IL MASOCHISMO SECONDO TOTÒ

Tratto dal mio ultimo libro Masochismi ordinari, Mimesis Edizioni

Una definizione di masochismo alla portata di tutti è farsi male da soli. Se qualcuno si auto-danneggia, fisicamente o psichicamente, gli diciamo scherzosamente: Allora sei masochista! Un’affermazione che suona come una battuta perché la figura del masochista può essere assai comica. Masochista è chi prende le torte in faccia, chi inciampa nei propri piedi, chi non prevede una porta girevole, chi si lascia insultare senza reagire, come nelle vecchie comiche.

Ecco come interpreta il masochismo il genio di un grande comico, Antonio De Curtis, in arte Totò. Mettendo in scena una sorta di sdoppiamento, che è una molla della sua comicità, Totò racconta ridendo a un amico che un tizio l’aveva schiaffeggiato e, nel prendersela con lui, lo aveva chiamato ripetutamente: Pasquale. Alla reazione dell’amico: Ma come!? Ti sei fatto schiaffeggiare così, senza reagire? Totò aveva replicato ridendo: Ma scusa, mica sono io Pasquale! (1)

Lui non era Pasquale, dunque rideva dell’errore di persona da parte del suo aggressore. Era inessenziale che provasse dolore nell’essere schiaffeggiato. Anzi, quel dolore non lo provava per nulla perché lui non era Pasquale; con l’eventuale masochismo di Pasquale, col suo essere vittima inerme di un’aggressione, lui non c’entrava proprio niente. Tanto che poteva riderne.

Totò opera una scissione tra il nome e il corpo. Lui non si chiama Pasquale, la sua identità non corrisponde a quel nome, dunque non può né offendersi né farsi male.

A un primo livello di lettura troviamo la comicità provocata dal fatto che lui si lascia schiaffeggiare senza reagire. Un secondo livello di lettura, più raffinato, dice che il corpo umano si abbina a un soggetto parlante che ha un nome e che con quel nome s’identifica: non è solo un corpo animale. Dobbiamo poterci attribuire un dolore per soffrirne e possiamo attribuircelo se sappiamo chi siamo.

Il secondo livello non implica solo la comicità ma anche l’ironia e l’arguzia, chiama in causa la lingua e il suo potere sul corpo. La barzelletta di Totò suggerisce anche che un modo di sfuggire al masochismo c’è e passa attraverso il linguaggio. Se la mia identità si associa a un nome, che non è Pasquale, anche il mio corpo la segue ed io non potrò soffrire al posto di un altro, né per un altro.

La comicità produce il riso perché mette in scena qualche cosa che ci riguarda. Ridere significa ammettere qualche cosa d’inammissibile e d’inconscio che, come nella gag di Totò, è attribuita ad altri. Ridendo del masochismo di un altro ammettiamo anche il nostro, ci identifichiamo con il prossimo.

Il masochismo che ci fa ridere è in genere un masochismo da incompetenza, di chi ci sembra incapace, poco adatto alla vita, un masochismo comune, generalizzabile. Questo tipo di masochismo produce un effetto di simpatia dovuta a un’identificazione inconscia: come il comico o il clown anche noi ci riconosciamo incompetenti. Incompetenti e inadeguati.

Chi potrebbe ritenersi del tutto adeguato a vivere? Prima dell’esaltazione del giovanilismo – come avviene oggi – questa competenza era attribuita agli anziani, a chi aveva vissuto abbastanza per accumulare un sapere sul come si vive. Nella nostra epoca quest’attribuzione di sapere e autorità è più difficile e a ognuno resta il proprio gomitolo di vita da sbrogliare senza nessun sapere che faccia da bussola alla propria ignoranza. L’incompetenza a vivere disegna una zona d’ombra della condizione umana che ci rende tutti un po’ masochisti. Masochista non è solo chi si fa del male ma chi si trova a vivere gettato nel mondo. Senza la risorsa della saggezza degli anziani, immersi in legami umani slabbrati e senza regole, l’antico, infantile sentimento d’impotenza risorge e siamo di nuovo bambini, impotenti e senza soccorso.

1)   “Pasquale” gag di TOTÒ  a “Studio uno” RAI del 1966

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