Carlo Olmo  
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LA MEMORIA COME PROGETTO


Tre libri per riflettere sul senso delle parole e delle cose



Carlo Olmo


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Quello che lega questi tre libri – Lisa Parola, Giù i monumenti? Una questione aperta (Einaudi, 2022); Bruno Pedretti, Il culto dell’autore. Le arti al tempo della civiltà estetica (Quodlibet, 2022) e Filippo Barbera, Domenico Cersosimo e Antonio De Rossi, a cura di, Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi (Donzelli, 2022) – non sta né in una certa assonanza tematica né nel loro riferirsi a opere che, come sosteneva Walter Benjamin, “sono state piegate dalla borghesia a oggetti di distrazione, di divertimento o piacere contemplativo”. Piuttosto, questi libri sono una presa d’atto che parole a cui corrispondevano ‘cose’ hanno perso, come direbbe Sigmund Freud, la loro radicalità generando conflitti. Cosa che accade ancor più frequentemente quando parole fondative del pensiero occidentale – come monumento, autorità, località – sono connotate da un uso politico non solo della parola stessa, ma perfino delle narrazioni ad essa connesse (Bruner 1987). Le dialettiche sul loro significato ne hanno segnato la storia ma sono presto finite in soffitta, dopo millenni di vita difficile, contrastata, ma sempre cruciale per identificarne e condividerne il senso. Il presentismo si è fatto feroce, anche perché non è più la borghesia a governarne l’interpretazione e i possibili significati.

Lisa Parola sfoglia, con un ethos partecipativo, un tema emblematico: la demolizione, la sostituzione, lo spostamento di statue, sculture, simboli, ovvero del monumento nell’accezione più comune del termine che viene messa in discussione da nuove egemonie culturali di genere, razziali, politiche. Tutte hanno come obbiettivo il suo significato greco, l’essere testimonianza di ingiustizie, violenze, in alcuni casi di un’interpretazione univoca della storia. Ma anche testimonianza, nella sua radice romana, è ormai una parola uscita dal senso che le aule giudiziarie romane e bizantine le avevano attribuito e soffre di quell’ Abuse of the history di cui già scriveva, nel 1873, Friedrich Nietzsche.

L’autrice analizza un fenomeno che tocca tutto il mondo. Ad essere demolite sono le statue dei conquistadores, di capitalisti bianchi che hanno sfruttato afroamericani, ispanici e migranti da ogni nazione europea per costruire le loro fortune. E discute di come il monumento sia legato allo spazio pubblico e alla rappresentazione della fama. Ma nulla più della fama è oggetto di riflessioni storiografiche talmente opinabili che possono gettare nella polvere romanzi, poesie, autori, artisti. Una precarietà che avvicina molto quello che sta avvenendo oggi nel mondo dove assistiamo a una recita di un unico open theatre della società occidentale. La fama rappresentata in un luogo pubblico legittimava il personaggio e il ruolo storico – conquistatore, re, generale, scienziato, artista – per come, all’epoca della costruzione della statua si raccontava. Toglierle il basamento su cui è posata, come alcuni vorrebbero, o riporla in un museo – si spera non degli orrori – in realtà, come giustamente sottolinea la Parola, non risolve il problema culturale di fondo, non scioglie le ragioni profonde del gesto compiuto oggi. Eliminare il basamento cambia il “punto di vista” del monumento, non la fama del soggetto che ne ha determinato la realizzazione. D’altronde, noi abbiamo ritrovato statue, tra le più importanti della nostra storia, sepolte o adagiate sui fondali del mare e, almeno per ora, nessuno si è posto il problema della loro legittimità a essere conservate.

Forse, il primo passo sulla strada della ricerca di una via d’uscita da questa impasse culturale, sarebbe visitare il museo berlinese dedicato ai crimini della Gestapo, Topographie des Terrors. Questo per diverse fondamentali ragioni. La prima, la più importante e dirimente, è che questo è un museo il cui allestimento, dopo polemiche furibonde, è rigorosamente fondato su “documenti”. E qui forse c’è il secondo nodo da sciogliere perché viene immediatamente da chiedersi cosa sia un documento e se una statua in una piazza pubblica lo sia. La risposta che mi sono dato, per certi versi curiosa, è che il documento anticipa, senza volerlo, la rete e i canali social. Così come il monumento instaura un rapporto diretto tra opera e pubblico o opinione pubblica, senza l’intermediazione della pedagogia. Al di là dell’ironia, quello che sicuramente possiamo osservare è che la querelle sui monumenti, su ciò che hanno rappresentato e ciò che eventualmente rappresentano oggi, fa parte dell’attuale fase di un presentismo violento e semplificato che, piuttosto che rileggere e riscrivere laicamente la storia com’è logico che ogni epoca o generazione faccia, rifugge dalla memoria.

Il libro di Bruno Pedretti – una raccolta di saggi rivisti dall’autore per l’occasione – tocca un altro tema delicato, oggi più che cinquant’anni fa quando di morte dell’autore scrivevano Roland Barthes (1966) e Michel Foucault (1969). Anzi provocatoriamente Pedretti intitola il suo libro Il culto dell’autore. In realtà, il testo tocca, con eleganza e raro distacco, temi con cui molti di noi si sono misurati – quelli dell’autorialità, dell’autorità, dell’autorevolezza – e lo fa all’interno di un assunto – oggi forse un po’ ingiallito per riapparire sul palcoscenico del presente – che si fonda, forse più di altre, su due parole tipicamente novecentesche: crisi ed estetizzazione. Quella stessa estetizzazione che Luc Boltanski e Arnaud Esquerre hanno potato dentro il cuore dell’economia (Boltanski, Boltanski, 2017): anch’essa, a dire il vero, un po’ scalfita dall’emergere della crisi come paradigma quasi totalizzante. L’analisi che Pedretti fa del rapporto autore/pubblico, del pubblico come autore, della dimensione kitsch dell’autore nella società contemporanea – caratterizzata, per esempio, dalla continua ricerca di legittimazione che i social hanno esasperato – è quasi cinica. Non si salva quasi nessuno! E, ahimè, purtroppo ha ragione. Ancor più perché è scomparso dal circo dell’arte moderna e contemporanea, il mediatore o l’animatore per eccellenza: il critico. Che aveva insieme una funzione economica e culturale. Mi spiego con un ricordo personale che il lettore mi perdonerà. Ero un ragazzino, appena arrivato a Torino. Mio padre, mi portò alla Bussola, la galleria in via Po di Luigi Carluccio C’era una personale dedicata a un autore allora non ancora così noto di cui mi innamorai quasi subito, Osvaldo Licini. Tanti subirono il fascino di quell’autore ma i suoi quadri erano introvabili. Il critico, che consentiva a Licini di vivere, se li teneva stretti e solo con il passare del tempo cominciò a farli circolare sul mercato attribuendo loro valore economico e culturale.

Pensare che oggi possa esistere una figura così che crea l’alone di unicità di un artista, governa il fascino che l’opera indubbiamente deve promanare per poi, certo, mercificarla ma con garbo ed eleganza, può sembrare perfino patetico. Con i social pronti a rilanciare milioni di volte, acriticamente, la stessa immagine e a decretare – esclusivamente in base al numero di visualizzazioni – la sua fortuna è quasi fanciullesco. Ma, proprio su questo punto, mi pare si possa fare un’osservazione a questo libro – peraltro scritto proprio da un critico cultore di alcune artiste – sull’assenza di una riflessione sull’estetizzazione della marchandise e sul ruolo del critico d’arte e, più in generale, della critica. Ho sentito ripetere per anni che l’Università dovrebbe formare al pensiero critico! Oggi, però, il culto dell’autore ha mutato non solo il ruolo del critico e della critica, ma la concezione stessa di cultura che nel suo farsi di massa e senza gerarchie, in realtà non è mai stata così oligarchica. E questo mentre tutti parliamo di accessibilità, democrazia dal basso, uno eguale a uno!

L’ultimo libro che prendiamo in considerazione, Contro i borghi, Il Bel Paese che dimentica i paesi, ha avuto altre e più pertinenti recensioni. Io stesso ne ho scritto più diffusamente altrove. Qui, tuttavia, aggiungo un’osservazione che forse spiega il senso di aver scelto questi tre libri per questa riflessione. Seppur in maniera molto diversa, data la differente provenienza degli autori, nel libro si percorre una strada non lontana da quella di Pedretti. Il 'borgo' da cui muove la critica, molto articolata, contenuta nel testo è l’esito di un processo di estetizzazione e spettacolarizzazione dell’oggetto in questione, che genera, come prima conseguenza la parodia delle singolarità che ognuno di questi porta con sé e che uno storico dell’architettura, anche modesto, dovrebbe saper cogliere: basta ”saper guardare”. Basterebbe cioè essere consapevoli di aver dato per scontato un processo che oggi ha molti padri – dalle grandi agenzie immobiliari multinazionali sino al mercato rifiorente della local history, quasi sempre in mano a giovani che si presentano come storici locali, ambientalisti ed esperti di cucina – senza riconoscere la discontinuità (storica, sociale, economica) e le storie meno spettacolarizzabili dell’emigrazione, dell’abbandono (e di quando è avvenuto), della povertà (rimando, per esempio, all’indagine nazionale sulla miseria del 1951) per eliminare l’aura benjaminiana che si sta costruendo sui borghi in Italia.

Il libro riporta l’architettura al suo essere in primo luogo 'abitare', mentre noi oggi pensiamo seriamente a una ricolonizzazione di architetture che nelle loro pietre portano fortissimi i segni di una bildung egemonica rispetto ai chi le ha costruite e vissute (Heidegger 1951). Ma non solo: quei borghi, che erano località costruttrici di paesaggi non in senso estetico ma economico e sociale, oggi sono congelati nella loro forma estetica. Chi ha concepito il libro conosce perfettamente La topographie légendaire des Évangiles en Terre Sainte (Halbwachs 1941) e sa bene quanto le narrazioni possano restituire alla parola la sua funzione di fondazione o rifondazione di un luogo (Recalcati 2022). Ma anche quanto le narrazioni possano agire non tanto in senso terapeutico, come iniziò a fare Jerome Bruner, ma in quello di rimozione, altro termine che in psicanalisi ha una storia fondamentale (Frey-Rohn 1984). Se posso permettermi un po' di ironia, Contro i borghi ci rimette sulle piste de La vera storia di Dorian Gray (Lagioia 2012).

Per concludere, i tre saggi a cui abbiamo fatto riferimento, pur muovendo da punti di vista differenti, ripropongono una questione oggi essenziale a cui, in verità, già nel 1977 Droysen ci richiamava nell’osservare che tutti i ”resti nella cui produzione (realizzata per altri fini: ornamento o uso pratico) la volontà di memoria ha giocato un ruolo importante sono monumenti”. E tutti – a giudizio di chi scrive – vanno intesi nel senso che gli attribuiva Halbwachs, ovvero quello di una memoria come progetto (Halbwachs, postumo 1950).

Carlo Olmo

 

 

Riferimenti bibliografici

Boltanski L., Boltanski A. (2017), Enrichissement. Une critique de la marchandise, Paris: Gallimard
Bruner J. S. (1987), Making sense. The child's construction of the world, London-New York: Routledge.
Droysen J. G. (1977), Historik: Rekonstruktion der ersten vollstandigen Fassung der Vorlesungen (1857), Grundriss der Historik in der ersten handschriftlichen (1857/1858) und in der letzten gedruckten Fassung (1882), Stuttgart-Bad Cannstatt: Frommann-Holzboog.
Frey-Rohn L. (1984), Da Freud a Jung.
Uno studio comparato della psicologia dell'inconscio, Milano: R. Cortina.
Halbwachs M. (1941), La topographie légendaire des Évangiles en Terre sainte: étude de mémoire collective, Paris: Presses universitaires de France.
Halbwachs M. (1950), La memoire collective, Paris: Presses universitaires de France.
Lagioia V. (2012), La vera storia di Dorian Gray. Una biografia di epoca vittoriana, Argelato: Minerva.
Recalcati M. (2022), La Legge della parola. Radici bibliche della psicoanalisi, Torino: Einaudi.

 

N.d.C. - Carlo Olmo, professore emerito di Storia dell'Architettura del Politecnico di Torino, è stato preside della Facoltà di Architettura e ha coordinato il dottorato di ricerca in Storia dell'Architettura e dell'Urbanistica. Ha insegnato all'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in numerose università straniere. Ha inoltre curato mostre di architettura a Torino, Venezia, Roma, Parigi, Bruxelles e New York.

Tra i suoi libri: Politica e forma (Vallecchi, 1971); Architettura edilizia. Ipotesi di una storia (Torino, 1975), con Roberto Gabetti, Le Corbusier e L'Esprit Nouveau (Einaudi, 1975); con Riccardo Roscelli, Produzione edilizia e gestione del territorio (Stampatori, 1979); La città industriale. Protagonisti e scenari (Einaudi, 1980); Aldo Rossi attraverso i testi (Mazzotta 1986): tr. ing. in "Assemblage", 5, 1988: Turin et des Miroirs feles, in "Annales", 3, 1989; con Roberto Gabetti, Alle radici dell'architettura contemporanea. Il cantiere e la parola (Einaudi, 1989); con Linda Aimone, Le esposizioni universali, 1851-1900. Il progresso in scena (Allemandi, 1990; ed. fr. Belin 1993); con Luigi Mazza (a cura di), Architettura e urbanistica a Torino, 1945-1990 (Allemandi, 1991); (a cura di), Cantieri e disegni. Architetture e piani per Torino, 1945-1990 (Allemandi, 1992); Urbanistica e società civile. Esperienza e conoscenza, 1945-1960 (Bollati Boringhieri, 1992); Gabetti e Isola. Architetture (Allemandi, 1993); (a cura di), La ricostruzione in Europa nel secondo dopoguerra (Cipia, 1993); (a cura di), Il Lingotto: 1915-1939. L'architettura, l'immagine, il lavoro (Allemandi, 1994); (a cura di) con Bernard Lepetit, La città e le sue storie (Einaudi, 1995); (a cura di), con Alessandro De Magistris, Jakov Cernihov: documenti e riproduzioni dall'archivio di Aleksej e Dimitri Cernihov (Allemandi, 1995; ed. fr. Somogy editions d'art, 1995; ed. ted. Arnoldsche, 1995); Le nuvole di Patte. Quattro lezioni di storia urbana (FrancoAngeli, 1995); (a cura di), Mirafiori (Allemandi, 1997); (a cura di) con Lorenzo Capellini e Vera Comoli, Torino (Allemandi, 1999); (a cura di), Dizionario dell'architettura del XX secolo (Allemandi, 2000-2001, 5 vol.; ed. Enciclopedia Treccani, 2002); Costruire la città dell'uomo. Adriano Olivetti e l'urbanistica (Edizioni di Comunità, 2001); (a cura di) con Walter Santagata, Sergio Scamuzzi, Tre modelli per produrre e diffondere cultura a Torino (Fondazione Istituto piemontese Antonio Gramsci, 2001); con Michela Comba, Marcella Beraudo di Pralormo, Le metafore e il cantiere. Lingotto 1982-2003 (Allemandi, 2003); (a cura di) con Michela Comba e Manfredo di Robilant, Un grattacielo per la Spina. Torino, 6 progetti su una centralità urbana, catalogo della mostra (Allemandi, 2007); Morfologie urbane (il Mulino, 2007); (a cura di), Giedion, Sigfried, Breviario di architettura (Bollati Boringhieri, 2008); (a cura di) con Arnaldo Bagnasco, Torino 011: biografia di una città. Saggi (Mondadori Electa, 2008); Architettura e Novecento. Diritti, conflitti, valori (Donzelli, 2010); (a cura di), con Cristiana Chiorino, Pier Luigi Nervi. Architettura come sfida (Silvana ed., 2010, 2012); Architecture and the 20. Century: Rights, conflicts, values (List Lab, 2013); Architettura e storia. Paradigmi della discontinuità (Donzelli, 2013); con Susanna Caccia Gherardini, Le Corbusier e il fantasma patrimoniale (Il Mulino 2015) e Metamorfosi americane. Destruction throught neglect: Villa Savoye tra mito e patrimonio (Quodlibet, 2016); con Susanna Caccia, La villa Savoye. Icona, rovina e restauro (1948-1968) (Donzelli, 2016); con Patrizia Bonifazio e Luca Lazzarini, Le Case Olivetti a Ivrea (Il Mulino, 2018); con postfazione con Antonio De Rossi, Urbanistica e società civile (Edizioni di Comunità, 2018); Città e democrazia. Per una critica delle parole e delle cose (Donzelli, 2018); Progetto e racconto. L’architettura e le sue storie (Donzelli, 2020).

Per Città Bene Comune ha scritto: Spazio e utopia nel progetto di architettura (15 febbraio 2019); La città tra corpo malato e perfetto (3 luglio 2020); La diversità come statuto di una società (19 febbraio 2021); Biografia (e morfologia) di una strada (22 ottobre 2021); Gli intellettuali e la storia, oggi (4 febbraio 2022); Per una nuova Progressive Age (10 settembre 2022).

Sui libri di Carlo Olmo, v. i commenti di: Cristina Bianchetti, Lo spazio in cui ci si rende visibili… E la cerbiatta di Cuarón (5 ottobre 2018); Giampaolo Nuvolati, Scoprire l’inatteso negli interstizi delle città (20 settembre 2019); Carlo Magnani, L’architettura tra progetto e racconto (11 settembre 2020); Piero Ostilio Rossi, Modi (e nodi) del fare storia in architettura (2 ottobre 2020); Gabriele Pasqui, La storia tra critica al presente e progetto (23 ottobre 2020).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


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24 FEBBRAIO 2023

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
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Luca Bottini
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cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
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2022: online/pubblicazione
2023:

A. Calafati, La costruzione sociale di un disastro, commento a: A. Horowitz, Katrina. A History, 1915-2015 (Harvard University Press, 2020)

B. Bottero, Città vs cittadini? No grazie, commento a: M. Bernardi, F. Cognetti e A. Delera, Di-stanza. La casa a Milano (LetteraVentidue, 2021)

F. Indovina, La città è un desiderio, commento a: G. Amendola, Desideri di città (Progedit, 2022)

A. Mazzette, La cura come principio regolatore, F. C. Nigrelli (a cura di), Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid-19 (Quodlibet Studio, 2021)

P. Pileri, La sostenibilità tradita ancora, commento a: L. Casanova, Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026 (Altreconomia, 2022)

A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi, 2020)