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ADDIO A MARIO VEGETTI


Ricordano l'amico e il protagonista della Casa della Cultura: Ferruccio Capelli, Mauro Bonazzi, Fulvio Papi, Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Salvatore Veca ...



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Ricordano l'amico e il protagonista dell'attività della Casa della Cultura:
Ferruccio Capelli, Mauro Bonazzi, Fulvio Papi, Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Salvatore Vrca ...

 

Ieri, domenica 11 marzo, in tarda serata è scomparso Mario Vegetti, insigne studioso di filosofia antica, amico, partecipe e protagonista della Casa della Cultura. Il nostro primo pensiero va alla moglie Silvia e ai figli Matteo e Valentina cui ci stringiamo in un abbraccio carissimo.

Altri in questi giorni ricorderanno appropriatamente l'attività accademica di Vegetti, titolare per trent'anni della cattedra di Storia della filosofia antica a Pavia, conoscitore profondissimo della filosofia e del pensiero scientifico greco, appassionato cultore di Platone cui ha dedicato anche dieci e più anni di accurato lavoro filologico per una monumentale edizione commentata de "La Repubblica", studioso attento di Aristotele e del pensiero filosofico dell'epoca ellenistica.

Noi in queste ore vogliamo ricordare Mario Vegetti come un protagonista dell'iniziativa e del dibattito culturale della Casa della Cultura. Ha cominciato a collaborare quando era un giovane studioso. Lo ha fatto fino alla fine. L'ultima sua proposta è il ciclo su "I miti fondatori" che si è sviluppato con grande successo nelle scorse settimane e che terminerà proprio fra un paio di giorni. Quando ha avanzato quest'idea la sua malattia era già in fase avanzata: eppure con determinazione e serenità stoica Mario voleva dare il segno di un impegno che continua.

Al fondo in Vegetti vi era un'idea alta della funzione civile della filosofia. La riflessione sul mondo antico, da lui riproposta da mille angolature ma sempre in modo rigorosissimo, non scadeva mai nell'esornativo, in un puro e semplice esercizio di erudizione. Il mondo antico nella sua riflessione era uno stimolo potente per elaborare punti di vista anche per l'oggi. Come nel suo ultimo libro, "Chi comanda nelle città", dove la riflessione sulle città greche è occasione per ragionare su categorie essenziali del pensiero politico.

Mario Vegetti è stato parte viva e pulsante della Casa della Cultura. In mille e mille modi ha manifestato questo suo legame, rivendicandolo esplicitamente. In occasione del nostro "Sessantacinquesimo" ha steso e pubblicato un breve scritto in cui ha definito la Casa della Cultura "isola benedettina di resistenza". Questa sua riflessione è riemersa tante volte in questi anni. Ed anche in questi giorni, dopo gli ultimi sconvolgenti risultati elettorali, appare lucida e attualissima.

Essa ci fa intuire anche il miglior ricordo che Mario Vegetti, con ogni probabilità, chiederebbe alla "sua" Casa della Cultura: ribadire il senso della nostra fedeltà a quell'idea di impegno culturale, civile e politico a lui tanto cara.

Ferruccio Capelli

 

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Pur conoscendolo da anni - per quelli che come me si occupavano di filosofia antica era e rimane un punto di riferimento imprescindibile - è stato proprio negli ultimi tempi alla Casa della Cultura che ho potuto comprendere meglio la portata della lezione di Mario Vegetti. Autore di saggi fondamentali, studioso di fama internazionale, Mario si è rivelato anche un instancabile promotore di attività pubbliche, sempre convinto che non ci si dovesse richiudere nei propri orticelli ma allo stesso tempo deciso a non rinunciare mai alla qualità scientifica delle sue attività, in cerca di un facile consenso. Ne sono conferma eloquente gli ultimi due cicli di incontri che avevo avuto la fortuna di organizzare con lui alla Casa della Cultura, prima sul tema de 'L'antichità e noi' poi su quello dei 'Miti fondatori'. Alla base di queste e di tante altre iniziative era la convinzione che gli derivava anche dai suoi studi su Marx e che ha sempre messo in pratica nei suoi lavori: la filosofia e la città hanno bisogno l'una dell'altra. Era anche il tema di fondo della sua opera forse più ambiziosa, quel grandioso commento alla Repubblica, che ha segnato un vero e proprio spartiacque nel campo degli studi platonici, riportando prepotentemente sulla ribalta il problema del Platone politico e della sua relazione con la democrazia liberale contemporanea. Ed è una lezione più importante che mai, oggi.

Mauro Bonazzi

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L'addio di un amico carissimo come Mario Vegetti non toglie parole e senso che per decine d'anni ci siamo scambiati come valore delle nostre esistenze. Precipitano nell'ombra, nel vuoto della tristezza poiché la morte è comunque il lutto dei ricordi. Eppure so che Mario troverebbero un poco convenzionali queste parole. E mi inviterebbe, sono parole sue, a non essere noioso. Ho conosciuto Mario nel 1966 o '67 nell'istituto di filosofia affacciato al cortile delle magnolie dell'Università di Pavia. Anzi: fu uno scambio di sguardi interrogativi e gentili nello spazio tra l'ingresso e la prima stanza dell'Istituto. Le storie vere hanno sempre un inizio indimenticabile.

La nostra amicizia fu subito facile perché bastarono poche parole per capire che avevamo la stessa immagine di noi stessi professori di filosofia dell'Università. Da quel giorno lontano ma conservato nella memoria, tutto quello che so della filosofia greca lo devo agli studi di Mario dagli studi sulla biologia aristotelica - un Parmenide interrogato per ciò che poteva essere fuori dalla luce delle grandi sintesi teoriche - all'analisi dei tesori platonici e a quell'edizione magistrale della Repubblica dove ogni tratto, pensiero, frammento di cultura, profilo di personaggio trovava un genere di scrittura e, al tempo stesso, insegnava a riconosce la voce della filosofia, sino alle ultime preziose indagini aristoteliche. Qui mi fermo perché sono solo un allievo e ci vuole un esperto per mettere in luce tutto il valore del suo lavoro filosofico, della sua puntigliosa interpretazione storica, sempre attento, cauto e felice delle occasioni delle forme della cultura contemporanea.

Dal canto mio non c'era prova che non gli mandassi e attendevo, un poco impaziente, il suo giudizio. Ero lieto che stimasse sempre l'impresa filosofica anche quando i miei autori non gli erano congeniali. Amava il mio studio sulla logica di Hegel.

Era inevitabile che scivolassi sul mestiere del fare filosofia, ma non era tutto. Restavano i nostri scambi di idee sul mondo sociale che, nel cambiare dei tempi, mutavano di prospettiva e di argomenti, ma non di tono, insieme radicale e amichevole, dal turbinoso e vitale '68 a questi tempi della forma dell'acqua.

So anch'io tutte le proposizioni che insegnano a vivere con le certezze del bene che ha portato un amico che non c'è più. Ci rivedremo nelle pagine dei libri. Ora è bene che non esageri il nostro costume occidentale sul rapporto tra l'addio e la rinascita nella scrittura.

Ora un pensiero segnato dal dolore, una vita perduta, mi lascia fragile come forse Mario non vorrebbe. Ma non ho altro modo.

 

Fulvio Papi

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Vorrei ricordarlo con voi il nostro grande Mario così:

Carissimo Mario,
stamattina mi vengono alla mente - assieme all'' orgoglio di averti conosciuto decenni fa - non solo le nostre chiacchierate concordi e serene su Platone e i miei maestri medievali Platonici, ma anche quelle così "rissose" e vitali nella casa di Silvia e tua vicina a quella di Paolo e mia dove ci incontravano a parlare anche di football e non sempre serenamente... Ricordo anche i nostri incontri "accademici", alcuni paradossalmente così festosi (una serata strepitosa e energetica a Parma con le Goff lontana appunto dallo stile accademico dove abbiamo persino cantato...) La tua amicizia consolante e ruvida , la tua irruenza intellettuale e la tua maestria non le posso dimenticare e penso che é una fortuna averti incontrato nella vita.
Mariateresa

Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri

 

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Caro Mario,

volevo dirti che, lunedì mattina, quando ho saputo che ci avevi lasciati, ho scritto subito un messaggio a Silvia, Matteo e Valentina e ai tuoi cari, in cui con Nicoletta ci stringevamo a loro con un grande abbraccio solidale e amicale. Ricordando, nella cerimonia degli addii, la tua triplice lezione che vivrà durevolmente come la tua impronta sulle nostre memorie. La lezione del grande, rigoroso e originale studioso di quel persistente repertorio di possibilità per noi, in cui consiste il retaggio del classico, entro la nostra tradizione. La lezione dell'intettuale pubblico, quale partecipante alla vita della polis, leale nel tempo a un grappolo di principi di libertà e giustizia. La lezione, infine, di una persona speciale in cui la fedeltà alla vocazione filosofica e alla responsabilità civile andava in tandem con una sobrietà rara e quasi schiva e, per questo, esemplare. Sono questi, per me, i tre tuoi doni cui va, con l'amicizia di sempre, la gratitudine di chi, come me, ha avuto il privilegio di aver imparato, nel tempo, tante cose importanti da te.

Salvatore Veca

 

 

 


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15 MARZO 2018