Alessandro Gabbianelli  
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FORME ED ECOLOGIE DELLA COESISTENZA


Commento al libro di Antonio di Campli



Alessandro Gabbianelli


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Mi considero in una posizione privilegiata per parlare dell’ultimo libro di Antonio di Campli, La differenza amazzonica. Forme ed ecologie della coesistenza, edito da LetteraVentidue nel 2021. Questo per il semplice motivo che ho avuto il piacere di condividere con l’autore alcuni anni di insegnamento tra i più belli vissuti all’interno dell’università e, di conseguenza, alcune tra le ricerche più originali che abbia affrontato. Nel 2012 nella Scuola di Ateneo Architettura e Design Eduardo Vittoria di Ascoli Piceno – per volontà di Luigi Coccia, professore di Composizione architettonica in quella stessa sede – tenemmo il laboratorio di Progettazione architettonica e urbana. Da quel momento, fino ancora a oggi, la didattica e la ricerca, con periodi più o meno frenetici, divennero per noi motivo di incontro e prolifico scambio di idee. Ci fu una pausa abbastanza lunga nella nostra condivisione delle aule universitarie a causa del trasferimento di Antonio in Sud America, dove si recò nel 2015 per riprendere i suoi studi sull’Amazzonia. Non smettemmo di rimanere in contatto e gli aggiornamenti sull’avanzamento delle sue indagini sugli spazi opachi della foresta erano periodici, ricchi di dettagli e aneddoti esotici. Proprio dal lavoro incessante di quegli anni iniziava a prendere corpo la ricerca che trova nelle pagine del libro La differenza amazzonica la sua esplicitazione più ampia. Ma prima di entrare in merito ai contenuti del volume è necessario spendere alcune parole sulla metodologia che ha guidato il lavoro – e del quale, come dicevo, sono stato testimone a distanza – poiché si tratta di un approccio agli studi urbano-territoriali purtroppo sempre meno frequente e praticato.

L’indagine di Antonio di Campli sulle “forme ed ecologie della coesistenza” muove dalla diretta osservazione dei fenomeni, delle pratiche, dei gruppi sociali che abitano i territori della foresta amazzonica ecuadoriana. Un’osservazione fatta dal ‘basso’, a stretto contatto con la moltitudine di soggetti che animano e trasformano il territorio amazzonico che l’autore ha in parte attraversato, vissuto, esperendo la sua complessità spaziale, le trame ecologiche e sociali. L’approccio alla foresta amazzonica e alle popolazioni che la abitano ricorda quello del ricercatore protagonista del film El abrazo de la serpiente (2015) del regista colombiano Ciro Guerra. Ispirandosi all’esperienza dell’etnologo tedesco Theodor Koch-Grunberg condotta nel 1909 e a quella intrapresa dal biologo americano Richard Evans Schultes negli anni Quaranta del Novecento, il film racconta la ricerca da parte dei due studiosi di una pianta rara attraverso un viaggio all’interno della foresta. Accompagnati dallo stesso sciamano, il tentativo di ritrovamento diventa un continuo indagare dei rapporti tra uomo e foresta, tra uomo e natura, ma soprattutto un interrogarsi sulla natura propria dell’uomo (non manca nel film una riflessione sulla brutalità del colonialismo). Anche per di Campli la presa di coscienza dei luoghi e delle genti, il tentativo di decifrare i codici spaziali e le intrecciate dinamiche di coesistenza è stata supportata dalla popolazione indigena che fa riferimento ovviamente al mondo accademico, universitario e della ricerca, ma anche dagli abitanti dei territori esplorati che hanno contribuito con le loro testimonianze e racconti a sensibilizzare e guidare lo sguardo dello studioso forestiero verso un mondo, quello della foresta, complesso, opaco, stratificato.

Allo stesso tempo, l’indagine sul campo è stata supportata da un apparato teorico consistente che torce e amplia i “concetti di ‘spazio opaco’ (Edouard Glissant), di ‘pensiero cannibale’ (Oswaldo de Andrade ed Eduardo Viveiros de Castro) di ‘distruzione’ e ‘vacillazione’ (Euclides de Cunha), di ‘differenza coloniale’ (Anibal Quijano, Gloria Anzaldua e Walter Mignolo)” (p. 12). Questi due flussi di ricerca: esperienziale e teorico-concettuale si confrontano, si intrecciano, si completano, si mettono in crisi in uno scambio senza soluzione di continuità in quel processo di verifica costante della validità degli indizi tangibili e teorici a supporto della tesi sostenuta. L’indagine di di Campli sembra ispirarsi a un approccio euristico dove a un primo errare, non sempre lineare, tra la moltitudine delle informazioni esplorate e raccolte, segue una rigorosa ricostruzione delle vicende, degli spazi indagati e della letteratura scientifica per formulare ipotesi progettuali di trasformazione dei territori amazzonici.

L’approccio diretto all’indagine porta lo studioso a maturare un pensiero e alcune riflessioni che riescono a insinuarsi negli interstizi dello stato dell’arte che i più ignorano, mettendo in evidenza anche in questo lavoro una vivacità e originalità nel leggere la contemporaneità e i processi che la caratterizzano. Lo sguardo dell’urbanista è sempre alternativo a quello che generalmente si conosce, libero da preconcetti e ampio nell’avvalersi di conoscenze che spaziano dalla teoria urbanistica, alla letteratura decoloniale, alle ricerche sociologiche. Grazie a questa profondità investigativa e una conoscenza che attraversa saperi differenti l’Amazzonia proposta nel libro non è solo il «polmone verde» o lo «scrigno della biodiversità» come appunta l’autore (p. 13), né un paesaggio primordiale dove la presenza dell’uomo si deve ancora manifestare e la progettualità ammessa non è legata alle sole azioni di “salvaguardia”, “protezione” e “valorizzazione”. Il problema che si pone di Campli non è tanto l’insormontabile questione della “salvezza della selva” che sarebbe un desiderio velleitario, ma si focalizza sulla risoluzione di problemi risolvibili (p.13) attraverso azioni di progetto. Le possibilità progettuali vengono indagate nella prima sezione del libro: Oggetti e processi spaziali dove attraverso il concetto di “differenza coloniale” si ipotizzano «costruzioni di forme di progetto centrate sull’analisi dell’interazione e del conflitto tra differenti culture, ecologie socio-spaziali, e sulla loro messa in relazione» (p.13). Attraverso i saggi di María Fernanda Luzuriaga Torres, Isabel Peñaranda Currie, Ricardo Avella, Maria de los Angeles Cuenca Rosillo e María Fernanda León Vivanco si esplorano alcuni casi studio dislocati in territori dell’amazzonia differenti che aiutano a definire alcune strategie che mettono in discussione gli abituali approcci pervasi da una cultura eurocentrica che vizia la lettura dei contesti e delle dinamiche sociali e influenza ideologicamente la relativa elaborazione di possibili configurazioni territoriali. Nella successione dei capitoli si ha la possibilità di muoversi nelle indagini di territori ampi ed eterogenei, esemplificativi di teorie differenti. Dal cantone di Tena, luogo marginale che viene letto secondo le teorie del border thinking o pensamiento fronterizo, si passa all’analisi delle politiche di colonizzazione statale prendendo come riferimento il dipartimento di Caquetá in Colombia nel periodo compreso tra il 1959 al 1981. I due capitoli successivi indagano il discorso “estrattivista” verificando le teorie afferenti al Resource Extraction Urbanism come risposta ai problemi dovuti dalla presenza di forte economie legate sia all’attività mineraria nella Guayana venezuelana che a quella petrolifera nell’Amazzonia meridionale ecuadoriana. Si passa poi ai fenomeni di infrastrutturazione del territorio amazzonico dell’Ecuador sud-orientale lette secondo una torsione delle teorie legate al cosiddetto Infrastructural Urbanism. Infine, la sezione si conclude con lo scritto Intimità radicali dove lo stesso autore tesse la “trama” finale intrecciando i quattro fili concettuali dei saggi precedenti – “ecologia decoloniale, debito, suolo, produzione/generazione” – in un nodo unico, quello di “città decoloniale”.

L’Amazzonia viene osservata come uno spazio definito attraverso una lotta continua tra saperi, desideri, economie, luogo ideale per ragionare attorno alle forme ed ecologie della coesistenza attraverso una ricerca, quella di Antonio di Campli, intesa come «soggettività mossa da affetti e relazioni […]; un intreccio mobile e non del tutto razionalizzabile e formalizzabile di interessi, motivazioni, conoscenze e convinzioni» (P.L. Crosta, C. Bianchetti, Conversazioni sulla ricerca, Donzelli 2021, p. 2) che vuole rilanciare una concezione libera e plurale dello studio e della produzione scientifica e progettuale.

Alessandro Gabbianelli

 

 

 

N.d.C. Alessandro Gabbianelli, architetto phd, è professore associato in architettura del paesaggio presso l’Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Architettura. È membro della rete internazionale Design Heritage Tourism Landscape (DHTL) e socio della Società Scientifica Italiana di Architettura del Paesaggio / Italian Academic Society of Landscape Architecture (IASLA).
La sua ricerca si focalizza sullo studio degli spazi e territori residuali e sulla loro riconfigurazione attraverso il progetto paesaggistico. Si occupa inoltre dello studio del paesaggio come patrimonio e della sua valorizzazione. Dal 2010 è collaboratore e corrispondente per l’Italia della rivista internazionale di paesaggio «Paysage Topscape».
Ha fatto parte di gruppi di progettazione e di ricerca nazionali, partecipato come relatore a convegni in Italia e all’estero, organizzato seminari, mostre, eventi.
È autore di articoli, saggi, monografie. Tra i suoi libri: Spazi residuali. La vegetazione nei processi di rigenerazione urbana (GotoEco, 2017); inoltre ha curato: Delinking. Lo spazio della coesistenza con Antonio di Campli (LetteraVentidue, 2022); Nature in città. Biodiversità e progetto di paesaggio in Italia con Bianca Maria Rinaldi e Emma Salizzoni (il Mulino, 2021); Riciclasi capannoni con Luigi Coccia (Aracne, 2015).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.

 

 

 


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22 LUGLIO 2022

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
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prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
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Filippo Maria Giordano
Federica Pieri

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
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Conferenze & dialoghi

2017: Salvatore Settis
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2018: Cesare de Seta
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2019: G. Pasqui | C. Sini
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2021: V. Magnago Lampugnani | G. Nuvolati
locandina/presentazione
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Gli incontri

2021: programma/1,2,3,4
2022: programma/1,2,3,4
 
 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021: online/pubblicazione
2022:

M. C. Ghia, Roma: una città reale, molte immaginarie, commento a: P. O. Rossi, La città racconta le sue storie (Quodlibet, 2021)

G. Consonni, Una città visionaria per catturare l'incanto, commento a: N. Dal Falco, Un viaggio alla Scarzuola (Marietti, 2021)

L. P. Marescotti, Pianificare è necessario, nonostante tutto, riflessione a partire dai libri di: F. Schiaffonati (Lupetti, 2021), P. Portoghesi (Marsilio, 2019), G. Piccinato (Roma-Tre Press), et al.

L. Rossi, La cartografia come spazio di vita, commento a: D. Poli, Rappresentare mondi di vita (Mimesis, 2019)

C. Tedesco, Una cultura urbana che riparta dal vissuto, commento a: C. Cellamare, F. Montillo, Periferia. Abitare Tor Bella Monaca (Donzelli, 2020)

M. Barzi, Indagare i margini, ovunque si trovino, commento a: J. L. Faccini, A. Ranzini, L’ultima Milano (Milano, Fondazione G. Feltrinelli, 2021)

C. Mazzoleni, Riaffermare il ruolo dell'Urbanistica, Commento a: C. Doglio, Il piano aperto, a cura di S. Proli (Elèuthera, 2021)

A. M. Brighenti, Il fascino discreto dell'interstizio urbano, commento a: B. Bonfantini, I. Forino, (a cura di), Urban interstices in Italy (Lettera Ventidue, 2021)

R. Pavia, Il porto come soglia del mondo, commento a: B. Moretti, Beyond the Port City (Jovis, 2020)

S. Sacchi, Lo spazio urbano è necessario, commento a L. Bottini, Lo spazio necessario (Ledizioni, 2020)

D. Calabi, La "costituzione" degli ebrei di Roma, commento a: A. Yaakov Lattes, Una società dentro le mura (Gangemi, 2021)

F. Ventura, Memoria dei luoghi ed estetica dell'Ircocervo, riflessione a partire da: G. Facchetti, C’era una volta a San Siro (Piemme, 2021) e P. Berdini, Lo stadio degli inganni (DeriveApprodi, 2020)

E. Scandurra, Il territorio non è una merce, commento a: M. Ilardi, Le due periferie (DeriveApprodi, 2022)

A. Mela, Periferie: serve una governance coerente, commento a: G. Nuvolati, Alessandra Terenzi (a cura di), Qualità della vita nel quartiere di edilizia popolare a San Siro, Milano (Ledizioni, 2021)

M. A. Crippa, Culto e cultura: una relazione complessa, commento a: T. Montanari, Chiese chiuse (Einaudi, 2021)

V. De Lucia, La lezione del passato per il futuro di Roma, commento a: P. O. Rossi, La città racconta le sue storie (Quodlibet, 2021)

M. Colleoni, Mobilità: non solo infrastrutture, commento a: P. Pucci, G. Vecchio, Enabling mobilities (Springer, 2019)

G. Nuvolati, Una riflessione olistica sul vivere urbano, commento a: A. Mazzette, D. Pulino, S. Spanu, Città e territori in tempo di pandemia (FrancoAngeli, 2021)

E. Manzini, Immaginazione civica, partecipazione, potere, commento a: M. d'Alena, Immaginazione civica (Luca Sossella, 2021)

C. Olmo, Gli intellettuali e la Storia, oggi, commento a: S. Cassese, Intellettuali (il Mulino, 2021); A. Prosperi, Un tempo senza storia (Einaudi, 2021)

A. Bagnasco, Quale sociologia e per quale società?, commento a: A. Bonomi (a cura di), Oltre le mura dell’impresa (DeriveApprodi 2021)

R. Pavia, Le parole dell'urbanistica, commento a A. A. Clemente, Letteratura esecutiva (LetteraVentidue, 2020)

G. Laino, L'Italia ricomincia dalle periferie, commento a: F. Erbani, Dove ricomincia la città (Manni, 2021)

G. Consonni, La bellezza come modo di intendersi, commento a: M. A. Cabiddu, Bellezza. Per un sistema nazionale (Doppiavoce, 2021)