Emanuele Severino  
  casa-della-cultura-milano      
   
 

TECNICA, PADRONA DELLE SUPERPOTENZE


Un apparato che si autoalimenta e impone i suoi scopi



Emanuele Severino


altri contributi:



  emanuele-severino-tecnologia-grandi-potenze2.jpg




 

Pubblicato il 16 febbraio 2017 sul sito Corriere della Sera/Cultura e il successivo 25 febbraio, sul quotidiano Il Corriere della Sera

 

Tecnica, padrona delle superpotenze

Un apparato che si autoalimenta e impone i suoi scopi anche agli Stati Uniti e alla Russia, i grandi Stati che dominano il mondo grazie agli armamenti nucleari

Due interpretazioni del mondo si sono contrapposte negli ultimi decenni. Una sostiene che la produzione industriale sta distruggendo la Terra e che procedendo di questo passo la catastrofe non è lontana; l’altra lo nega in base alla convinzione che le energie alternative saranno in grado di sventare questa minaccia. La prima rivendica il carattere scientifico della propria diagnosi; l’altra lo nega. D’altra parte l’atto di nascita della prima è il celebre rapporto I limiti dello sviluppo (1972), commissionato dal Club di Roma al Massachusetts Institute of Technology (Mit), ossia a uno dei maggiori centri di ricerca tecno-scientifica. (Gli autori ebbero in seguito a rivedere i loro risultati, ma la sostanza del rapporto è rimasta la stessa. Lo si è constatato nei successivi aggiornamenti. Tra gli ultimi, 2052: scenari globali per i prossimi quarant’anni, 2013, e il nuovo rapporto 2013 Il pianeta saccheggiato di Ugo Bardi). Queste due contrapposte interpretazioni hanno tuttavia in comune alcuni tratti di grande rilievo. Ne indico due.

Primo. È vero che l’interpretazione facente capo a I limiti dello sviluppo propone una drastica riduzione della forma attuale della crescita economica, ma tale riduzione, unita alla sostituzione dei combustibili fossili (ritenuti i maggiori responsabili della devastazione della Terra) con forme non inquinanti di energia, non significa fuoriuscita dalla produzione capitalistica delle merci. La contrapposizione di cui stiamo parlando va intesa cioè come espressione di una delle più imponenti forme di concorrenza capitalistica in atto sul pianeta: lo scontro si produce all’interno del mondo capitalistico. Una situazione comunque complessa, anche perché se i difensori dello status quo della produzione stanno perdendo credito ed è difficile negare lo sfruttamento e la devastazione della Terra, è peraltro anche diffusa la convinzione che opporsi a tale status significa contrastare quella crescita che oggi viene invocata per superare la crisi economica. Non solo i Paesi industrializzati, ma anche quelli in via di sviluppo promuovono quella crescita — e anche quelli che, come Cina e India, intendono portarsi al livello dell’economia statunitense. Tutti attori che non vogliono disturbare le possibilità della crescita col problema della sostituzione delle energie inquinanti.

Ma la potenza e il successo di entrambe le forze che si contrappongono all’interno del mondo capitalistico è determinato dalla tecnica. Si affidano entrambe alla tecnica, anche se a forme diverse di essa. Richiamo qui in modo del tutto sommario la sequenza concettuale per la quale entrambe, affidandosi alla tecnica, sono destinate a portare al tramonto ciò che esse intendono tenere in vita: la produzione capitalistica della ricchezza. Infatti, se e poiché la forma attuale di tale produzione finisce col distruggere la Terra (ma nell’Urss e nei Paesi comunisti la devastazione è stata ed è altrettanto grave), il capitalismo finisce col distruggere la propria base e dunque sé stesso. Se invece, per evitare di distruggere la Terra e sé stesso, il capitalismo abbandona la sua forma attuale e va dotandosi delle energie alternative, allora lo scopo ultimo di questo processo non è più l’incremento indefinito del profitto privato, ma la salvaguardia della Terra; ossia questo processo non è più capitalismo; sì che anche in questo caso il capitalismo finisce col distruggere sé stesso. Le due contrapposte interpretazioni dello sviluppo non sospettano questa autodistruzione del capitalismo, nella quale restano anch’esse coinvolte.

Secondo. Tendono entrambe a considerare la gestione tecnologica dell’energia separatamente dal contesto storico in cui essa si trova. La tecnica ha potenza soltanto se è un apparato capace di sopravvivere, dunque di difendersi da tutto ciò che lo minaccia, e all’occorrenza di distruggerlo. Tale capacità è essa stessa una forma di potenza, tanto più potente quanto più ha carattere tecno-scientifico. Oggi la capacità massima di difesa-offesa da parte di tale apparato è quel prodotto della tecno-scienza che consiste nell’armamento nucleare. E oggi sul Pianeta sono due soli i luoghi in cui tale armamento è invincibile: Stati Uniti e Russia.

Durante la guerra fredda Usa e Urss sono diventati «superpotenze», ossia invincibili, per la potenza del loro arsenale atomico. Invincibili rispetto a terzi e, in un improbabile scontro tra esse, entrambe vincenti e insieme entrambe distrutte. Le due superpotenze continuano a essere tali e a fronteggiarsi, in una situazione dove la potenza dell’Urss è stata ereditata dalla Russia. Avendo raggiunto l’invincibilità sono intenzionate a non perderla, quindi, da un lato, a mantenere la distanza di sicurezza rispetto agli Stati e ai popoli via via emergenti e, dall’altro, a salvaguardare l’equilibrio che è venuto a formarsi tra i loro dispositivi militari. (A proposito: se Hillary Clinton, a differenza di Donald Trump, è pericolosamente ostile all’attuale dirigenza russa, allora gli attacchi informatici organizzati dalla Russia contro il Partito democratico statunitense per favorire Trump nelle elezioni presidenziali sono stati una mossa in favore della pace mondiale, che continua pur sempre a dipendere dal modo in cui si configura il rapporto tra gli Usa e la compagine statale costituita ieri dall’Urss e oggi dalla Russia).

Capaci di mantenere la distanza di sicurezza rispetto alla proliferazione nucleare, ora sono impegnati a mantenerla rispetto alla pressione dei popoli poveri, che soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale vogliono partecipare al benessere e alla ricchezza presenti sulla Terra. È l’esistenza di questa pressione a dare consistenza planetaria al fondamentalismo islamico, che altrimenti sarebbe un fenomeno angosciante, ma solo per le minoranze — anche se ingenti — da esso investite. D’altronde la fame umana esiste solo all’interno di una prospettiva «culturale», ed è nella propria cultura di fondo che il fondamentalismo islamico vuole inscrivere la fame del mondo. Anche se è triste riconoscerlo, l’autentico nemico umano dei popoli ricchi sono i popoli poveri (e sfruttati dal colonialismo).

La previsione del futuro non deve quindi tener conto soltanto del saccheggio e dello sfruttamento della Terra, ma anche dello sfruttamento dei popoli poveri da parte di quelli ricchi: conquista e sfruttamento della Terra dei più deboli da parte dei più ricchi e potenti e inevitabile reazione dei più deboli. Nonostante la crisi, l’Europa è ricca, ma non ha la capacità di difendere adeguatamente la propria ricchezza. I veramente ricchi sono quelli che la sanno difendere: Stati Uniti e Russia. Cina e India potranno anche sorpassare l’economia statunitense, ma è del tutto improbabile che si avvicinino alla potenza degli arsenali nucleari Usa e russi (ognuno dei quali dispone di più di settemila testate nucleari, mentre gli altri Paesi con armi nucleari, superano di poco, tutti insieme, le mille testate e quasi tutti si dividono tra quelli che come leader nucleare hanno gli Stati Uniti e quelli che hanno la Russia).

Il problema del futuro del mondo diventa dunque ancora più complesso. Si è detto della devastazione della Terra causata dalla produzione industriale; dell’incremento demografico a cui non corrisponde un’adeguata disponibilità di cibo e che il fondamentalismo islamico intende guidare contro l’Occidente; del contrasto tra gruppi industriali che difendono le vecchie forme di energia e gruppi che invece trarrebbero vantaggio dall’introduzione di energie non inquinanti. Ma tutti questi fattori non possono esistere separatamente dalla presenza di chi oggi è potente perché è l’incarnazione della potenza della tecnica (Usa e Russia) e pertanto vuole differenziare la propria sorte da quella di tutti gli altri. Anche prima del crollo dell’Urss ho sempre sostenuto che le due superpotenze avrebbero evitato di scontrarsi e distruggersi (col risultato di lasciar sopravvivere le grandi masse dell’Asia non sovietica, dell’Africa, dell’America meridionale). Ed è un’eccessiva sottovalutazione della razionalità delle due superpotenze — la cui preminente potenza è dovuta alla razionalità tecno-scientifica che ha come scopo il proprio perpetuarsi e potenziarsi — ritenere che esse lascerebbero arrivare quel punto di non ritorno dove la Terra non sarebbe più abitabile dall’uomo o dove esse e le aree del globo per esse vitali (come l’Europa) fossero sommerse dalle masse dei poveri.

Ma c’è di più: se la tecnica ha la capacità di prevalere su tutte le forze oggi presenti sulla Terra — quindi anche su quelle che la devastano e sono responsabili della fame nel mondo —, essa ha la capacità di prevalere perfino sulle dimensioni soprattutto nelle quali essa stessa oggi si incarna, cioè sulle dimensioni — Usa, Russia — che oggi ritengono di potersi servire della tecnica per realizzare gli scopi che esse perseguono in quanto Usa e Russia. Questi scopi differiscono e si oppongono allo scopo dell’apparato tecno-scientifico: l’aumento indefinito della propria potenza. Differendone e opponendovisi, sono destinati a soccombere di fronte a tale scopo, ossia a trasformarsi essi in mezzi per realizzarlo. La dominazione planetaria della tecnica si genera da questi scopi che, dandola alla luce, vanno incontro alla morte.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

04 MARZO 2017