalizzazione stessa era intimamente collegata agli sviluppi della scienza e della tecnica.

La nuova finanza, il vero motore degli ultimi trent’anni di globalizzazione, è letteralmente incomprensibile senza la tecnologia digitale: il libero e vorticoso movimento dei capitali nel globo è stato reso possibile proprio dall’innovazione digitale.

Così pure è impossibile ragionare seriamente sulle nuove economie emergenti o sulla crescita demografica dell’Africa e del sub continente asiatico senza avere ben presente la diffusione delle conoscenze scientifiche e della tecnologia.

Per altro verso l’accumulo di tecnologia e di scienza oggi si è accelerato anche a seguito della diffusione in tutto il mondo – non più solo in quello occidentale! – di centri di ricerca: una rete immensa di scienziati e di tecnologi è al lavoro sparsa su tutto il globo.

In realtà le nuove frontiere della scienza e della tecnologia e la globalizzazione sono due aspetti della stessa medaglia, di quel vorticoso cambiamento dei nostri tempi che, ormai ci è sempre più chiaro, ha il suo epicentro, il suo motore trainante, nell’accumulo sempre più accelerato e nelle applicazioni dirompenti della conoscenza scientifica e tecnologica.

Il futuro è qui, tra di noi. E noi oggi siamo costretti a fare i conti con esso. Si tratta di una constatazione densa di implicazioni, soprattutto per chi – ed era capitato a molti di noi – aveva smarrito la percezione del futuro.

In questi anni si erano radicate percezioni e convinzioni che ora siamo costretti a modificare, o per lo meno a problematizzare. Diciamo la verità: noi avevamo dismesso la tematizzazione del futuro perché avevamo vissuto, in un volgere di tempo relativamente breve, il dissolversi delle utopie sociali e delle grandi narrazioni.

Eravamo costretti a constatare che la politica, ovvero l’azione pubblica, coordinata e consapevole degli uomini, si era gravemente indebolita e che non era più in grado di progettare il futuro. Tutte le idee di una società futura si erano dissolte e allora sembrava inesorabile che anche il pensiero non si perdesse in inutili ubbie: esso poteva limitare tranquillamente il proprio campo di azione solo al tempo presente. Il futuro era diventato semplicemente inafferrabile. E a quel punto, forse inesorabilmente, era evaporato anche l’interesse per il passato.

Ancora una volta era la pubblicità ad avere trovato la sintesi più efficace di quel diffuso umore. Una compagnia di telefonia cellulare ci ha inondato per anni con le seducenti immagini e con i suoni della campagna: life is now.

Ma ciò che la politica e il pensiero stesso non riuscivano più ad afferrare sta ritornando nella nostra vita, prepotente e sconvolgente, da un’altra strada: i mille segni di un prossimo salto di paradigma scientifico e tecnologico ci costringono a rimettere il futuro al centro della nostra riflessione.

Mille interrogativi si addensano. La prima domanda è molto semplice, perfino ovvia: se le innovazioni che si prefigurano sono così radicali siamo in grado di delineare lo scenario futuro? A questa semplicissima questione è assai problematico dare una risposta ragionevole: gli scienziati ci dicono che non è possibile predefinire configurazione, spazio, modalità delle tecnologie future.

Ma allora sgorgano a getto continuo mille altre domande incalzanti e inquietanti. Quali saranno le finalità che verranno perseguite? Chi orienterà le innovazioni e i cambiamenti? Con quali modalità gli esseri umani potranno esercitare una funzione di controllo? Ognuna di queste domande evoca e tocca le grandi questioni connesse al senso e alle finalità dell’attività umana.

La discussione si preannuncia accesa e appassionata. Umberto Eco, confrontandosi con un’innovazione tecnologica decisiva per gli anni Sessanta, la televisione, aveva focalizzato l’inesorabile contrasto tra “apocalittici” e “integrati”. È probabile che anche stavolta si delineerà un conflitto tra difensori integralisti di una intoccabile natura umana e apologeti dell’innovazione comunque e a ogni costo.

In realtà sarebbe buona cosa non limitarsi a tifare per gli uni o per gli altri. La vera priorità è conoscere e capire: i cittadini hanno diritto di percepire la portata immensa di quanto sta accadendo. Così pure, gli interrogativi radicali che si stanno delineando non possono essere delegati solo alla riflessione di scienziati e di tecnologi: il pensiero umanistico e le scienze sociali non possono sottrarsi a questa riflessione. Filosofi, storici, antropologi, sociologi, giuristi e psicanalisti devono intrecciare le loro voci con chi opera sulle frontiere più avanzate della ricerca scientifica e tecnologica.

Urge una vivace, appassionata e partecipata conversazione pubblica sui mille segni di futuro che si stanno addensando. Per arrivare, possibilmente, a ricostruire, assieme, qualche nuova narrazione di futuro.

La programmazione della Casa della Cultura porta il segno di questa esigenza. Alla voce di filosofi, storici, letterati, psicanalisti e artisti si stanno affiancando sempre di più anche quelle degli scienziati e dei tecnologi. Da qui i cicli sulle neuroscienze, sulle “macchine per pensare”, sulle nuove frontiere della cura medica, sulla genetica. Così pure si sta cominciando a ragionare, incrociando voci e competenze diverse, sui mille volti dell’innovazione.

Con questa scelta, assai impegnativa, la Casa della Cultura compie il suo “ritorno al futuro”, ovvero il recupero pieno del pensiero del suo fondatore, Antonio Banfi. Viviamo in tempi in cui l’antica lezione banfiana per l’umanesimo illuministico – il suo ideale di “uomo copernicano” –  tornano di stringente attualità.

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ANNO I N 3, SOSTENIBILITÀ

Per la sostenibilità. Ovvero: pensare diversamente

Sostenibilità: un sostantivo da cui non si può più prescindere per qualunque discussione e progetto inerente il futuro. Esso evoca un “equilibrio” che deve essere preservato (o ricostruito!). Da qualche tempo si è iniziato a parlarne con insistenza proprio perché si intravedono rischi incombenti di rottura dell’equilibrio ambientale, sociale ed economico.

La cronaca ci trasmette a ritmo incalzante segnali allarmanti. I mutamenti climatici evocano quotidianamente i rischi connessi al riscaldamento globale: la rottura dell’equilibrio uomo – natura è ormai un dato della realtà. Le fratture sociali assumono un’inedita evidenza: stanno esplodendo laceranti conflitti etnico – religiosi nel cuore stesso delle società occidentali, intrecciati a una crescita inquietante delle disuguaglianze. Nel contempo il sistema economico sembra scivolare fuori controllo: non siamo ancora usciti dalla “lunga recessione” e si addensano altre ombre per il peso sempre più abnorme del sistema finanziario.

Vi sono quindi mille e fondatissime ragioni per focalizzare e dare la giusta priorità alla questione della sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Proprio come ha fatto l’ONU con l’“Agenda 2030”: un programma suddiviso in 17 azioni per affrontare nei prossimi quindici anni la questione sostenibilità a tutto campo, globalmente. La conferenza di Parigi, la COP 21 sui cambiamenti climatici, è stato un primo importante tassello di questa strategia. Nuove e importanti forze si stanno muovendo a livello internazionale anche perché, nel frattempo, si sono alzate voci autorevolissime per invocare – come ha fatto Papa Bergoglio con l’enciclica “Laudato si’” – un radicale cambio di orizzonte.

La sostenibilità sta animando tante iniziative e sta suscitando importanti dibattiti nel mondo. Eppure di tutto ciò sembra arrivare in Italia solo una lontana eco. Nonostante l’attenzione e la sensibilità di una parte dell’opinione pubblica italiana il dibattito pubblico nel nostro paese sembra sempre soffocato da un confuso rumore e da un disordinato chiacchericcio mediatico.

Ecco la ragione per cui la Casa della Cultura si propone di fare la propria parte per stimolare la riflessione su una questione di una tale rilevanza: la sostenibilità è ormai entrata di prepotenza nella programmazione della nostra attività. Abbiamo ragionato sulla COP 21, discuteremo approfonditamente della “Laudato si’” e cercheremo nei prossimi mesi di mettere a fuoco il nodo della “città sostenibile”. Intendiamo, soprattutto, far scorrere il tema della sostenibilità in tutte le nostre iniziative, ad iniziare dal programma della “scuola di cultura politica” del 2016 – 17.

Con questo numero di “viaBorgogna3” vogliamo ulteriormente sottolineare una scelta consapevole, ben precisa.  Avvertiamo, insomma, l’urgenza di costruire una nuova griglia interpretativa, di cambiare la scala delle priorità, di ragionare su una nuova agenda. Proprio come stanno cercando di fare le Nazioni Unite con l’Agenda 2030.

E ci proponiamo di farlo con il nostro stile: facendo confrontare e interagire discipline diverse, incrociando molteplici punti di vista e differenti esperienze. Alla fin fine si tratta di un invito – rivolto a noi stessi, innanzitutto – a pensare diversamente, a guardare sempre i processi economici, sociali e ambientali nella loro complessa interazione e negli effetti a lungo termine. Per mettere consapevolmente in primo piano la questione del futuro, delle nuove e delle prossime generazioni.

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ANNO I n 2,  ILLUMINISMI

Noi e gli illuminismi

Abbiamo messo l’illuminismo, anzi gli “illuminismi”, al centro della celebrazione del nostro “Settantesimo”: una ben precisa scelta culturale. Per più ragioni.

Innanzitutto per riaffermare il legame profondo della Casa della Cultura con l’humus culturale milanese e lombardo. La stagione dell’illuminismo settecentesco, quella di Pietro Verri e Cesare Beccaria, ha lasciato in Milano un’impronta decisiva, ben visibile in tutto lo scorrere dei due secoli successivi. Si pensi al ruolo di Carlo Cattaneo nella Milano risorgimentale e poi, negli anni successivi, a quel positivismo milanese che ha contaminato la vita pubblica di tutta la città, fino allo stesso nascente socialismo riformista. Oppure, ancora, alla ripresa del pensiero critico e progressista nel secondo dopoguerra, attorno alla personalità di Banfi e ai protagonisti della “scuola di Milano”, dove riecheggiarono e si riproposero evidenti motivi illuministici. In tutti questi snodi della vita civile e culturale milanese sono riaffiorati tratti distintivi come la fiducia nella ragione, l’attenzione alle conquiste della scienza, l’apertura al pensiero europeo, la tensione verso la fattività. Si tratta di idee e valori “illuministici” che hanno permeato tutta una città: la Casa della Cultura pensa e vive se stessa come parte di questa temperie culturale.

Ragionare sugli “illuminismi” significa anche riproporre un aspetto essenziale della lezione di Antonio Banfi e, per questa via, dare un solido fondamento a quell’immagine suggestiva, “ritorno al futuro”, che abbiamo fatto scorrere con insistenza durante tutto il nostro “Settantesimo”. Banfi, fondatore e animatore per un decennio della Casa della Cultura, raccolse i suoi ultimi scritti ne “L’uomo copernicano”, il libro nel quale condensò il suo progetto di confronto critico con la modernità e nel quale cercò di dare fondamento al suo progetto di “umanesimo illuministico”.  Quella lezione ci è apparsa di sorprendente attualità mentre stiamo cercando di imprimere una svolta alla attività della Casa della Cultura, di integrare la nostra programmazione “umanistica” con un’attenzione verso le nuove frontiere della scienza e della tecnica, di ridefinire il nostro progetto culturale per confrontarsi a tutto campo con la “nuova grande trasformazione”.

Lo Statuto stesso della Associazione Casa della Cultura, scritto di suo pugno in anni lontanissimi da Antonio Banfi, parla la lingua dell’illuminismo. Esso propone come finalità dell’Associazione “la promozione di attività culturali e di attività artistiche”. Poche righe più avanti precisa: “la formazione e l’aggiornamento negli ambiti della cultura, dell’arte, delle scienze e della tecnologia, delle tematiche sociali e civili”. Si tratta di un progetto di diffusione della conoscenza e dello spirito critico, di sollecitazione al confronto critico e all’apertura degli orizzonti. Sono, quindi, lo spirito e la lettera stessa del nostro Statuto che ci spingono, come abbiamo detto durante il Settantesimo, a cimentarci con la costruzione di un’“enciclopedia critica della contemporaneità”. Obiettivo, forse, troppo ambizioso in tempi di ridondanza della comunicazione e di produzione a ritmo accelerato di nuova conoscenza. Di certo, comunque, si tratta di un obiettivo “illuministico” che condensa la nostra ferma e profonda convinzione che un po’ più di conoscenza e di cultura a disposizione di tutti è un valore che, in quanto tale, merita di essere perseguito con dedizione e con tenacia.

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ANNO I n 1, LA SCUOLA DI MILANO

“via borgogna 3”: la rivista della Signora in rosso

1 – Con questo numero inizia l’avventura editoriale di “via borgogna 3”, il nuovo magazine della Casa della Cultura di Milano. In tanti anni di storia questo centro culturale non si era mai avventurato in un operazione del genere. Per la prima volta compie questa scelta con la convinzione che sono maturate le condizioni per realizzarla.

La Casa della Cultura, semplice “associazione senza fine di lucro”, è ormai diventata un’istituzione nella vita milanese. Probabilmente sono stati la durata nel tempo, accompagnata a un prestigio che non è mai venuto meno, a determinare questa percezione diffusa.

In effetti sono passati esattamente settant’anni da quando Ferruccio Parri, comandante della Resistenza e Presidente del Consiglio ai tempi del “vento del Nord”, tenne, il 16 marzo 1946, il discorso inaugurale. Tante istituzioni culturali progettate e avviate in quella lontana stagione hanno chiuso i battenti: la Casa della Cultura è ancora in piedi, in buona salute, sempre impegnata in nuove sfide.

Negli ultimi anni si è allargato il campo della sua iniziativa. E’ nata una “Scuola di cultura politica”, ormai al sesto anno. Sono entrati nella programmazione o hanno preso rinnovato vigore campi di attività come letteratura, poesia, “musicacinemateatro” e scienze. Tutto il sistema della comunicazione è stato rivisto e reimpostato, con il sito trasformato in un blog, un ottimo insediamento nei social, in Facebook e in Twitter, la trasmissione degli incontri in streaming.

Ora, in pieno “Settantesimo”, viene posato un altro tassello: una rivista pensata e progettata per la Rete, che ha come nome – “via borgogna 3” – l’indirizzo della nostra sede. Proponiamo una rivista finalizzata a depositare e fare durare nel tempo il dibattito, la ricerca e l’elaborazione della Casa della Cultura. Elio Vittorini, uno dei fondatori, la definiva il luogo della “cultura parlata”. Con “viaBorgogna3” comincia il percorso per trasportare quella cultura anche nel testo scritto. Con una rivista on line: un “pdf” pensato per circolare agevolmente in Rete, ma che gli amanti della carta potranno facilmente stampare in proprio.

2 – Ogni numero avrà un focus tematico. Si comincia con la “Scuola di Milano”, una vicenda oggi poco ricordata e studiata nel mondo accademico, ma che a suo tempo, nei primi vent’anni del dopoguerra, ebbe grande importanza nella vita culturale milanese e che ha lasciato un segno profondo nella città. Viene proposto, raccogliendo gli interventi tenutisi in un convegno di poche settimane fa, un ritratto a tutto tondo del cenacolo culturale raccolto attorno ad Antonio Banfi, con i suoi tanti e famosi allievi: Paci, Preti, Cantoni, Bertin, Formaggio, Anceschi, Sereni, Pozzi, Rogers, Rognoni, Alberto Mondadori e altri.  L’influenza di questi studiosi andò ben oltre le mura dell’Università: toccò le arti, l’editoria e l’organizzazione della vita culturale cittadina.  La Casa della Cultura fu uno dei frutti più significativi di quella stagione, di certo quello che ha dimostrato una maggiore capacità di durare.

Gli articoli raccolti in questo primo focus offrono una ricostruzione puntuale di opzioni culturali – il razionalismo critico banfiano, una particolare curiosità culturale a tutto campo, il respiro europeo della ricerca e della riflessione – che hanno caratterizzato quell’esperienza e che ancora oggi meritano di essere riproposte e valorizzate. Essi aiutano a capire anche l’apertura culturale e l’inquietudine che si sono sempre respirate in Casa della Cultura: è da quella temperie culturale, infatti, che nascono la ricerca problematica, la tensione continua al rinnovamento e all’innovazione che l’hanno sempre caratterizzata.

3 – In settant’anni lo scenario globale è cambiato, si sono trasformate radicalmente la società, la produzione, il sistema politico, le modalità di produzione e fruizione culturale. Il rapporto fecondo tra la cultura e la politica – perseguito con tenacia anche dagli intellettuali banfiani – è evaporato e si è dissolto. Il dopoguerra di Banfi, di Vittorini e della “prima” Casa della cultura è un passato ormai lontanissimo. Eppure alcune lezioni maturate in quella stagione culturale continuano a parlare e ad avere importanza anche ora: lo sguardo a tutto campo sul mondo, la riflessione tenace e approfondita, un’etica del pensiero critico.

Attraverso questo primo numero della rivista si può afferrare il senso dell’attività che oggi sta crescendo e progressivamente arricchendosi in Casa della Cultura. Si tratta, probabilmente, del miglior “manifesto” possibile per illustrare il progetto di rinnovamento che tenacemente stiamo perseguendo. Da esso si possono evincere le ragioni del tentativo di dare un respiro enciclopedico alla nostra offerta culturale.

In Casa della Cultura converge un’ampia e articolata rete di studiosi che mostrano disagio dinanzi all’ultra specialismo che soffoca la vita accademica: essi cercano di smarcarsi dall’asfissiante chiacchericcio mediatico e dalla rigidità e povertà del main stream culturale, ricercano e praticano l’interdisciplinarietà, tracciano percorsi nuovi. Sono loro ad animare nella sala dibattiti di via Borgogna centinaia di incontri ogni anno: attraverso la rivista il loro messaggio e la loro elaborazione potranno circolare anche al di fuori delle mura della nostra sede e oltre il momento dell’incontro pubblico.

Ecco il senso e le ragioni della scelta di “via borgogna 3”: consolidare e mettere a disposizione di tutti i frequentatori della Rete gli umori, le voci, i pensieri che affollano e si incrociano all’angolo di Piazza San Babila.

4 – In Rete vi sono infinite operazioni culturali, blog e riviste proposti a getto continuo. Eppure possiamo avere la ragionata speranza che in questo grande magma “via borgogna 3” possa emergere con un suo profilo inconfondibile. Proprio come accade alla Casa della Cultura che, pur nel mezzo di un’offerta culturale che a Milano è ridondante e in continua trasformazione, dimostra di non soffrire la concorrenza.

La sua programmazione culturale ha infatti alcuni tratti inconfondibili. Essi sono evocati dalla stessa porta di accesso alla sede di via Borgogna che, per scelta, è rimasta di colore rosso nel corso dei decenni e che un brillante comunicatore, Gianni Sassi, aveva a suo tempo trasformato nel logo della Casa della Cultura. Sul filo di questa suggestione iconica viene proposta per il Settantesimo l’immagine della “Signora in rosso”. Si tratta di un palese ammiccamento a una storia culturale di cui con qualche orgoglio si rivendica l’eredità e che, in tempi di cambiamenti tumultuosi e di inquietudini diffuse, si pensa abbia ancora molto da dire.

Per guardare in avanti, per impostare seriamente la ricerca del nuovo, per proporre sensatamente innovazione è indispensabile attingere a piene mani allo straordinario patrimonio che il pensiero critico ha accumulato nelle stagioni passate, farlo rivivere e pulsare, confrontarsi con esso in profondità. Qui probabilmente sta il tratto distintivo più profondo della Casa della Cultura ed è buona cosa che esso possa vivere anche in un testo scritto, in una nuova rivista come “via borgogna 3”.