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QUALE FUTURO PER LA DEMOCRAZIA?


Intervento in occasione del 73° della Casa della Cultura






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1 - Da qualche anno in occasione della ricorrenza della fondazione della Casa della Cultura proponiamo un incontro per evidenziare e approfondire i nodi su cui si sta concentrando la nostra riflessione. Due anni fa abbiamo ragionato sulle implicazioni degli sviluppi impetuosi della scienza e della tecnica: "Il futuro dietro l'angolo", abbiamo proposto. Lo scorso anno abbiamo focalizzato la questione del "senso", ovvero del dove si sta andando. Quest'anno abbiamo deciso di ragionare sul "futuro della democrazia".

C'è stato un passaggio storico - nel decennio che è seguito alla caduta del Muro - in cui la democrazia appariva come una forma politica trionfante e indiscutibile. Si era messa in moto quella che Huntington chiamò la terza ondata della democratizzazione: i regimi dittatoriali e autoritari sembravano cedere "naturalmente" il passo alla democrazia e il sistema democratico veniva celebrato come il nostro destino certo e indiscutibile.

Oggi, a distanza di venti - trent'anni, si respira un'aria molto diversa, con tanti e difficili interrogativi che si stanno addensando. Vi sono segnali di ritorno a regimi illiberali e tanti altri di trasformazioni profonde della democrazia stessa.

 

2 - Cominciamo con uno sguardo fotografico, a tutto campo. Esso ci segnala in modo inoppugnabile che alla fine del secolo scorso la qualifica "democratico" è stata distribuita con qualche eccessiva generosità.

Molti paesi cui era stata attribuita la qualifica di democratici dopo la "terza ondata" ci appaiono oggi "democrazie elettorali" piuttosto che democrazie liberali. Il che significa che al diritto di voto corrisponde un pluralismo alquanto zoppicante e un sistema di garanzie - per le minoranze politiche e per l'insieme dei cittadini - che dobbiamo definire per lo meno rudimentale.

C'è poi un altro gruppo di paesi nei quali si stanno verificando veri e propri processi involutivi. Si tratta di realtà distribuite in varie parti del mondo: si va da alcuni stati dell'Est europeo - come la Polonia e l'Ungheria - ad altri di importanza cruciale nel medio Oriente come la Turchia fino a paesi dell'America Latina come il Venezuela e, per altri aspetti, il Brasile. Sembrava avessero imboccato saldamente la strada della democrazia, ma ora stanno virando verso forme neo - autoritarie. Nell'est europeo è stata coniata dagli stessi protagonisti la formula "democrazie illiberali", di per se stessa assai eloquente. La Turchia, dopo il tentato golpe, si è immersa in una spirale di arresti, di intimidazioni e di svuotamento dei contrappesi e delle garanzie democratiche. In Sud America sta ritornando prepotente la tentazione del caudillismo: difficile spiegare altrimenti la sconcertante elezione a Presidente del Brasile di quel Bolsonaro che si autoproclama fascista e nostalgico dei gorilla militari.

Ma c'è dell'altro: vi sono segni di sofferenza del sistema democratico anche nel cuore dei paesi a più lunga e consolidata tradizione democratica. Essi si manifestano attraverso un sintomo ben preciso: il dilagare del populismo. A breve giro di termine la Brexit, l'avvento di Trump e la vittoria dei giallo - verdi in Italia squadernano dinanzi agli occhi il rischio di un'involuzione delle nostre democrazie. L'eruzione dei populismi è il sintomo di una grave crisi democratica: una crisi di rappresentanza. Ovvero, l'esplosione di una profonda insoddisfazione sociale e politica che cerca affannosamente nuove strade per imporsi sulla scena pubblica.

Nell'insieme un quadro di trasformazione e di sofferenza della democrazia sulla quale riteniamo opportuno soffermarci con la dovuta attenzione. Per mettere a fuoco un interrogativo: siamo a una crisi nella democrazia o a una crisi della democrazia?

 

3 - Ma quali sono i fattori che hanno reso difficile il consolidamento dei nuovi regimi democratici e che hanno messo in sofferenza anche le democrazie più consolidate? A me sembra che sia possibile individuare tre grandi nodi che si sono via via sovrapposti e intrecciati tra di loro.

Prima questione: la democrazia, così come l'abbiamo conosciuta nel diciannovesimo e ventesimo secolo, era intimamente collegata allo stato nazionale. La sovranità dei cittadini si è sempre esercitata dentro i confini dello stato nazionale. Ma è indubbio che la globalizzazione, quella che si è dispiegata negli ultimi trenta - quarant'anni, quest'ultima globalizzazione, mette in sofferenza gli stati nazionali. Ho detto: questa globalizzazione, perché altre precedenti globalizzazioni hanno visto come protagonisti gli stessi stati nazionali che arrivarono a contendersi fragorosamente il dominio e il controllo del globo.

Quest'ultima globalizzazione, invece, ha generato e messo in movimento potenti forze sovranazionali. Senza ombra di dubbio è emersa come protagonista assoluta la finanza globale. Per non parlare dei giganteschi conglomerati che hanno bilanci superiori a quelli di larga parte degli stati nazionali e che sfuggono inesorabilmente al controllo e al condizionamento dei singoli paesi. Gli stati hanno visto sottrarsi molti poteri sulla regolamentazione dei mercati, sulla produzione, sulle comunicazioni mentre, per altro verso, proprio per fronteggiare questa situazione inedita, hanno ceduto altri poteri a nuovi organismi sovranazionali. Nell'un caso e nell'altro hanno visto restringersi i campi su cui esercitare la propria sovranità.

Ancora, sono emersi problemi di ordine e grandezza globale dinanzi ai quali ci si è sentiti privi di strumenti adeguati per intervenire. Si pensi ai movimenti delle popolazioni o al problema del riscaldamento globale, della minaccia del cambiamento climatico.

Qui, a me sembra, nella debolezza e nella crisi di ruolo degli stati nazionali, sta una delle ragioni principali della crisi di legittimazione che ha investito tutti i regimi politici nel mondo e che, ovviamente, si manifesta con particolare acutezza proprio nei paesi democratici, là dove i cittadini hanno i canali aperti attraverso cui fare sentire la propria voce.

Non sono mancati generosi tentativi di supplire allo svuotamento della cittadinanza nazionale proponendo e inseguendo una inedita cittadinanza globale. In effetti si è formato un embrione di opinione pubblica globale, che di tanto in tanto, su specifiche questioni, riesce a fare sentire la propria voce. Si sono formati anche soggetti che si muovono a tutto campo sulla scena globale: si pensi alla rete delle ONG e alla loro influenza su alcune rilevanti questioni. La stessa giornata di lotta odierna - con i tanti giovani che si stanno mobilitando nel mondo intero - segnala il formarsi di un movimento globale di opinione pubblica che si propone di contrastare il cambiamento climatico.

In Europa, come ben sappiamo, si è andati oltre: si è costruita ex novo istituzione continentale per dare uno sbocco alla insufficienza dello stato nazionale: l'Unione Europea è stato il tentativo più coraggioso di gettare il cuore oltre l'ostacolo, di realizzare una nuova sfera di sovranità democratica sovranazionale.

Ma in realtà né il sogno della cittadinanza globale né il progetto della cittadinanza europea sono riusciti a creare meccanismi democratici alternativi, sovranazionali, tali da mitigare e bilanciare lo svuotamento della sovranità nazionale. Si è aperto un vuoto nell'esercizio della sovranità democratica: esso ha eroso la legittimità dei regimi politici democratici dentro ogni singolo paese. In questo vuoto si è formato l'humus dei nuovi sovranismi, dentro i quali sentiamo ribollire umori inquietanti, intolleranti, xenofobi, al fondo antidemocratici.

 

4 - Seconda questione: gli sviluppi di questi ultimi decenni hanno spezzato il nesso, per quanto discusso e problematico, che ha legato tra di loro democrazia e uguaglianza. Antica questione su cui, da angolature assai diverse, hanno scritto cose decisive nella fase aurorale delle democrazie occidentali due giganti del pensiero come Toqueville e Marx. Il filosofo tedesco per dire che si trattava solo di uguaglianza formale, mentre l'aristocratico francese segnalava che con l'introduzione della democrazia si era messo in moto un processo inarrestabile verso l'uguaglianza.

Lasciamo pure sullo sfondo le suggestioni e implicazioni teoriche di questa discussione e stiamo ai fatti. La democrazia nel dopoguerra si è consolidata nei paesi occidentali perché ha dischiuso una stagione di inclusione sociale e ha realizzato un sistema straordinario di protezione sociale. L'ascesa del mondo del lavoro e la costruzione del welfare sono i tratti distintivi della democrazia nel dopoguerra, della democrazia dei trent'anni d'oro, della stagione segnata dalla cultura e dai valori dell'antifascismo.

La legittimazione popolare della democrazia, il suo fascino anche nel mondo popolare, è intimamente legato a questi processi sociali e politici. Durante quella stagione il sistema politico democratico ha saputo raccogliere e organizzare le domande dei cittadini, compreso quelle della parte più debole e disagiata della democrazia: la cittadinanza democratica ha trovato i suoi canali di scorrimento, ha avuto un significato vivo e pulsante. Tutto ciò ha cominciato ad essere messo in discussione dai primi anni Ottanta.

La democrazia inclusiva di questo dopoguerra ha iniziato da allora a scricchiolare. Si sono progressivamente occlusi i canali della rappresentanza democratica: pesa qui la progressiva, inarrestabile, frantumazione del lavoro: il peso politico del mondo del lavoro si è via via ridotto. A seguito dell'indebolimento del mondo del lavoro si è affievolita, spenta anche la voce della parte più disagiata della società. La solidarietà è evaporata e l'individualismo si è radicalizzato.

L'effetto complessivo ci è ben noto: le disuguaglianze hanno iniziato a ricrescere. Il tutto accompagnato da un mutamento profondo del clima culturale: l'uguaglianza sociale ha perso il carattere di valore - di idea limite - verso cui tendere. Anzi, nell'arena pubblica ha preso via via più forza un'argomentazione che legittima la disuguaglianza.

Possiamo dire che nell'insieme si è verificato uno scivolamento, potremmo dire perfino uno stravolgimento, della democrazia: essa, dopo essere stata per trenta e più anni, la forma politica nella quale ha potuto realizzarsi una progressiva ascesa delle classi subalterne, si è trasformata nella forma politica migliore per la legittimazione del potere delle classi dominanti. In altre parole, si è verificato un autentico rovesciamento della percezione sociale della democrazia. Politologi e storici come john Dunn e Tony Judt hanno sollevato per tempo la questione: oggi è impossibile prescindere da questo nodo dalle immense implicazioni.

 

5 - A tutto ciò dobbiamo aggiungere, dall'inizio del nuovo secolo, un processo nuovo, l'ultimo che si è delineato ma non per questo meno rilevante: il tendenziale passaggio - nel quale siamo immersi - dalla democrazia organizzata alla democrazia disintermediata.

Tocchiamo qui un nodo ancora poco riflettuto, ma di immense implicazioni: la crisi dei corpi intermedi, i partiti soprattutto, accelerato dalle applicazioni alla vita pubblica delle nuove tecnologie dell'informazione. Qualche problema stava già emergendo ai tempi della crescita esplosiva del sistema mediatico: l'overload informativo, la sovrabbondanza del sistema dell'informazione, stava iniziando a deformare lo spazio pubblico. Ma negli ultimi anni è accaduto qualcosa che va ben oltre: la Rete prima, e poi i social, stanno letteralmente trasformando la vita pubblica.

C'è già un'ampia letteratura sul "direttismo", sul fascino della semplificazione, sul trionfo delle emozioni a scapito delle argomentazioni. A tutto ciò bisogna aggiungere la tendenza ultimissima, quella legata all'esplosione dei social, ovvero il peso crescente della gestione dei big data, della profilazione degli utenti della Rete tramite algoritmi, l'uso del fake e il ricorso crescente ai bot per inchiodare i frequentatori dei social nelle loro echo - chambers.

I soggetti che guidano e strutturano la discussione sulla Rete si stanno disincarnando: la discussione è suscitata e diretta da strumentazioni tecniche che agiscono e colpiscono automaticamente, sprigionando anche un'inaudita carica di aggressività e di violenza nel confronto pubblico. L'utopia che aveva accompagnato l'ascesa della Rete, l'autoproduzione di massa delle notizie e dei commenti, si sta trasformando nel suo esatto contrario, in un'autentica distopia. Sto accennando a fenomeni ancora poco conosciuti ma con i quali ormai dobbiamo confrontarci giorno per giorno: si pensi al sistema di comunicazione del ministro degli Interni, e all'algoritmo, detto "La Bestia", con cui gestisce la sua presenza sulla Rete e con cui scatena le sue campagne.

Sono mutamenti profondi, radicali, rapidissimi, che sollevano domande inquietanti. In questa situazione dove e come si forma l'opinione pubblica? Dove è finita quell'opinione pubblica ben informata che avrebbe dovuto formarsi con il dibattito razionale suscitato e gestito dai corpi intermedi di cui ragionava all'incirca quarant'anni fa Jurgen Habermas?

È dentro queste dinamiche che la semplificazione populista e il leaderismo populista trovano il terreno di coltura ideale.

 

6 - Ho indicato alcuni cambiamenti profondissimi che stanno investendo la democrazia. Essa sta cambiando, anzi è cambiata profondamente. Questi processi, come ben sappiamo, generano mutamento, stravolgimento, crisi.

Il problema, per riprendere la domanda da cui siamo partiti, è se questi mutamenti profondi hanno generato una crisi della democrazia oppure una crisi nella democrazia. Ovvero, se la democrazia riesce ad avere gli anticorpi per evitare processi degenerativi.

Per evitare che lo sbocco di questa crisi sia lo sfarinamento dei corpi intermedi, il prevalere, in un'opinione pubblica scomposta e frantumata, dominata da passioni ed emozioni incontrollate, nel segno della paura, della rabbia, dallo spirito di rivalsa e di ritorsione, con cittadini pronti a identificarsi con, e a consegnarsi nelle mani di leader autoritari. Si tratta di uno scenario inquietante, ma tutt'altro che irreale, uno scenario cui il "popolo" (il cittadino dimenticato, la parti più disagiate della popolazione) tornerebbe in primo piano ma in un contesto di valori e di politiche autoritario e reazionario.

Nel qual caso resterebbe, probabilmente - (probabilmente non significa sicuramente!) - l'involucro democratico, ovvero il ricorso periodico al voto dei cittadini, ma con garanzie liberali indebolite e senza più quella crescita civile e sociale che è stata il motivo più profondo di fascino, di attrazione e di legittimazione delle nostre democrazie.

 

7 - Insomma, mi sembra opportuno riflettere seriamente sul fatto che questa crisi possa avere sbocchi anche molto inquietanti. La minaccia populista, il sintomo di questa crisi, deve essere presa molto sul serio: il "momento populista" può essere di non breve durata e può avere sbocchi anche molto sgradevoli.

Si tratta di pensare a come costruire uno sbocco positivo a questa crisi. Ma per questo bisogna avere il coraggio di andare alla radice dei problemi. Per altro a me sembra evidente che i nodi accennati - la visione acritica della globalizzazione, la torsione neoliberale della democrazia, l'ingenua fiducia nella Rete - toccano direttamente il nostro mondo culturale e politico di riferimento: un po' tutti noi, noi inteso come il mondo della sinistra nel suo insieme, siamo spinti - a me sembra - a una coraggiosa e profonda azione di ripensamento. Se vogliamo, ovviamente, non lasciarci travolgere dai segnali inquietanti di crisi democratica che si sono addensati.

Milano, 15 marzo 2019, in occasione del 73° della Casa della Cultura

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19 MARZO 2019