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URBANISTICA, PROGETTO INCOMPIUTO
Pier Carlo Palermo a Città Bene Comune
Renzo Riboldazzi
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Mercoledì 3 maggio, alle ore 18.00, in via Borgogna 3 (MM San Babila) torna Città Bene Comune, decima edizione di un’iniziativa – ideata e curata da chi scrive e prodotta dalla Casa della Cultura in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano – volta a promuovere il dibattito pubblico e la riflessione collettiva sui temi della città, del territorio, dell’ambiente, del paesaggio e delle relative culture interpretative e progettuali: sempre a partire da un libro.
Primo ospite sarà Pier Carlo Palermo, professore emerito di Urbanistica al Politecnico di Milano dove ha fondato il corso di laurea in Urbanistica, il dipartimento di Architettura e Pianificazione (che ha anche diretto) e dove è stato preside della Scuola di Architettura e Società. Con lui discuteremo del suo Il futuro dell’urbanistica post-riformista edito da Carocci nel 2022.
Interverranno in qualità di discussant: Angela Barbanente – professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica del Politecnico di Bari nonché presidente della Società Italiana degli Urbanisti –, Laura Ricci – professore ordinario di Urbanistica alla Sapienza Università di Roma nonché presidente di Accademia Urbana – e infine Michele Talia – già professore ordinario di Urbanistica all’Università di Camerino e attualmente presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica.
L’iniziativa si svolge con il patrocinio dell’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), della Società Italiana degli Urbanisti (SIU), della Società dei Territorialisti e delle Territorialiste (StD), dell’Associazione Italiana di Scienze Regionali (AISRe) e di Accademia Urbana (AU).
Le ragioni di un confronto
«Altro non ho saputo fare». Con queste parole di umiltà, o forse semplice realismo, Pier Carlo Palermo si congeda dal lettore nel suo Il futuro dell’urbanistica post-riformista (Carocci, 2022). Siamo a pagina 448 di un volume densissimo di bilanci, riferimenti, confronti, considerazioni attraverso cui l’autore traccia un ritratto lucido, a tratti impietoso, di una disciplina – che forse tale non è mai stata – dai contorni incerti, dalla storia controversa, dal domani colmo di incognite. Un lungo viaggio nei meandri della cultura urbanistica moderna e contemporanea – perché, sottolinea, e noi siamo d’accordo con lui, «la cultura, in qualche modo, conta» (p. 448) – alla ricerca di un’ipotesi di futuro. Della disciplina stessa con vesti rinnovate, non c’è dubbio. Ma anche e soprattutto della città e del territorio in cui viviamo. Da lì in poi, fino all’ultima pagina, segue una bibliografia sterminata. Dove, certo, spiccano alcune assenze ma da cui, altrettanto certamente, emerge un ventaglio di contributi amplissimo che costituisce un quadro di riferimento utile, necessario, di cui – come fa l’autore in questo libro – è importante rammagliare il senso. Niente di compilativo, intendiamoci. E tantomeno di celebrativo, tutt’altro. Quella che Palermo mette in campo nel suo coraggioso lavoro – coraggioso per l’ampiezza dei temi affrontati e per l’apertura di uno sguardo culturale e scientifico volto a identificare e descrivere la rilevanza (o meno) di una pluralità di apporti, con particolare riferimento alla letteratura di matrice anglo-americana entro cui l’autore si muove con estrema agilità – è una critica lucida, a tratti ironica, talvolta sarcastica se non perfino spietata, di ipotesi, teorie, approcci progettuali che hanno caratterizzato il dibattito urbanistico soprattutto negli ultimi cinquant’anni: quelli in cui Palermo ha operato. D’altra parte – si chiede lui stesso «se gli urbanisti stessi non si fanno carico del lavoro, indispensabile, di autocritica e ricostruzione (in perfetto stile pragmatico) chi mai potrebbe svolgere tale supplenza?» (p. 448). «La responsabilità primaria della cultura urbanistica – chiosa – sia (almeno) sostenere un discorso vero e chiaro sui nodi più critici e sulla posta in gioco» (p. 447).
Le cose, tuttavia, non stanno andando esattamente in questa direzione. «La palese inutilità di molti discorsi teorici – osserva – ha indotto alcuni attori disciplinari a mettere in discussione il fine stesso di [un] lavoro» (p. 53), quello dell’urbanista, di cui invece – noi crediamo – ci sia assoluta necessità per affrontare le sfide che la società ha di fronte: quelle ambientali (alla cui soluzione l’urbanistica può e deve dare il suo contributo); quelle connesse al lievitare delle disparità sociali (in primis la questione della casa); quelle relative alla qualità formale e funzionale dei contesti urbani o territoriali in cui viviamo (che incide – non ci stanchiamo di ripeterlo – sulla qualità della vita di tutti noi). Lavoro che in molte occasioni sembra aver perso la sua (forse solo supposta) storica identità per liquefarsi e riversarsi in mille rivoli che spesso – come fa emergere più volte Palermo – finiscono col prosciugarsi o comunque non irrigare adeguatamente nessun seme. Che infatti non germoglia o, se lo fa, appassisce quasi subito provocando «una situazione di grave imbarazzo, che dovrebbe suscitare qualche reazione fra gli adepti, perché – scrive – lo stato di confusione sembra inaccettabile» (p. 110). Lavoro in cui il proliferare di etichette ciclicamente sbandierate per segnalare nuovi approcci veri o presunti – per citarne alcune, smart city, «una sorta di bolla speculativa» (p. 152), eco-city, healthy city, just city, urban resilience o resilient planning; land use planning; neo-liberal planning; community planning; radical planning; equity planning; advocacy planning; deliberative planning; environmental planning; sustainable urbanism – non fa che offuscare la chiarezza di un qualsiasi orientamento, al punto che neppure «il riconoscimento istituzionale […] garantisce […] la formazione di una disciplina unitaria, matura, condivisa» (p. 54). Che spesso, infatti, appare in balia di mode accademiche o sociali che ne mutano l’intima natura. Che fatica a interrogarsi sulle condizioni di contesto in cui opera. Piuttosto – scrive Palermo – «sarebbe indispensabile uno slittamento degli interessi disciplinari: dal tema prevalente del perfezionamento operativo […] verso l’esigenza di comprendere meglio i condizionamenti e il ruolo politico dell’azione urbanistica nella società contemporanea» (p. 69). Questo, tanto a livello internazionale quanto nazionale. «Parlare di urbanistica oggi in Italia – osserva l’autore – significa alludere a un’attività amministrativa, che si basa su un apparato normativo e burocratico pesante e poco amichevole; [che] si vale di strumenti formali, per i quali la pura redazione sembra spesso più rilevante della implementazione effettiva; [tutto ciò] in un quadro generale dove qualità, sostenibilità e altri requisiti virtuosi sono temi ricorrenti delle retoriche in uso, ma più vaga e precaria è la loro cura nella pratica» (p. 74).
È questo – ci chiediamo noi e si chiede in sostanza l’autore – quello che vogliamo? O, per riprendere le parole di Palermo, altro non sappiamo fare? Le prospettive che l’autore prefigura non sono confortanti. «L’istituzione urbanistica – scrive – rischia di sopravvivere formalmente a se stessa, ma ampiamente svuotata di funzioni e significati, fino a ridursi a un pacchetto di adempimenti formali di natura strettamente burocratica» (p. 445). Né i richiami a un ritorno al passato che vengono da più parti, né le ipotesi di un repentino cambiamento dei modi di praticare l’urbanistica sospinte da una visione tecnocratica dei problemi sembrano convincenti e il pericolo concreto «è la rassegnazione: così va il mondo e non c’è nulla da fare» (p. 446). Un’eventualità indegna per una società civile che, oltre a se stessa e al mondo che abita, ha – o, crediamo, dovrebbe avere – a cuore le nuove generazioni. Che strada prendere, dunque? Quella – scrive Palermo – di «un ripensamento profondo della stessa urbanistica: [che] dalla concezione più tradizionale, fondata su leggi, strumenti e applicazioni conformi, secondo la cultura del formalismo giuridico, [deve andare] verso una visione che privilegia i problemi, le azioni e gli effetti, secondo un’etica della responsabilità» (p. 109).
Nel suo argomentare, pagina dopo pagina, Palermo guarda con attenzione a ciò che viene avanti sul piano scientifico e culturale. Perché la letteratura urbanistica – osserva l’autore – «rappresenta un giacimento non sempre fertile, che però può riservare scoperte interessanti» (p. 424). Di cui Palermo disvela le potenzialità. O smaschera le incongruenze senza farsi incantare dalla retorica corrente. Per esempio, quella relativa al presunto potere taumaturgico dei big data, una grande disponibilità di informazioni che - osserva - serve a poco senza elaborazione critica; oppure la diffusa «tendenza a esaltare alcuni movimenti insorgenti, nella congiuntura, come se fossero un soggetto incontaminato, libero da ambiguità o contraddizioni, capace di esprimere una razionalità alternativa rispetto al sistema, e di guidare il cambiamento verso esiti certamente più equi e progressivi» (p. 206). Soprattutto, evidenzia il carattere composito di una letteratura scientifica che più che il riflesso di una pluralità di posizioni, interpretazioni, proposte appare la prova di uno stato di cose che sfiora la confusione. Un diffuso prescindere dal cuore dei problemi veri e gravi che la città e il territorio si trovano ad affrontare. «In massima parte – osserva – [quelli trattati sono] temi inediti o marginali rispetto ai discorsi disciplinari del secondo Novecento, che privilegiano altre dimensioni dell’urbano […]. Ci troviamo – si chiede Palermo e noi con lui – davvero di fronte a uno slittamento radicale di problemi e prospettive?» (p. 115). O semplicemente non li affrontiamo o lo facciamo in modo inadeguato? In questo quadro, «siamo sicuri – si chiede l’autore – che sia possibile una pianificazione urbanistica non moderna (o postmoderna, come si suole dire)?» (p. 241). Una situazione complicata e quasi paradossale che rende – sostiene l’autore – ormai ineludibile la necessità di «provare a ripensare – con maggiore libertà, ma anche responsabilità – il senso, i modi e gli strumenti dell’azione urbanistica attuale e futura. Per rendere onore ad alcuni valori della modernità, bisogna – afferma – essere aperti al cambiamento» (p. 251).
Parallelamente, Palermo costruisce – come facciamo tutti noi – il suo pantheon. Richiama – in positivo o in negativo, in ogni caso sempre con sguardo laico – il contributo di alcune sue stelle polari. Per limitarci ad alcune di quelle italiane: Giovanni Astengo – «un riformista illuminato: teso a creare conoscenza critica (contro interessi partigiani e pregiudizi consolidati), conoscenza utile (capace di migliorare il corso delle pratiche) e senso di responsabilità critica (cioè attenzione alle conseguenze di ogni scelta e azione e, in generale, cura delle virtù repubblicane» (p. 82) –; Leonardo Benevolo – a cui riconosce l’intuizione che «l’urbanistica è certamente politica perché deve (non può che) operare in simbiosi con il potere legittimo» (p. 86); Vittorio Gregotti – che «ha sostenuto e messo alla prova l’esigenza di una sintesi progettuale fra pianificazione e urban design in situazioni urbane più complesse» (p. 128); Bernardo Secchi – di cui sottolinea «l’attenzione peculiare per i rapporti fra società, economia e territorio, ma anche per le dimensioni politiche e interattive del processo di piano» (p. 129); Giancarlo De Carlo – che ha fatto proprio quello che pare un motto: «meno teoria, metodo e sistema, più azioni effettive» (p. 130); Giancarlo Paba – che ha lavorato per «"liberare energie positive di trasformazione", da parte di coloro normalmente sono esclusi e marginali» (p. 204); Luigi Mazza – «urbanista esperto e innovativo»; Ludovico Quaroni – che sul tema del rapporto tra architettura e urbanistica «ha scritto pagine esemplari» (p.356); ma anche Luigi Piccinato – di cui non condivide l’idea che il piano debba «esser concepito dall’esperto in totale autonomia» (p. 86) – oppure Sergio Quinzio, Bruno Dente, Antonio Tosi, Federico Oliva e diversi altri. Tra tutti, tuttavia, spicca la figura di Giuseppe Campos Venuti che – scrive Palermo – «ha avuto il coraggio e l’energia di proporre una svolta riformista a un paese indifferente a un’area disciplinare in parte riluttante, perché nostalgica o confusa» (p. 76). Proprio «la cultura del pragmatismo, nelle versioni più critiche e responsabili, [praticata da Campos Venuti] potrebbe essere – secondo l’autore – una matrice fertile per un’area disciplinare soffocata da troppi dubbi e delusioni» (p. 409).
Per concludere, quello di Palermo è indubbiamente un lavoro importante - anche e soprattutto rispetto al dibattito che recentemente si è rinfocolato sugli ambiti e i caratteri della disciplina - di cui qui abbiamo dato conto in piccolissima parte e che meriterebbe una riflessione assai più ampia. Affermiamo ciò con convinzione anche se - com'è naturale che sia - non tutte le tesi dell'autore sono condivisibili. Anche se alcune posizioni per certi versi care a chi scrive sono distanti dal modo di vedere dell’autore. Mi riferisco, per esempio, a quella di Alberto Magnaghi il cui esaltare «le capacità di apprendimento e auto-organizzazione del locale» – secondo Palermo – «rischia di rimanere una generosa esortazione» (p. 139); a quella di Edoardo Salzano «e il circolo di Eddyburg, tenaci testimoni - afferma - di un pensiero immobile se pur inefficace» (p. 432); a quella di Salvatore Settis che stupisce l’autore nel suo «avallare, in sostanza, [la] prospettiva» di un ritorno al passato nei modi di progettare e governare le trasformazioni urbane e territoriali (p. 445). Anche se altre prospettive culturali sono completamente ignorate. Un esempio tra tutti, quelle di Giancarlo Consonni sul tema del disegno urbano – a cui Palermo dedica ampio spazio – e dell’urbanità, un concetto a cui l’autore fa ripetutamente riferimento e di cui proprio Consonni ha scritto pagine importanti. Al netto di tutto ciò e al netto di una letteratura che «è diventata sofisticata e innovativa, ma – osserva lo stesso autore – fatica a tradurre le sue conquiste più originali in una capacità di azione concreta, adeguata ai tempi e ai contesti» (p. 164), la riflessione sul significato, il senso e i modi con cui si pratica l’urbanistica contemporanea condotta da Pier Carlo Palermo in questo poderoso lavoro è significativa e di grande utilità. Soprattutto per tracciarne le coordinate in un mondo complesso come il nostro e al cospetto di una disciplina paradossalmente ancora immatura. «Ci vorrebbe – sostiene Palermo – più memoria, più spirito critico, più capacità riflessiva, per dare il giusto peso a certe aspirazioni ricorrenti (ma sempre incompiute)» (p. 148) e per restituire un futuro all’urbanistica e a tutti noi. Ma – chiosa – «per rianimarsi, l’urbanistica [avrebbe] bisogno di rimettere in primo piano le sue ragioni, passioni e speranze» (p. 424). È questo l’invito che ci sentiamo di accogliere e rilanciare.
Renzo Riboldazzi © RIPRODUZIONE RISERVATA 28 APRILE 2023 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture interpretative e progettuali
prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
ideazione e direzione scientifica (dal 2013): Renzo Riboldazzi
direttore responsabile (dal 2024): Annamaria Abbate
comitato editoriale (dal 2013): Elena Bertani, Oriana Codispoti; (dal 2024): Gilda Berruti, Luca Bottini, Chiara Nifosì, Marco Peverini, Roberta Pitino
comitato scientifico (dal 2022): Giandomenico Amendola, Arnaldo Bagnasco, Alessandro Balducci, Angela Barbanente, Cristina Bianchetti, Donatella Calabi, Giancarlo Consonni, Maria Antonietta Crippa, Giuseppe De Luca, Giuseppe Dematteis, Francesco Indovina, Alfredo Mela, Raffaele Milani, Francesco Domenico Moccia, Giampaolo Nuvolati, Carlo Olmo, Pier Carlo Palermo, Gabriele Pasqui, Rosario Pavia, Laura Ricci, Enzo Scandurra, Silvano Tagliagambe, Michele Talia, Maurizio Tira, Massimo Venturi Ferriolo, Guido Zucconi
cittabenecomune@casadellacultura.it
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2018: Cesare de Seta locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
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Incontri-convegni
Autoritratti
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Letture
2015: online/pubblicazione 2016: online/pubblicazione 2017: online/pubblicazione 2018: online/pubblicazione 2019: online/pubblicazione 2020: online/pubblicazione 2021: online/pubblicazione 2022: online/pubblicazione 2023:
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