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Non sempre i titoli dei libri indicano con chiarezza le intenzioni degli autori o dei curatori e gli esiti dei loro sforzi. Nel caso del volume curato da Anna Delera e da Elisabetta Ginelli, Storie di quartieri pubblici. Progetti e sperimentazioni per valorizzare l’abitare (Mimesis 2022), il titolo ci mette invece efficacemente sulla strada, mostrando in modo limpido le istanze che guidano il volume e il punto di vista assunto.
Innanzitutto, il tema: i quartieri pubblici, ossia quelle parti di città progettate e costruite unitariamente, con risorse pubbliche, lungo l’arco del Novecento, per rispondere alla domanda abitativa di gruppi sociali meno abbienti che non avevano accesso all’abitazione attraverso il libero mercato. L’oggetto dell’attenzione non sono dunque singoli edifici, ma complessi di edifici, spazi pubblici e servizi organizzati, in modi molto diversi ma comunque riconoscibili, come quartieri. Tanto è vero che nei capitoli del libro i quartieri sono chiamati per nome (INCIS Decima, Lotto ‘0’, Sbarre, Sant’Agabio, Corviale, Lorenteggio…), a indicare non solo una identità architettonica e urbanistica, ma anche un vissuto, una vicenda che si dipana nel tempo, una storia di persone e di luoghi. Perché appunto di storie si tratta, come dice il titolo in apertura. Racconti che cercano di restituire i caratteri tipologici e insediativi, le tecniche di costruzione e il disegno dello spazio aperto, ma anche la connessione tra ambienti e pratiche di vita, e soprattutto di interrogare i mutamenti nel tempo, le metamorfosi, i processi di degrado e in qualche caso i successi nelle operazioni di riqualificazione, il lavoro del tempo sulle cose e sulle popolazioni.
Storie, dunque, che osservano i quartieri pubblici per riconoscere le sperimentazioni (quelle messe in campo dai primi progettisti, quelle attivate nel difficile lavoro di chi oggi prova a migliorare la qualità materiale e sociale di queste parti di città) e i progetti. Progetti d’autore, in molti casi, ma anche progetti più ordinari, progetti di ieri e di oggi, che il libro si propone di scomporre per riconoscere strategie e strumenti per la valorizzazione dell’abitare. Attenzione, non valorizzazione del patrimonio, ma dell’abitare, ossia messa a valore della vita delle donne e degli uomini che abitano questi luoghi, reinventandone continuamente il senso e sfidando le culture del progetto a misurarsi con l’intreccio difficile tra dimensione spaziale e sociale dell’abitare.
Intenzioni
Il volume è mosso dunque da intenzioni molto chiare, esplicitate nel saggio introduttivo di Delera e Ginelli (“Perché raccontare storie di quartieri pubblici”). In primo luogo, perché i quartieri pubblici sono parte rilevante delle città italiane, specialmente di quelle più grandi. Per quanto il volume complessivo delle case pubbliche sia oggi di poco superiore al 3% sul totale dello stock edilizio residenziale, nelle aree urbane i quartieri pubblici rappresentano un patrimonio importante, anche dal punto di vista quantitativo. Ma più ancora, essi connotano oggi ambiti che richiedono cura e immaginazione progettuale, in ragione della loro collocazione, per i caratteri insediativi, la morfologia sociale, la concentrazione di problemi e possibilità. La “città pubblica”, della quale si era occupata alcuni anni fa una ricerca nazionale coordinata da Paola Di Biagi (1), fa problema, costituisce un inciampo, un nodo spesso irrisolto delle politiche urbane e delle culture del progetto, che spesso le retoriche della rigenerazione urbana non riescono nemmeno a scalfire. In tutta Europa, come evidenziato ormai da molteplici lavori di ricerca interdisciplinare ma anche dall’attenzione rinnovata delle culture architettoniche più attente alla dimensione sociale (2), il ripensamento e la sperimentazione progettuale sui quartieri pubblici costituiscono una sfida ineludibile e insieme insidiosa. Ciò dipende, come evidenziato dalle curatrici e da Luca Telluri, già Presidente di Federcasa, nel suo saggio introduttivo, sia dai caratteri materiali di questo patrimonio, costruito nel corso di molti decenni e oggi in larga parte in condizioni inaccettabili di manutenzione e di incuria, sia dalla natura socialmente composita della società insediata in questi quartieri, nei quali si concentrano fragilità economiche, sociali e personali spesso estremamente difficili da trattare con gli strumenti ordinari del welfare.
I quartieri pubblici, insomma, sono spesso luoghi del disagio e della sofferenza sociale, ma anche, più semplicemente, della povertà e dell’ingiustizia. Luoghi che emergono all’attenzione della discussione pubblica, e della politica, solo quando balzano agli occhi situazioni ed eventi particolarmente eclatanti. Luoghi spesso dimenticati, soprattutto nel corso degli ultimi tre decenni, nei quali il discredito nei confronti di tutto ciò che è pubblico ha spostato sempre più l’attenzione dei decisori politici, e le risorse, verso altre finalità e verso altre parti delle città. Non possiamo infatti scorporare la vicenda dei quartieri pubblici dal movimento profondo che a partire dagli anni Ottanta del Novecento ha spostato il pendolo della politica dal pubblico al privato, ha depauperato le risorse pubbliche, ha smontato pezzi significativi di welfare, ha ridotto l’attenzione verso la cura e la manutenzione delle case e dai servizi. Non a caso, a partire dagli anni Novanta non si sono più costruire case pubbliche, mettendo in crisi la capacità del sistema di assorbire una domanda abitativa diversa dal passato ma non per questo meno urgente.
Infine, come evidenziato dalle curatrici, il libro costituisce anche una occasione per offrire alle amministrazioni, ai progettisti, agli attori responsabili della gestione del patrimonio pubblico, ma anche agli abitanti e a tutti i soggetti coinvolti nella vita dei quartieri, un repertorio di sperimentazioni progettuali in una fase nella quale, in ragione della pandemia, è ripreso un ciclo significativo di investimenti pubblici. Il PNRR, come è noto, assegna risorse ingenti (2,8 miliardi di Euro per attuare il Programma Innovativo Nazionale per la Qualità dell’Abitare – PiNQuA) alla riqualificazione dei quartieri pubblici. Il punto decisivo è garantire qualità progettuale e attenzione alla dimensione integrata dei problemi e delle soluzioni, partecipazione attiva degli abitanti nel processo, attenzione alle specificità e ai caratteri storici del patrimonio oggetto di intervento. Purtroppo, la logica del PNRR non sembra andare in questa direzione; tuttavia, un lavoro come quello curato da Delera e Ginelli potrebbe offrire contributi utili nella fase di attuazione del programma.
Il volume: struttura, presupposti e punti di vista
Il libro è l’esito di una call, promossa da Anna Delera e da Elisabetta Ginelli a partire dal lavoro da esse svolto nell’ambito del Cluster Social Housing della Società Italiana della Tecnologia dell’Architettura (SITdA). A partire dalle proposte della call il libro ha raccolto una trentina di contributi realizzati da circa cinquanta autori e autrici provenienti da molte sedi universitarie e da diversi settori disciplinari (tecnologia, urbanistica, storia dell’architettura, restauro, progettazione architettonica e urbana, ma non solo).
Il volume è strutturato in tre sezioni. Anche se talora alcuni contributi potrebbero essere collocati trasversalmente in più sezioni, le tre parti si concentrano rispettivamente sull’evoluzione storica dei quartieri pubblici (“Storia e innovazione. Una lezione di progetto”), sulle dimensioni di processo, sociali, gestionali e di policy connesse ai progetti di riqualificazione dei quartieri pubblici sperimentati negli ultimi decenni (“Ricerca prospettive e sperimentazioni”) e su una serie di proposte di rigenerazione e riqualificazione ambientale e sociale avviate negli ultimi anni (“Progetti di valorizzazione dell’abitare”).
Le città a cui sono dedicati un numero maggiore di contributi sono Napoli, Roma e Milano, Torino, anche se ci sono interessanti capitoli dedicati a città medie (Brescia, Novara, Trento, Piacenza, Taranto). In molti racconti al centro dell’attenzione sono quartieri molto noti e studiati, che sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo (Ponticelli, Corviale…), in altri di situazioni meno note, anche dimensionalmente più ridotte, ma di grande interesse dal punto di vista delle sperimentazioni che in esse sono state realizzate sia nei progetti originari, sia nelle azioni di qualificazione.
Come già detto, si tratta di “storie”, di narrazioni, che si propongono oi di restituire il sapore, i caratteri materiali e immateriali, di quartieri molto diversi tra loro per collocazione, impianto, tipologie edilizie, caratteristiche della composizione sociale. Le storie dei quartieri non mancano, tuttavia, di alludere a possibilità ulteriori di lavoro, indicando anche esiti operativi per un’attività di rigenerazione e riqualificazione ancora da compiere.
I racconti, nella loro varietà, condividono un’atmosfera comune, e sono cuciti tra loro da un insieme di presupposti che le curatrici non mancano di sottolineare nella sezione introduttiva del volume. Innanzitutto, stiamo parlando delle “case popolari”. Come evidenzia Elisabetta Ginelli nel suo saggio introduttivo, l’edilizia residenziale pubblica in Italia deve essere chiaramente distinta dalle forme di edilizia convenzionata o anche sovvenzionata che vanno sono i nomi, spesso ambigui, di “housing sociale “ o di “social housing”. Non sono in questione in questo volume le forme di sperimentazione avviate (soprattutto in alcune parti del Paese) per rispondere alla domanda abitativa della “zona grigia” tra il libero mercato e l’ERP. È solo a quest’ultimo che, opportunamente, il volume guarda, assumendo che è solo nelle “case pubbliche” che possiamo trovare una risposta adeguata alla richiesta di quelle che Antonio Tosi chiama le “case dei poveri” (3).
Secondo presupposto: se l’oggetto di attenzione è il patrimonio pubblico, è necessario assumere, per dirla con Anna Delera, che «è dagli anni ’90 del secolo scorso che le politiche della casa sono andate gradualmente, e sempre di più, nella direzione del sostegno alla ‘proprietà’ senza che ciò corrispondesse necessariamente al raggiungimento di un innalzamento del benessere sociale» (pp. 43-44). Il taglio drammatico dell’offerta di nuovi alloggi, la riduzione delle risorse per la gestione del patrimonio esistente, la crisi delle aziende pubbliche proprietarie di questo patrimonio, il progressivo peggioramento delle condizioni sociali e della stessa solvibilità delle famiglie e dei singoli affittuari, rappresentano lo sfondo ineludibile per qualunque ragionamento progettuale. Per questa ragione, le sperimentazioni progettuali descritte nel volume sono anche sperimentazioni gestionali e di policy.
Fermi restando questi presupposti, gli sguardi selezionati dei racconti sono diversi e complementari. Il punto di vista della storia permette di riconoscere alcune “storie dimenticate” dell’edilizia residenziale pubblica (si veda il contributo di Laura Daglio): non solo quelle delle Periferie Urbane d’Autore (discusse da Silvia Nigro e Carola Clemente), ma anche quelle disegnate da figure importanti di progettisti che hanno lavorato all’interno degli Istituti Autonomi delle Case Popolari (è il caso di Giovanni Broglio, che ha operato a lungo a Milano, e che è ricordato nei contributi di Gianluca Pozzi, Giulia Vignati, Giovanni Battista Barbarossa e di Elia Zanoni) e quelle di vicende storiche molto note, come quella degli esiti dell’applicazione della Legge 167 a Napoli (Aurora Maria Riviezzo) e meno note (il caso bresciano presentato da Andrea Delmenico e Valentina Puglisi). Lo sguardo del progetto architettonico è invece mobilitato sia per dar conto di pratiche progettuali diverse, come quelle relative al caso di Taranto (descritte da Pasquale Mei), sia per richiamare l’evoluzione sociale e urbana dell’edilizia popolare in casi ben noti, a Roma come a Napoli (si vedano i contributi di Marco Giampaoletti e Giada Romano su INCIS Decima e San Basilio a Roma; Martina Nobili ed Eugenio Arbazzini sul Pineto; Marina Block, Grazia Pota e Anita Bianco su Ponticelli; Valeria D’ambrosio e Maria Rosaria Locasso sui quartieri post sisma). Un ulteriore aspetto considerato è quello urbanistico, che viene diversamente trattato ad esempio nei contributi dedicati alla “palestra didattica” sui quartieri milanesi proposta da Chiara Merlini, Claudia Parenti e Cristina Renzoni, sia nell’approccio “metropolitano” mobilitato con riferimento al caso milanese da Laura Pogliani e Mario Paris.
Anche la dimensione di policy e gestionale viene assunta come snodo centrale per dare efficacia alle diverse strategie progettuali. In questo sguardo, che è messo a fuoco in molti contributi tra i quali quelli di Lilliana Padovani, Francesca Cognetti, Caterina Quaglio, Roberto Bolici e Patrizio Losi, Sofia Sebastianelli e Sara Braschi, Matteo Gambaro), l’attenzione è posta sul difficile equilibrio tra innovazione nei policy tools e cura dei meccanismi di interazione sociale che possono favorire, anche attraverso la partecipazione degli abitanti, l’efficacia sociale dei progetti.
Infine, un ruolo decisivo e centrale è assunto in molti contributi dalle sperimentazioni tecnologiche orientate alla rigenerazione ambientale (Michele Lepore, Luciana Mastroleonardo), alla transizione ecologica, intesa anche come occasione per costruire comunità resilienti (Paolo Carli e Luca Fabris), al miglioramento delle prestazioni energetiche (Valentina Dessì), alle addizioni spaziali tecnologiche ed energetiche (Marco Giampaoletti e Giada Romano).
Questi diversi punti di vista permettono di comprendere come progetti efficaci e responsabili per i quartieri pubblici abbiano bisogno di lavorare a scale diverse (dall’edificio alle connessioni urbane), suonando contemporaneamente molti tasti (possibilmente in accordo) della tastiera del progettista e mobilitando congiuntamente l’immaginario urbanistico, quello compositivo e quello tecnologico, assumendo una adeguata prospettiva storica e prestando attenzione ai problemi della gestione e della partecipazione e del coinvolgimento degli abitanti.
Questioni aperte
I progetti e le sperimentazioni, del passato e del presente, raccontati in questo libro, rappresentano, come già accennato, un importante repertorio per le azioni e i programmi a venire. Restano tuttavia aperte alcune questioni “strutturali”, che il volume non intende trattare direttamente ma che influenzano qualunque strategia progettuale.
La prima questione attiene alla possibilità di affrontare il tema della casa pubblica in Italia senza prendere di petto la necessità di realizzare nuovi alloggi. Alloggi veramente “pubblici”, alloggi ERP che rispondano a una domanda abitativa rilevante, che per esemplificare potremmo definire “dei più poveri”. La domanda inevasa di questo tipo di alloggi non può probabilmente trovare risposta solo nella, pur necessaria, razionalizzazione, riqualificazione e buona gestione del patrimonio esistente.
La seconda questione riguarda la natura “sperimentale” dei progetti restituiti in questo volume. Abbiamo certamente bisogno di sperimentazioni, anche locali e gestire dalle amministrazioni decentrate. Tuttavia, abbiamo forse anche bisogno di una grande politica nazionale sulla casa pubblica, che sia dotata di risorse adeguate e che sia capace di rispondere strutturalmente alla domanda abitativa inevasa che emerge dalle fasce più fragili della popolazione, soprattutto in un contesto nel quale la quota di reddito utilizzata per i servizi abitativi è eccessiva e insostenibile, in particolare per i più giovani.
Infine, la terza questione riguarda i meccanismi di governance del sistema, che necessitano di una profonda revisione, a partire dal destino degli enti gestori. Su questo snodo, necessario per dare efficacia e continuità ai progetti sperimentali, è indispensabile che le sperimentazioni siano non solo tipologiche, tecnologiche, ambientali, ma anche gestionali e sociali. In assenza di questa dimensione, il rischio di inefficacia è molto elevato.
Queste domande fanno emergere un uso possibile del libro curato da Anna Delera ed Elisabetta Ginelli: sollecitare politiche e programmi generali a partire dalla consapevolezza della necessità di assumere un atteggiamento innovativo e sperimentale. Da questo punto di vista, Storie di quartieri pubblici è uno strumento potenzialmente importante per dare corpo al ruolo e all’impegno civile dell’università e delle culture del progetto per la valorizzazione dell’abitare.
Gabriele Pasqui
Note 1) Laboratorio Città Pubblica, Città pubblica. Linee guida per la riqualificazione urbana, Bruno Mondadori, Milano 2009. Per Milano si veda anche il lavoro curato da Francesco Infussi, Dal recinto al territorio. Milano, esplorazioni nella città pubblica, Bruno Mondadori, Milano 2011. 2) A solo titolo di esempio richiamo due volumi emersi nell’ambito del lavoro svolto nel progetto Dipartimenti di Eccellenza – Fragilità Territoriali del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano: E. Fontanella, a cura di, Rigenerare periferie fragili. Posizioni sul progetto per le periferie urbane, LetteraVentidue, Siracusa 2021 e F. Lepratto, Trasformare case e quartieri, Maggioli, Santarcangelo di Romagna (RI) 2021. 3) A. Tosi, Le case dei poveri. È ancora possibile pensare a un welfare abitativo?, Mimesis, Milano-Udine 2017.
N.d.C. - Gabriele Pasqui, professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano, ha diretto il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani dal 2013 al 2019. Attualmente è responsabile scientifico di un progetto di ricerca sulle Fragilità territoriali selezionato dal Miur nell’ambito dell’iniziativa “Dipartimenti di Eccellenza”. Tra i suoi libri: Il territorio delle politiche (F. Angeli, 2001); Confini milanesi (F. Angeli, 2002); Progetto, governo, società (F. Angeli, 2005); Territori: progettare lo sviluppo (Carocci, 2005); Città, popolazioni, politiche (Jaca Book, 2008); con P. C. Palermo, Ripensando sviluppo e governo del territorio (Maggioli, 2008); con A. Lanzani, L'Italia al futuro (FrancoAngeli, 2011); con A. Balducci e V. Fedeli, Strategic Planning for Contemporary Urban Regions (Ashgate, 2011; Routledge, 2016); Urbanistica oggi (Donzelli, 2017); La città, i saperi, le pratiche (Donzelli, 2018); con C. Sini, Perché gli alberi non rispondono. Lo spazio urbano e i destini dell'abitare (Jaca Book, 2020); con L. Montedoro, Università e cultura. Una scissione inevitabile? (Maggioli, 2020); Coping with the Pandemic in Fragile Cities (Springer, 2022). Per Città Bene Comune ha scritto: Pensare e fare urbanistica, oggi (26 febbraio 2016); Come parlare di urbanistica oggi (8 giugno 2017); I confini: pratiche quotidiane e cittadinanza (11 gennaio 2019); Più Stato o più città fai-da-te? (21 febbraio 2020); La storia tra critica al presente e progetto (23 ottobre 2020); La ricerca è l’uso che se ne fa (28 maggio 2021).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 16 SETTEMBRE 2022 |