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SCRIVERE DI SE' E CONSULENZA AUTOBIOGRAFICA


Quindici anni di formazione autobiografica in Casa della Cultura






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SCRIVERE DI SE' E CONSULENZA AUTOBIOGRAFICA

Premessa
Questo articolo è l'esito di una attenta riflessione sul senso delle esperienze di formazione autobiografica, ideate e condotte da Duccio Demetrio da oltre quindici anni, presso la Casa della Cultura di Milano.

1. Scrittura e campi del sapere
La scrittura autobiografica è un genere narrativo oggetto non soltanto di studi sociologici, psicologici e letterari, come erroneamente si potrebbe ritenere. Michel Foucault (in antropologia storica), ne ritrovò le prime tracce nel mondo antico mediterraneo e neocristiano, ad esempio per quanto concerne il bisogno di 'individuazione personale ' dei soggetti (1). Di contro ad ogni tentativo di omologazione e soppressione delle differenze ad opera dei poteri istituzionali. 'In quell'epoca – sottolineava – si trova tutta una cultura di ciò che si potrebbe chiamare la scrittura personale: prendere appunti sulle letture, le conversazioni, le riflessioni che si sono ascoltate o che si sono rivolte a se stessi; tenere delle specie di taccuini...(2). Egli aggiungeva nelle righe seguenti che si trattava di: 'Tecniche che avevano lo scopo di legare tra loro la verità e il soggetto '. Senza che tali pratiche, tuttavia, avessero la pretesa: 'di scoprire una verità nel soggetto, nè di fare dell'anima il luogo in cui risiede la verità in virtù.. siamo ancora molto lontani da quella che sarà un'ermeneutica del soggetto.. si tratta, al contrario, di armare il soggetto con una verità che egli non conosceva e che non risiedeva in lui; si tratta di fare di questa verità, che è stata appresa, memorizzata e applicata progressivamente, un quasi soggetto che regna sovranamente in noi (3). Jacques Lacan (in ambito psicoanalitico) ci ha mostrato - rinnovando la metafora freudiana della scrittura come 'riparazione ' – quanto, nella clinica, sollecitare a scrivere i pazienti rappresenti una fonte di conoscenza indispensabile per il terapeuta, oltre che un sostegno alla loro progressiva autonomizzazione (4) già nel suo corso e successivamente all'analisi terapeutica; Paul Ricoeur (in filosofia ermeneutica) ha voluto invece sottolineare quanto la scrittura delle proprie pagine costituisca per chi vi attenda con sincerità un antidoto all'oblio, oltre che un'esperienza di 'sdoppiamento cognitivo '. Tale da ingenerare processi di rispecchiamento non narcisistico, ma critico e autoanalitico, anche in relazione agli sguardi altrui e ai nostri verso il prossimo nostro (5). Mentre Maria Zambrano, filosofa spagnola della vita, avvalendosi della parola desnacer (rivivere), metteva in luce quanto uno scritto ad orientamento autobiografico, ci consenta di rammentare i nostri vissuti non per una esigenza soltanto memorialistica di tono letterario ed estetico. Per poterli ritrovare, interpretare, giudicare e quindi coglierne anche, ma solo dopo tale scrutinio esistenziale di carattere filosofico, tutta la finezza e la dissolvenza poetica. Riteneva inoltre, e a ragione, che tale intento ci possa consentire– dedicandoci ad essa con costanza– di risalire ai 'punti partenza ', 'ai momenti apicali ' e talvolta 'fatali ' della nostra vita; a quanto la scrittura ci permetterà di svelare nel ritrovato senso retrospettivo di chi ci sia in seguito accaduto di diventare quasi guidati inconsciamente da un destino. I cui indizi già si fossero annunciati nell'infanzia e in quei momenti 'aurorali ', paragonabili a 'stati di grazia ', in grado di indurci a riaprire gli occhi quando questi si fossero assopiti nell'appannarsi della coscienza (6). Negli studi sociologici e di antropologia culturale si distinguono le indagini di Zygmunt Bauman, il quale oltre ad affermare che 'vivere è sempre una soluzione biografica (7), dove l'identità di ciascuno nella contemporaneità è sempre più costretto ad avvalersi di un equilibrio che fa appello alle risorse individuali. L'adozione della scrittura sostiene e porta a termine il compito di auto–chiarificazione di ognuno; ne asseconda le necessità esistenziali di auto–rinnovamento soggettive. Se l'identità è liquida la scrittura non lo è da meno: rappresenta metaforicamente un galleggiante al quale affidarsi per non affondare, tra le opportunità diverse di cui ci si doti. La scrittura di sè condivisa in internet è espressione di un individuo, ad esempio, che non rinuncia a stare individualmente insieme a chi senta 'il bisogno di ri– radicalizzarsi in luoghi comuni, oltre ogni appartenenza: per creare reti fra loro e condividere intimità e creare comunità virtuali (8): di amicizia, solidarietà, cooperazione professionale, dissenso sociale e politico.

2. Una costante esistenziale
Scrivere di sè, nelle sue forme più evolute, travalica sovente la mera narrazione di se stessi. Per aprirsi a questioni, ancora una volta, che riguardano la più generale condizione umana. Da un lato, consente all'autore di prendere coscienza progressivamente della sua situazione psicologica, sociale, civile; dall'altro, permette agli osservatori di raccogliere indizi sufficienti, qualora se ne diventi i lettori, gli storiografi, i biografi, per la formulazione di congetture non soltanto su quel tempo vissuto e narrato, ma sulle rappresentazioni di sè nel tempo. Le più semplici, le più intricate o confuse che egli o ella avranno voluto, potuto, saputo affidare alla penna. Ci troviamo dunque in presenza di manifestazioni del linguaggio, del pensiero, nonchè dinanzi a stati d'animo, in merito ai quali la scrittura prende l'avvio dal desiderio e dalla aspirazione, spesso ad altri taciuta, spesso dettata dall'urgenza esistenziale, contingente e appassionata, di auto–descriversi dinanzi ad accadimenti temporanei di rilievo o i più quotidiani ovvero, riguardanti il riepilogo di un'intera vita. Nel primo caso, la tendenza a raccontarsi evidenziando l'io narrante appare già nell'infanzia, in relazione ai primi passi nell'arte del leggere– scrivere, del pensiero egocentrico; contrassegna, spesso sancendo l'apparire di una vocazione poi destinata a perdurare, gli anni dell'adolescenza, della prima giovinezza. Dove per un io fragile in crescita, disorientato, si rivelerà consolatoria e rasserenante; oppure, risentita, aggressiva, impotente verso tutto e tutti, anche verso di sè. In seguito, come la sterminata diaristica giovanile(ora anche on line) sta a dimostrare, svolgerà un compito iniziatico verso l'età adulta. Ne registrerà i momenti salienti a livello di educazione sentimentale, intellettuale, professionale. E' però nella seconda possibilità, nel susseguirsi delle vicende esistenziali, negli anni della maturità o già approdati all'età senile, che il genere autobiografico ci ha lasciato e lascia le prove migliori anche letterarie. Quando dai primi passi incerti, quelle scritture episodiche e senza ambizioni, approdano a prove più impegnative e feconde che intrecciano la gracile, estemporanea, senza pretese, letteratura dell'io con la creazione artistica.

3. L'autobiografismo: spia del disagio e dei diritti personali contemporanei
Quando dalla grande marea delle scritture personali spiccano opere di grande valore, questo non deve indurci a ritenere le prime una manifestazione irrilevante. Come da sempre gran parte della critica letteraria ha mostrato di ignorare, con fastidio e sufficienza. Tale letteratura impulsiva, drammatica, spontanea, a lungo considerata inferiore e irrilevante, tranquillizzante o supponente, ha comunque dato vita da almeno due secoli a questa parte ad un movimento culturale informale, costituito da ignoti gli uni agli altri, inarrestabile denominato oggi autobiografismo. Spesso incoraggiato da mode sociali o da congiunture drammatiche (la guerra, la prigionia, l'esilio, la negazione delle libertà più elementari..), o, ancora, dettate dalle oscillazioni periodiche delle tendenze individualistiche. Tale comportamento di opinione e di pensiero è una spia sociale alla quale guardare con grande attenzione. In costante aumento, anche per l'introduzione delle nuove tecnologie che hanno accentuato a dismisura il bisogno di interagire esibendo se stessi agli altri mediante lo scrivere. Ci si rivolge alla scrittura per reagire alla solitudine, per farsi ascoltare, per reagire a sofferenze fisiche e psichiche, per testimoniare situazioni estreme. La scrittura personale è prevalentemente in queste circostanze, e in rapporto alla seconda metà della vita, che trova quindi la sua più vera e avvertita ragion d'essere. Sa assecondare l'aspirazione di molti a sottoporre quanto è loro accaduto di provare esistendo ad una sorta di bilancio e di valutazione sul proprio operato; ad un autoesame spassionato durante il quale, nel progredire dello scritto, anche le cose del mondo, estranee a sè, possano essere vagliate con sguardi retrospettivi o introspettivi più liberi, spregiudicati, impudichi. Talvolta severi, fin impietosi, intransigenti a livello etico e autocritico. Quale sia in conclusione l'età di chi scrive, tale pratica si rivela di volta in volta un'esperienza che allevia e lenisce ferite dell'animo o del corpo. E, ancora, ci si rivolge alla penna quale ne sia lo strumento e il supporto, cartaceo o digitale, per ritrovare – al di là del rumore di fondo che la miriade di scritture oltre alle voci creano in ogni istante a livello planetario – quella concentrazione, quel silenzio, quella stanza meditativa che in ogni momento lo scrivere sa offrirci.

4. Un profilo
Quali fossero e siano tuttora le motivazioni, gli stili espositivi, le tecniche discorsive, gli scopi attribuiti alle scritture di sè, tutte furono e sono accomunate, in quella smisurata molteplicità di declinazioni individuali che contraddistingue il genere, da intenti unicamente autobiografici. Chi ne scrisse, chi ne scrive, è mosso dall'impulso per lo più spontaneo di offrire in primo luogo un resoconto impressionistico o accurato di ciò di cui gli sia accaduto di fare esperienza diretta. In un crescendo narrativo che può muovere dai primi ricordi d'infanzia a quanto la vita gli abbia insegnato e che ritenga utile lasciare per iscritto ad altri. Chi scrive era ed è sollecitato a ciò in ragione di emozioni e fatti realmente vissuti. Si scrive da secoli delle avventure e delle vicissitudini attraversate, delle gioie o delle pene d'amore, dei propri successi e fallimenti, delle colpe di cui ritiene di doversi accollare e di quelle di cui non è responsabile, degli enigmi irrisolti, del dolore e delle domande che non troveranno risposta. Del rimpianto, delle occasioni mancate o sprecate, dei progetti interrotti, delle sensazioni di spaesamento, di vuoto ed angoscia che, con la scrittura, si tenta di medicare. Tutto ciò, ed altro ancora, chi scrive di sè vuole disegnare alla ricerca di una mappa: rovistando nella memoria, cercando nessi e trame tra gli eventi, chiedendosi quanto abbiano contato le figure più importanti che l'hanno allevato, educato, ostacolato, incoraggiato. Verso le quali abbia debiti di riconoscenza o sia creditore. Scrivere di tutto questo accende curiosità per le cronologie delle storie delle quali si sia stati interpreti, per i loro intrecci all'inizio incomprensibili, per le monotonie, quanto per gli stati di grazia indimenticabili. Chi scrive di sè è persona appassionata e tenace. Sa che occorre molto coraggio e determinazione. Non tutti difatti sono disposti ad iniziare una simile impresa. Ma chi l'incomincia e la porta a termine avrà atteso al compito di diventare pienamente donna o uomo. Poichè ogni vita conta se abbiamo saputo raccontarla da soli o se, grazie all'aiuto di uno scriba, possiamo rileggerla, rivederla scorrere pagina dopo pagina, coglierne i momenti apicali, le svolte, gli incontri memorabili. La scrittura produce oggetti secreti da noi, nei momenti in cui tutto sembrerebbe non avere consistenza quel manoscritto, quelle pagine di diario, quel libro che porta la nostra firma è la prova, finalmente oggettiva e materiale che abbiamo vissuto. Possono bastare poche pagine, sparse o ordinate, a tessere la mappa di un'esistenza, della quale lo scrivente si percepirà esserne l'unico e assoluto titolare. Chi scrive di sè è, di conseguenza, in un dialogo interiore continuo; adotta una modalità solitaria per conoscersi anche quando quei fogli vengano condivisi, quando qualcuno ad alta voce le leggerà al suo posto. Chi scrive di sè genera processi di sviluppo mentale; talvolta riesce ad incidere sulle proprie abituali condotte cognitive; talaltra, amplia orizzonti di senso, mobilita desideri obliati: si educa a soffermarsi sul dettaglio, sulle cose cui in precedenza aveva attribuito scarsa importanza. Chi scrive di sè contribuisce a risvegliare un amore di sè assopitosi, negato, respinto; ma anche scopre che vive un'opportunità che quasi gli o le impone di elargirlo ad altri. E sarà questo un risultato di carattere morale capace di indurlo a lasciare la penna non più scrivendo soltanto per sè: piuttosto ad invogliarlo a tornare nel mondo, per salvare le storie dei senza scrittura.

5. La varietà delle scritture
Lo scrivere di sè, o autobiografico, comprende una grande varietà di forme narrative minori (l'appunto personale, il graffito, l'epigramma, la pagina sfogo, la lettera ed oggi un messaggio e–mail che attenga impressioni private, riflessioni su di sè, e persino una messaggistica Sms, qualora crei tra le persone legami non più di penna ma di tasto non va trascurato) e maggiori (l'autobiografia in senso proprio, il memoriale, l'epistolario sistematico, il diario metodicamente scritto). L'autobiografia in senso letterale però rappresenta un unicum tutto particolare, le cui implicazioni non si presentano nelle altre forme citate. Essa infatti non è una narrazione spontanea: esige fatica, pazienza, applicazione, volontà di ripercorrere una traiettoria esistenziale di cui si sono smarrite le tracce. Esige metodo e figure che la sappiano proporre, diffondere, sollecitare con identica scrupolosità. Specie nella malattia, nell'oblio a lungo cercato, nell'inevitabile legge del dimenticare per sopravvivere, l'autobiografia svolge una funzione sia lenitiva, sia auto–estimativa che aiuta lo scrivente a superare la crisi di fiducia. Ad ogni modo, autobiografia e diario sono le vie primarie attraverso le quali la scrittura di sè raggiunge i livelli più ambiti e profondi in rapporto agli esiti formativi sia visibili, sia invisibili. Da alcune ricerche emerge infatti che chi ha una consuetudine alla scrittura di sè manifesta modalità di relazioni più controllate, meno nevrotiche; oltre ad una maggiore attenzione verso i bisogni degli altri. Si esercita intellettualmente con continuità, ama leggere, cerca risposte che ne coltivano la mente. Poichè chi si avvale della scrittura acquisisce una consuetudine alla auto–riflessione, agisce con maggiore ponderazione e dominio di sè: non trasferisce il proprio travaglio altrove, ha imparato a convivere sia con il dolore, sia con i momenti più segreti e intensi della vita. Il rapporto con la sofferenza, così come la ricerca della bellezza, del piacere filtrati dalla scrittura sono inoltre fonte di maturazione e miglioramento. D'altro canto, gli scrittori di sè al di là delle manifestazioni osservabili della loro 'diversità ', sanno molto bene quanto tale lavoro produca mutamenti, guidi alla scoperta di sempre nuove dimensioni del pensiero e della sensibilità. Se autobiografia e diario sono dunque senz' altro il cuore della scrittura di sè, nondimeno va ricondotta al 'genere autobiografico ' ogni tipo di scrittura, breve, epigrammatica, impegnativa, in prosa o in poesia che metta al centro tutto il valore dell'io narrante. Il che ci porta a precisare che, proprio in accezioni cliniche e pedagogiche, è l'attenzione all'io – secondo la psicoanalisi la dimensione conscia dell'attività pensante come è noto – ad interessarci maggiormente. Infatti nel genere autobiografico, pur non dimenticando che ogni scrittura personale cela sempre–sotto la sua immediata semantica – dimensioni inconsce, simboliche, latenti, noi cerchiamo le forme attraverso le quali la consapevolezza di sè e del mondo si esprime. Anche grazie alla presenza di specifiche figure di facilitatori e consulenti autobiografi. Ai quali si richiede per altro una formazione che innanzitutto richieda loro la scrittura della propria storia di vita. Oltre a conoscenze connesse con le implicazioni psicoanalitiche, filosofiche, terapeutiche sottese all'esercizio di tale genere narrativo e coscienziale .

6. Dalla autoformazione alla consulenza autobiografica (9)
Nel condurre attività di formazione alla scrittura volte a suscitare disponibilità all'autoformazione autobiografica, accade spesso di imbattersi in una domanda che richiede un approccio personalizzato di carattere clinico. Dinanzi a una fenomenologia di resistenze, di paure, di amnesie che determina l'instaurarsi di una relazione diversa tra il formatore e il potenziale autobiografo. La transizione comporta un cambiamento di postura significativo, il formatore (lo ribadiamo: i cui scopi debbono suscitare autonomia e autoformazione nei suoi interlocutori mediante l'esclusiva attività di scrittura) si assumerà in tal caso compiti a livello di consulenza individuale. Con la conseguenza che occorre istituire un setting di lavoro alquanto diverso, rispetto alle consuete attività informate soprattutto ad una cultura di carattere educativo per l'età adulta. E' dinanzi a questo complicarsi delle circostanze citate che si è indotti, anzi professionalmente costretti, a mutare le modalità di porsi e a scegliere la via –il metodo– della relazione d'aiuto a due. O in qualche caso, della consulenza a microgruppi (dalle tre –alle cinque persone): garantendo un'attenzione ben diversa a ciascuno, una più sollecita analisi e restituzione delle scritture, un aiuto che seppur personalizzato si giova anche dei vantaggi degli scambi interpersonali. In altri casi, senza pretendere di poter dar luogo ad un intervento di natura terapeutica, la scrittura che definiamo in accompagnamento personalizzato e in reciprocità diagrafica è attuabile anche quando ci si trovi in presenza di diagnosi correlate all'abuso di sostanze, alle patologie alimentari, alle depressioni di origine esistenziale grave, alla reintegrazione sociale nelle sue diverse accezioni. Tale intervento si rivela poi opportuno quando la perdita di persone care, una malattia inguaribile o un'infermità permanente, uno sradicamento violento dalla propria rassicurante quotidianità–motivi in precedenza ricondotti alle figure esistenziali dell'esilio–non consenta di riuscire da soli a sostenere un percorso che richiede una presenza sollecita accanto a sè. Una disponibilità, quella del consulente, volta ad intrecciare gli inevitabili e congruenti momenti interlocutori, discorsivi e di ascolto con il narratore e aspirante autobiografo, con le varie sedute allo scrittoio di carattere autografico (esercizi diaristici, appunti, epistolari, epigrammi poetici..) finalizzate alla realizzazione autobiografica conclusiva: alla stesura del proprio romanzo dell'io. Ma, nondimeno, e tale postura costituisce una indubbia peculiarità del metodo, il professionista è chiamato a rendersi disponibile ad 'intrecciare ' la propria scrittura, dia–graficamente, con la penna del suo interlocutore e 'assistito ': per condividere con lui o con lei un itinerario che, ben lungi dal voler mimare una sorta di accompagnamento psicoterapeutico, abbia come 'missione ', contenuto ed oggetto del lavoro interpersonale la memoria del narratore e il presente della sua narrabilità. In tal modo, un'impresa di solidarietà umana (tanto più se affidata ad un volontariato preparato ) prende vita, al di là degli aspetti tecnici. Si origina pertanto un rapporto conversazionale mediante scambi narrativi – anche epistolari a distanza – al quale il consulente parteciperà attivamente, non ergendosi mai ad interprete di quanto, passo dopo passo, andrà emergendo durante la relazione a due. Ma inducendo auto riflessioni costanti sul procedere della scrittura e sulle interpretazioni che lo scrivente man mano esprime rispetto ad esse. La consulenza autobiografica, consiste pertanto nel condurre la persona in disagio esistenziale,verso una sempre maggiore disponibilità ad accettare e ad avvicinare le cagioni della sua sofferenza, di cui lo scriverne, oltre al parlarne, svela altri motivi e aspetti non sempre determinabili soltanto con l'impiego della sola 'terapia della parola (10).


1. M. Foucault, Le tecnologie del sè, Tr.it. Bollati Boringhieri, Torino, 1992
2. bidem, p.105 e ss.
3. Ibidem, p. 116.
4. Si veda di M. Recalcati, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione. Raffaello Cortina, Milano, 2012.
5. P. Ricoeur, Ricordare,dimenticare,perdonare. Tr.it. il Mulino, Bologna, 2003.
6. A.G. Gargani,Il testo del tempo. Laterza, Roma-Bari. Leccardi). Tr.it . Diabasis, Reggio Emilia 2008 ,p.31.
8. Ibidem, p. 38.
9. Presso la Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari, fondata da chi scrive nel 1998, con Saverio Tutino, si tiene una formazione di base e specialistica anche per assumere professionalmente i compiti di un formatore e di un consulente autobiografo.Per informazioni : Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari (www.lua.it - segreteria@lua.it 075-788847). Lo Studio Scriba di Milano offre consulenza autobiografica alle persone che provino difficoltà nella stesura della loro storia pur mosse da questo desiderio ( per informazioni scrivere a segreteria@lua.it )
10. Si veda il mio saggio: La scrittura clinica. Fragilità esistenziali e consulenza autobiografica, Raffaello Cortina, Milano, 2008.



© RIPRODUZIONE RISERVATA

07 MARZO 2015


Michel Foucault (in antropologia storica), ne ritrovò le prime tracce nel mondo antico mediterraneo e neocristiano, ad esempio per quanto concerne il bisogno di 'individuazione personale ' dei soggetti . Di contro ad ogni tentativo di omologazione e soppressione delle differenze ad opera dei poteri istituzionali.


Jacques Lacan (in ambito psicoanalitico) ci ha mostrato - rinnovando la metafora freudiana della scrittura come 'riparazione '















































E' però nel susseguirsi delle vicende esistenziali, negli anni della maturità o già approdati all'età senile, che il genere autobiografico ci ha lasciato e lascia le prove migliori anche letterarie.





























Ci si rivolge alla penna per ritrovare - al di là del rumore di fondo che la miriade di scritture oltre alle voci creano in ogni istante a livello planetario - quella concentrazione, quel silenzio, quella stanza meditativa che in ogni momento lo scrivere sa offrirci.



























Chi scrive di sè è persona appassionata e tenace. Sa che occorre molto coraggio e determinazione. Non tutti difatti sono disposti ad iniziare una simile impresa. Ma chi l'incomincia e la porta a termine avrà atteso al compito di diventare pienamente donna o uomo


Poichè ogni vita conta se abbiamo saputo raccontarla da soli o se, grazie all'aiuto di uno scriba, possiamo rileggerla, rivederla scorrere pagina dopo pagina, coglierne i momenti apicali, le svolte, gli incontri memorabili
















L'autobiografia non è una narrazione spontanea: esige fatica, pazienza, applicazione, volontà di ripercorrere una traiettoria esistenziale di cui si sono smarrite le tracce.


Nel genere autobiografico, pur non dimenticando che ogni scrittura personale cela sempre-sotto la sua immediata semantica - dimensioni inconsce, simboliche, latenti, noi cerchiamo le forme attraverso le quali la consapevolezza di sè e del mondo si esprime.

































...una fenomenologia di resistenze, di paure, di amnesie che determina l'instaurarsi di una relazione diversa tra il formatore e il potenziale autobiografo


Il professionista è chiamato a rendersi disponibile ad 'intrecciare ' la propria scrittura, dia-graficamente, con la penna del suo interlocutore e 'assistito ': per condividere con lui o con lei un itinerario che, ben lungi dal voler mimare una sorta di accompagnamento psicoterapeutico, abbia come 'missione ', contenuto ed oggetto del lavoro interpersonale la memoria del narratore e il presente della sua narrabilità.