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A DIFESA DELLA STORIA


Disciplina sostanzialmente marginale o presupposto fondamentale del dibattito culturale?






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L'idea che la storia sia una disciplina sostanzialmente marginale, ovvero una forma di conoscenza secondaria, per presunti limiti metodologici, rispetto ad altri ambiti delle scienze sociali, è opinione ormai diffusa ed egemone da alcuni decenni, e ha prodotto anche vistose ricadute nel campo della formazione, laddove lo spazio dedicato alla storia è stato scientemente ridotto nei contesti della scuola superiore e delle università. È stato in particolare l'esito preponderante della riflessione filosofica del secondo dopoguerra a far prevalere un atteggiamento di diffidenza verso la dimensione della storicità; la legittima critica al determinismo delle filosofie della storia ha lasciato il passo a un'operazione semplificante che nega al sapere storico contenuti veritativi condivisi. Da una parte la storia è stata interpretata, soprattutto dagli esiti più recenti del pensiero postmoderno, come lettura del mondo deformata dalla collocazione per forza di cose prospettica dello storico; questi caricherebbe i fatti di contenuti pregiudiziali ad essi estranei e produrrebbe così un sapere inevitabilmente ideologico, una 'grande narrazione '. Un'ulteriore polemica verso la storia, proveniente da un fronte opposto, ma che si rivela in realtà complementare, sostiene l'incapacità della storia - sempre per l'inevitabile parzialità dello sguardo dello storico - di produrre verità sostantive sul modello delle scienze naturali, capaci di far convergere l'assenso dell'intera comunità degli studiosi. La produzione di storiografia non sarebbe un esito fecondo degli studi storici, bensì una sorta di cartina di tornasole sull'impossibilità della storia di proporsi come autentica disciplina scientifica. 

Per contrastare questo tipo di valutazioni, negli ultimi due decenni sono state pubblicate diverse autorevoli riflessioni sulla teoria della storia, tentativo da parte degli storici di difendere l'autonomia epistemologica della loro disciplina dalla delegittimazione sostenuta in ambito filosofico. Al centro di questi studi vi è la convinzione che la storia sia in grado di proporre una ricostruzione razionale  del passato, capace di individuare quelle che Sandro Rogari ha chiamato 'leggi di processo '; queste non avrebbero carattere deterministico, in quanto derivate dalle azioni finalistiche dei soggetti umani, che pure si dipanano secondo  criteri che possono essere spiegati nella loro logica dinamica. Tale giustificazione razionale del divenire storico è in grado di rendere conto dell'azione continua del passato sul presente, che, ignorata, impedirebbe un'interpretazione feconda della contemporaneità. Per poter sostenere in modo convincente tale esito euristico bisogna contrastare il presupposto ontologico su cui si fonda il principio che vuole la realtà interpretabile solo se sottoposta a criteri tassonomici o quantitativi, che ne valorizzerebbero il carattere  inemendabile, per definizione astorico. A tale esito teoretico va contrapposta la concezione ontologica propria dello storicismo (corrente troppo spesso e indebitamente appiattita sulla filosofia della storia), per cui 'non ci sono fatti che non sono storici ' (Galasso), comprese le stesse strutture del pensiero -come avevano colto, tra gli altri,  Dilthey, Heidegger, Husserl o Enzo Paci, autori troppo frettolosamente messi ai margini del dibattito contemporaneo-. Il riconoscimento del carattere essenzialmente storico del reale, quindi mutevole e pluralistico, consente addirittura di poter parlare di un primato della storia, capace ben più delle altre scienze sociali di rendere conto del carattere imprevedibile e non finalistico degli eventi umani.

La rivalutazione del concetto di realtà contro le derive del postmodernismo è esigenza espressa dagli storici sin dagli anni Novanta, ben prima che esplodesse la questione del 'New Realism '. Fa specie constatare, nelle argomentazioni dei sostenitori del Nuovo Realismo, l'assoluta indifferenza verso il concetto di realtà rivendicato dagli storici. Per questi studiosi la realtà coincide semplicemente con l'oggetto materiale della rappresentazione, non invece -come nella migliore tradizione idealistica e storicistica- con il suo concetto, ovvero con lo svolgimento che ha portato il fatto a riconoscersi nella totalità del proprio processo e a condizionare, carico di storia, la contemporaneità, della quale permette di valutarne il senso. Per i sostenitori di questo recente movimento filosofico la storia, dovrebbe fare riferimento non tanto all'ontologia, bensì all'epistemologia.  È negata così qualsiasi capacità del sapere storico di incidere sulla realtà, a meno che non accetti di essere disciplinato dal punto di vista metodologico, accettando la subordinazione ad altri rami delle scienze sociali, considerati più affidabili proprio perché capaci di offrire risultati riducibili a criteri quantitativi, tassonomici e statistici.

Sorprende come, nel pur aspro confronto tra 'Nuovi realisti ' e Postmodernisti ' si sia realizzata un'evidente convergenza  nel negare dignità teoretica allo storicismo, facendo credere che queste due posizioni siano in grado di esaurire lo spazio della discussione.

 

Non è così, come prova l'ostinata difesa del sapere storico proveniente da più fronti, da studiosi di lunga esperienza (Luciano Canfora, Giovanni Grado Merlo, Giuseppe Galasso, Sandro Rogari) sia da studiosi della generazione più giovane (Stefano Azzarà, Diego Fusaro). Sono tali prese di posizione che è necessario valorizzare e sviluppare per rendere di nuovo la storia presupposto fondamentale del dibattito culturale, nel solco peraltro della migliore tradizione filosofica italiana.


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30 MARZO 2015

     La legittima critica al determinismo delle filosofie della storia ha lasciato il passo a un'operazione semplificante che nega al sapere storico contenuti veritativi condivisi 

 

 

     Negli ultimi due decenni sono state pubblicate diverse autorevoli riflessioni sulla teoria della storia, tentativo da parte degli storici di difendere l'autonomia epistemologica della loro disciplina dalla delegittimazione sostenuta in ambito filosofico