Pietro Modiano  
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TRUMP, MUSK, BIDEN E L'EUROPA


Capitalismo politico vs capitalismo fondato su libero mercato, anti-trust e regole



Pietro Modiano


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Circola nei talk show l’idea che Elon Musk & co siano ritenuti pericolosi solo da quando sono passati dal campo democratico a quello trumpiano: sarebbe il solito atteggiamento di “certa sinistra” – espressione missina che a me suona un po’ irritante - che giudica il mondo e le persone con le lenti distorte dei suoi pregiudizi. Prima del cambio di Presidente, alla sinistra quella banda di geni un po’ scapestrati andava benissimo. E così si chiude la questione, magari affermando, come fa Federico Rampini sul Corriere di lunedì, che questa benedetta questione del conflitto di interessi sollevata tardivamente contro Musk non ha molto senso, perché si poteva ben applicare a Clinton, che aveva chiamato al governo il capo di Goldman Sachs, o addirittura Kennedy, che si affiancò il presidente di Ford Mc Namara. Il che sorprende un po’ come argomentazione, dato che quelli erano manager di imprese, che hanno smesso di esserlo all’atto della loro nomina nell’Amministrazione, mentre Musk resta saldamente al potere delle aziende di sua proprietà, e che aziende, mentre sta al governo e comanda (di sfuggita, è come confondere il conflitto d’interesse di Berlusconi con quello, per dire, di un Barucci e di un Passera – entrambi ex Ceo di banche – nei governi di Amato e Ciampi e in quello di Monti). Non è la stessa cosa, e l’argomento non vale tanto. Siamo in realtà di fronte a una cosa nuova nella storia almeno dal dopoguerra, da prendere sul serio: minimizzarne la portata è una forzatura, ed è una scelta questa sì ideologica, impegnativa.

Biden ne parlava in toni accorati, un po’ patetici ahinoi, nel suo discorso di commiato, in cui al primo posto fra le sue preoccupazioni testamentarie ha messo proprio “la pericolosa concentrazione di potere nelle mani di poche persone ultraricche, e le conseguenze pericolose se il loro abuso di potere rimane incontrastato”, ed evocava la battaglia dell’anti-trust americana contro i Robber Barons, fatta – più di cent’anni fa - non “per punire i ricchi, ma perché i ricchi giochino con le stesse regole degli altri”. Eccoci qui. Povero Biden, dicono, anche lui se ne è accorto tardi, quando gli hanno girato le spalle dopo esserne stati vezzeggiati? In realtà non è proprio così.

Il conflitto con l’oligarchia di Internet era stato ingaggiato da tempo dall’Amministrazione Democratica, senza aspettare Trump. Ricordo, perché è un episodio significativo, che lo stesso Biden, a pochi mesi dalla sua elezione, aveva emesso un executive order presidenziale (del tipo di quelli firmati adesso da Trump), per la precisione il numero 14036 del 9 luglio 2021, intitolato alla “Promozione della concorrenza nell’economia americana”: vi si denunciava il fatto che “oggi un piccolo numero di piattaforme internet dominanti usano il loro potere per escludere chi vuole entrare sul mercato, per estrarre profitti di monopolio, e raccogliere informazioni che possono usare a loro vantaggio. Troppo poche piccole imprese in questa economia dipendono da queste piattaforme, e da pochi mercati online per la loro sopravvivenza. Troppi quotidiani locali hanno chiuso o sono stati ridimensionati in parte per la dominanza delle piattaforme internet nei mercati della pubblicità”. Richiamava quindi, il povero Biden, l’Attorney General, la Federal Trade Commission e le altre agenzie pubbliche a mettere in atto, in linea con la normativa antitrust vecchia e nuova, le iniziative necessarie a stabilire le condizioni di fair competition in diversi settori, fra l’altro con l’impegno del Ministero della Difesa – udite udite - di verificare (“entro 180 giorni”) lo stato della concorrenza nella base industriale della difesa, incluse “le aree nelle quali la mancanza di concorrenza può essere preoccupante”.

Che cosa è successo poi? Niente, anche perché quell’ordine esecutivo non ha avuto alcuna risonanza: i social media non ne hanno parlato (chissà poi perché), e non ne è nato alcun dibattito. Ma immagino che Musk e i suoi colleghi se ne siano accorti e abbiano cominciato lì a fare le loro scelte.

Quel documento evocava già, appunto senza aspettare Trump, la divisione fra due visioni del mondo. Che, con Trump, si afferma oggi nelle forme del capitalismo politico (in cui gli oligarchi dell’economia colludono con quelli dei governi nel proprio mutuo interesse: e non è più né capitalismo né democrazia), contrapposto al capitalismo e alla democrazia fondata sul libero mercato, sull’anti-trust e sulle regole. Questa mi pare la linea di frattura, e bisogna dire da che parte si sta.

In discussione c’è in prima fila l’Europa, non solo per i dazi e perché la sua industria è il vaso di coccio fra Usa e Cina. In discussione c’è anche di più: è in discussione la ragion d’essere dell’Europa di Monti che multa Microsoft, dell’Europa della tutela della privacy che limita Facebook e offende Zuckerberg. Guardando più lontano, in discussione è nientemeno che la nostra Europa dell’economia sociale di mercato: nata (anche per l’intervento degli Alleati) proprio contro i monopoli tutelati o promossi, il ricordo è sinistro, dal regime nazista in Germania negli anni Trenta, per consolidare il suo potere. Il nuovo capitalismo politico americano viene da quei lombi, neanche loro se ne rendono conto, e non dall’intelligenza artificiale.

Il tutto per dire che è bene che la questione Trump-Musk sia presa sul serio, e non annegata nelle minimizzazioni e nel chiacchiericcio, perché è una cosa nuova, da alcuni e non da tutti sottovalutata, e assai pericolosa.

 

 

Pubblicato il 23 gennaio 2025 su Domani


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