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Nel 2050. Passaggio al nuovo mondo, di Paolo Perulli (il Mulino, 2021). Titolo e copertina del libro richiamano quasi la futurologia e la sua poetica prese a prestito per raccontare questo passaggio ad un nuovo mondo atteso per il 2050, anno “orizzonte” entro il quale, secondo molte agenzie internazionali, si dispiegherà il futuro del mondo. Ma siccome il nuovo mondo, come lo stesso autore scrive nel prologo, “si scopre, o meglio si costruisce: è già iniziato mentre stiamo scrivendone”, il volume si apre avendo come riferimento temporale il 1989: anno cruciale che ha cambiato la storia, ridisegnato le carte geografiche e i confini mentali e interrotto l’ordine mondiale fino ad allora conosciuto, per lasciare spazio ad un vorace neoliberismo e al capitalismo globalizzato.
Passando attraverso il “mondo di ieri”, che con le sue crisi sistemiche (1989, 2001, 2008, 2020) ha visto la fine del comunismo prima, l’emergenza terrorismo poi, la crisi finanziaria e infine anche una pandemia, a cui si aggiunge l’attuale emergenza climatica, l’autore nella prima parte del testo descrive ed interpreta i processi (passati e in corso), di scala, di innovazione e soprattutto di ri-organizzazione dei gruppi sociali. Mette a fuoco quanto non ha funzionato, la miopia e l’opacità della classe dirigente (un’élite del potere), lo screditamento e svuotamento della classe creativa (saperi senza potere), e l’emersione di una vasta neoplebe senza risorse materiali né riferimenti valoriali (una massa senza sapere) – su cui torneremo –: una triade che è l’esito delle distorsioni innescate dal trentennio di globalizzazione.
Alle distorsioni si aggiungono disuguaglianze globali e ingiustizie sociali, economiche e ambientali. La povertà assoluta (che l’autore ci ricorda viene calcolata sulla base della disponibilità di 1.9 dollari pro-capite, e non come avrebbe più senso, sulla base dell’accesso a istruzione, sanità, strade, energia elettrica, abitazioni dignitose, ecc.) è diminuita da una parte del mondo (in Cina) ma è aumentata altrove (in Africa), dimostrando l’iniquità della globalizzazione e quanto questa non abbia portato a tutti il benessere promesso dalla retorica neoliberale e dal pensiero progressista. Le catene globali del valore hanno penalizzato i paesi emergenti, costruendo grandi stati continente e mercati interni continentali. Mentre è sempre più chiaro che ciò che è diventato globale ed esteso andrebbe reso locale ed interno.
Al contempo avanza l’ingiustizia ambientale e una crisi climatica senza precedenti. Il 2020 non è stato solo l’anno della pandemia, ma anche l’anno in cui la massa dei materiali costruiti dall'uomo ha superato la biomassa vivente (mondo animale e vegetale). Dati precisi arrivano da una ricerca dell’Istituto israeliano Weizmann per le Scienze pubblicata su Nature, secondo cui la massa dei materiali costruiti dall’uomo ammonta a circa 1.100 miliardi di tonnellate, mentre la biomassa vivente è pari a circa 1.000 miliardi di tonnellate. Questo passaggio storico, come sottolineato nel testo, è per l’appunto esito del capitalismo, della globalizzazione e delle politiche neoliberiste.
Anche se nel testo non si enfatizzano scenari apocalittici – come avviene in altri libri, ad esempio nell’emblematico Scegliere il futuro. Affrontare la crisi climatica con ostinato ottimismo di Figueres e Rivett-Carnac (Tlon, 2021) – in più passaggi l’autore ci ricorda che il tempo – per intervenire, per sovvertire, per mitigare – sta finendo. Figueres e Rivett-Carnac (2020) proponevano scenari in cui l’umanità ha fallito, il tempo è del tutto terminato, le Nazioni non hanno mantenuto gli impegni, le emissioni di carbonio non sono diminuite, il riscaldamento globale ha reso il mondo un posto invivibile, ci sono rivolte politiche e fenomeni naturali catastrofici… e ricordo che il lavoro di questi autori ha dato il là per l’avvio degli accordi di Parigi. Perulli, pur avendo un approccio più ottimista, evidenzia che ad alcune lacerazioni non è più possibile mettere una toppa e il danno, climaticamente, è ormai inarrestabile, con quanto ne consegue in termini di disuguaglianze. A tal proposito aggiungo che già nel 2021 il report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) parlava di red code for humanity, di danno al Pianeta chiaramente responsabilità degli uomini, di accordi di Parigi ben lontani dal poter essere raggiunti. I report della COP27 di Sharm el Sheik hanno ulteriormente evidenziato che i climate plans attualmente adottati dai Paesi, nonostante gli sforzi in termini di riduzione delle emissioni, sono del tutto insufficienti per limitare l’aumento di temperatura e mantenerlo entro il fatidico +1,5. Servono piani ben più ambiziosi e rigorosi, altrimenti il rischio è che le emissioni aumentino (e del 10,6%) anziché diminuire rispetto al livello del 2010; paradossalmente, quello che stanno facendo oggi i vari paesi è creare le condizioni per raggiungere un +2,5 gradi celsius entro la fine del secolo.
Inoltre, rispetto al tema della narrazione di quello che si fa e come lo si fa, e con riferimento anche ad alcune big corporate citate nel testo, va ricordato l’enorme processo di greenwashing in atto, ulteriore dimostrazione della capacità del capitalismo e della globalizzazione di fagocitare tutto. Le imprese, nella loro comunicazione, evocano immaginari legati alla natura, propongono la cosiddetta “narrativa della Green Innovation”, e pur essendo parte del problema si offrono come parte della soluzione. Lo dimostrano diverse ricerche, tra cui un recente report dell’Algorythmic Transparency Institute (Supran G. e ATI, 2022) che ha analizzato oltre 2.200 post sui maggiori social (Facebook, Instagram, TikTok, Twitter e YouTube) di ventidue grandi realtà industriali del vecchio continente durante l’estate 2022. Retoriche e narrazioni si sono riempite di idee come sviluppo sostenibile, capitalismo green, capitalismo dal volto umano, green economy… ammantando il capitalismo di un allure etico e smart, in cui l’ambiente in realtà continua ad essere trattato come mero fattore produttivo (pensiamo alla finanziarizzazione del clima) e la sostenibilità come leva competitiva per il business. La stessa transizione energetica è all’insegna del greenwashing. Come suggerisce Latouche (2010), occorre allora fuoriuscire dal mercato, levare la maschera alla fake sustainability e, come propone Perulli, creare le condizioni affinché Natura e Città trovino una nuova alleanza, diversa da quella della modernità, e si inverta la tendenza trentennale all’allargamento delle disuguaglianze.
In particolare, l’autore evidenzia la necessità di trovare una sintesi tra intelligenza e Natura, di definire un nuovo pensiero dando potere alla conoscenza e riconoscendole ciò che crea. La società contemporanea, nel suo assetto liberal-democratico attuale, intrisa di neoliberismo e statalismo, chiusa dentro una dimensione di dominio tecnico-finanziario sulla Natura, e ormai abituata alle crisi sistemiche, ha perso del tutto la capacità di avere pensiero critico, ed interpreta la globalizzazione come inevitabile e il mercato come intoccabile. Il populismo – che cavalca questa interpretazione – promuove l’idea che non ci sia alternativa e in modo strumentale si fa nemico del sapere e del pensiero critico. Tuttavia, l’autore ci ricorda che è proprio il pensiero critico la chiave per costruire il nuovo mondo, per costruire nuovi paradigmi capaci di superare le categorie concettuali della globalizzazione ed evitare così il baratro planetario. Un pensiero critico che per Perulli è frutto di un’azione collettiva locale e planetaria al contempo (ma non mero fenomeno economico e di difesa di interessi corporativi), è esito dell’incontro di “movimenti di protesta e saperi specializzati, domanda di cambiamento e soluzioni tecnico scientifiche”. Perulli si rifà al concetto di glocale invitando a ripartire dallo spazio e dal luogo, con una nuova dinamica in cui la prossimità e la collaborazione assumono nuovo valore dando vita ad uno spazio dell’azione umana collettiva. La società glocale di cui parla è un sistema sociale aperto che si muove in modo interconnesso nel layer locale e in quello globale, in modo etico e intelligente.
Secondo Perulli: “il nuovo mondo da costruire sarà l’espansione della conoscenza verso un nuovo incontro con l’ecosistema terrestre: un nuovo oikos accogliente, dopo che l’economia ha rischiato l’ecocidio, la distruzione del Pianeta” (p. 11). Ci sono a suo avviso degli spiragli, delle “linee di frattura”, faglie dove la società capitalistica entra in contraddizione con se stessa, ammettendo di aver creato meccanismi autodistruttivi; su quelle faglie occorre fare leva; la prima è tra “economia ed ecologia”, la seconda tra “flussi e insediamenti, migrazioni e habitat”, la terza tra “divisione del lavoro e bisogni sociali”, la quarta “competizione e sopravvivenza” e la quinta tra “ irresponsabilità economica e responsabilità ecumenica”.
Ma si fa leva mediante l’azione di chi? Come si promuove quella conoscenza di cui parla, che sta alla base del pensiero critico, che dà vita all’azione collettiva? Come si bypassa quanto ormai cristallizzato dalle politiche neoliberiste e si cambia passo introducendo un nuovo paradigma di stampo glocale? Domanda lecita alla luce di quanto già detto e considerando la società fragilissima che l’autore descrive. I tre grandi aggregati di cui è a suo avviso formata sono infatti una élite opaca e incapace di visioni, che coltiva il proprio privilegio senza mettersi mai in discussione, una classe di creativi e intellettuali disgregata e delegittimata, priva di coesione e di potere pur essendo potenzialmente rivoluzionaria, ed infine una neoplebe povera e sbandata che nonostante rappresenti la maggioranza della popolazione è una massa senza sapere. Ciò che serve è un cambio di classe dirigente, un cambio di cui siano protagoniste forze intellettuali, sociali e politiche nuove. L’autore ci invita a riconsiderare la classe creativa, oggi non impegnata in azioni collettive e fuori dalla vita politica, in quanto potenzialmente in grado di ridare legittimazione alla conoscenza, di porsi come guida educante per una neoplebe che ha bisogno di essere riattivata e di mettersi alla guida di un processo di sovversione del sistema. Il nuovo mondo chiede un nuovo gruppo dominante, più inclusivo e articolato, che scelga di “indirizzarsi verso un permanente cambiamento e non verso rendite di posizione” privilegiando “il risultato del benessere collettivo sulla religione del profitto individuale”. Perulli parla di lavoro intellettuale sociale, a suo avviso capace di sviluppare un nuovo pensiero critico per dare una direzione a un pianeta che ha perso la direzione, trovare il modo di collaborare e fare emergere idee comuni, entrare nelle burocrazie e nei governi per instillare dei cambiamenti da dentro. Questo condurrebbe alla società glocale di cui sopra, e le azioni da intraprendere per creare questo nuovo accordo glocale sono descritte nell’ultima parte del volume.
Perulli le chiama “soluzioni alla ricerca dei problemi” capaci di guidare nel passaggio al nuovo mondo: internalizzare quanto è stato esternalizzato, ridurre i rischi attraverso azioni concrete di prevenzione in chiave ambientale e di superamento della finanza globalizzata, localizzare quanto è stato globalizzato riportando le catene del valore a livello regionale e continentale, aprire i sistemi sociali chiusi in particolar modo verso giovani e donne che ne sono oggi esclusi o ne sono penalizzati, atterrare definendo un nuovo rapporto di rispetto verso la Natura e la Terra, e rispondere, da parte delle classi creative e anche delle élite politiche, assumendosi la responsabilità di contribuire al processo in modo equo, rispettoso, rinnovato, inclusivo.
Con una profondità e una ricchezza di dettagli, stimoli, riferimenti e riflessioni, che qui non è davvero possibile rendere nella loro interezza, il lettore è guidato in un approfondimento crescente dell’idea di nuovo mondo dell’autore, e arriva con lui alle ultime pagine, all’epilogo, al 2050. Qui il nuovo mondo è ormai dispiegato: Perulli chiude infatti il testo immaginando che “la svolta valoriale” sia avvenuta, che il capitalismo abbia perso annientato dalle forze distruttive che lui stesso ha innescato. Le ultime pagine del volume sono dedicate a una descrizione minuziosa e ottimistica di questo nuovo mondo: il mercato globale è diventato glocale, le comunità sono divenute sovrastatali e continentali, lo Stato mondiale è stato realizzato come federazione di Stati-continente, alla Natura è riconosciuta la sua autonoma sovranità, la finanza sostiene la transizione ambientale, ecoagricoltura e neoturismo sono diffusi, c’è una nuova proprietà comune basata sui commons a scala continentale, i grandi poteri digitali si sono arresi, le piattaforme digitali si sono trasformate in senso democratico, anche le temperature si sono abbassate e stabilizzate… “La Terra è salva”. Si tira così un sospiro di sollievo, immaginando per un momento che tutto questo sia davvero possibile; varrebbe davvero la pena considerare le proposte di glocalismo nelle politiche di oggi per costruire questo nuovo mondo di domani.
Monica Bernardi
Riferimenti bibliografici
Figueres C. e Rivett-Carnac T. (2020). Future We Choose, Manilla Press, GB [Scegliere il futuro (Edizioni Tlon, 2021) Latouche S. (2010). L’invenzione dell’economia. Bollati Boringhieri. Supran G. e Algorithmic Transparency Institute (2022). Three Shades of Green (washing). Content analysis of social media discourse by European oil, car and airline companies. Working paper settembre 2022 ThreeShadesofGreenwashingv2.pdf (ati.io)
N.d.C. Monica Bernardi è professoressa associata di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università degli Studi di Milano Bicocca. Insegna Turismo Urbano nel corso di laurea triennale di Scienze del Turismo e Comunità Locale e Sociologia dell’Ambiente nel corso di laurea triennale di Sociologia. Svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale.
Tra i suoi libri: From Smart City to Sharing City. New Perspectives in the Sharing Economy Era (Ledizioni, 2017), (a cura di), con Giampaolo Nuvolati, Urbana. Qualità della vita e innovazione sociale a Milano (Ledizioni, 2017); (a cura di), con Christian Iaione e Elena De Nictolis, La casa per tutti. Modelli di gestione innovativa e sostenibile per l'adequate housing (il Mulino, 2019); con Ezio Marra, Attrattività turistica e distinzione urbana. Elementi di competizione nella metropoli contemporanea (Ledizioni, 2022); (a cura di) con Matteo Colleoni, Le sfide della ripresa turistica. Esperti e operatori del settore a confronto (FrancoAngeli open access, 2022).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 28 LUGLIO 2023 |
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A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi, 2020)
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