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PER UN NUOVO UMANESIMO


Ambiente, diritti, etica. Laboratorio n5 "Con uno sguardo umano"






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1 - Si parla spesso, in questi tempi, di nuovo umanesimo. Ne parlano anche voci molto autorevoli.

Il tema è stato evocato da papa Francesco. "Serve un patto educativo globale che educhi a un nuovo umanesimo", ha detto il pontefice. Espressione forte, ma, nel caso del pontefice, del tutto coerente con il suo insegnamento: il tema del nuovo umanesimo era già implicito in tanti atti del papa e attraversava tutta la sua Enciclica, Laudato si'.

Più sorprendente - spero comprendiate la mia franchezza - è stato sentire evocare il nuovo umanesimo dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Anche perché ne ha parlato la prima volta nella sua veste di Presidente uscente, dimissionario: si trattava del discorso in Senato con cui replicava a Matteo Salvini che gli aveva appena tolto la fiducia. In quel momento Conte era il Presidente di una maggioranza giallo - verde che per quattordici mesi si era distinta per tutto meno che per atti e parole evocative di un "nuovo umanesimo". In quel contesto, nell'ambito di quel discorso, il richiamo a un nuovo umanesimo era, quanto meno, del tutto inaspettato.

Nei giorni successivi il Presidente del Consiglio ha precisato ulteriormente che "il nuovo umanesimo" deve essere l'"orizzonte culturale del paese". Ne prendiamo atto. E sottolineiamo l'aspetto positivo: un tema a noi caro, il più impegnativo fra quanti da noi sollevati, sta entrando nel vivo del dibattito pubblico.

Sono passati quasi dieci anni da quando, in questa sede, abbiamo cominciato a interrogarci sull'urgenza e l'importanza di un nuovo umanesimo: finalmente se ne discute in tante sedi. Se ne parla in incontri pubblici, il tema sta affiorando anche sui media. Buona cosa quindi.

L'incontro di oggi, il quinto incontro pubblico organizzato nell'ambito del percorso comune della Casa della Cultura e della Casa della Carità per recuperare uno "sguardo umano", si inserisce in questa situazione di attenzione, di curiosità, di interesse diffuso per la proposta di un "nuovo umanesimo".

Vediamo allora di chiarire bene, grazie anche all'autorevolezza dei nostri interlocutori, il senso di questa proposta. Da parte mia cerco di introdurre la discussione accennando alcuni grandi nodi che spingono a mettere a fuoco questa prospettiva.

 

2 - Cominciamo a ricordare le ragioni per cui, all'incirca un anno fa, abbiamo deciso con la Casa della Carità di avviare questo percorso: al Planetario - ricordate -, poi i seminari sulle disuguaglianze, sulla paura, sulle nuove pratiche solidali. Oggi siamo al quinto appuntamento.

La nostra iniziativa nasceva dal bisogno di lanciare un allarme rispetto alla pericolosa deriva del clima pubblico nel paese. Uomini di governo che si scagliavano contro i più deboli, che agitavano impunemente le corde della xenofobia, che gonfiavano le vele del razzismo. La rabbia sociale, alimentata dallo stesso potere pubblico, tendeva a traboccare in aggressività diffuse e in manifestazioni d'odio. I social (non a caso il 22 prossimo, in Casa della Carità, discuteremo proprio di social e di relazioni virtuali), in questo contesto, erano diventati con inquietante frequenza strumenti di espressione di istinti intolleranti, di trasmissione di vere e proprie incitazioni all'odio e all'aggressione.

Era urgente, questo il senso della nostra iniziativa, fare sentire voci diverse, richiamare al senso del limite, impedire che i messaggi di intolleranza e di odio diventassero la normalità incontrastata. Era urgente, insomma, riproporre il problema - come abbiamo detto - dello sguardo umano, della dignità e del rispetto di tutte le persone. Soprattutto delle più deboli.

 

3 - Quando, come in quest'incontro, poniamo il problema di un "nuovo umanesimo" andiamo oltre questa emergenza, allarghiamo l'orizzonte del ragionamento. Stiamo invitando a riflettere su un problema più di fondo che attraversa tutto l'Occidente e non solo, ci proponiamo di mettere a fuoco problemi strutturali che stanno modificando la condizione umana, che stanno alterando le relazioni fra gli esseri umani e degli esseri umani con la natura e l'ambiente circostante.

Si tratta di una riflessione che vorremmo impostare con serietà ed impegno anche perché avvertiamo il rischio che la proposta di un nuovo umanesimo, così pervasiva ma anche un po' vaga, possa, se non impostata e declinata con attenzione, di dissolversi in una retorica un po' banale e poco concludente, del tipo: vogliamoci tutti un po' più di bene.

Cerchiamo perciò di collocare il problema nella sua giusta dimensione. Secondo noi - proviamo ad impostare bene il problema - siamo immersi in una trasformazione epocale, una vera e propria "grande trasformazione" (l'espressione venne usata da un grande studioso, Karl Polanyi, per spiegare il passaggio dal mondo agricolo tradizionale a quello industriale), una nuova grande trasformazione quindi, che sta cambiando profondamente il modo di lavorare, di comunicare e di vivere degli esseri umani. Essa nasce dall'azione congiunta di due potentissimi fattori di cambiamento, la globalizzazione e gli sviluppi impetuosi della scienza e della tecnica: la loro azione congiunta, sovrapposta, sta letteralmente riplasmando la vita umana.

Con alcuni effetti che dobbiamo cogliere lucidamente: da un lato la rottura di legami sociali essenziali, con l'allentamento delle strutture tradizionali di solidarietà sociale, fino all'emersione di vere e proprie forme di solitudine involontaria di massa; dall'altro lato l'alterazione del rapporto dell'uomo con l'ambiente naturale fino al punto di generare fenomeni radicalmente nuovi e potenzialmente devastanti come il cambiamento climatico.

È dentro questo scenario di mutazione radicale che dilagano quell'incertezza e quello spaesamento oggi così diffusi nell'opinione pubblica. Le persone, gli esseri umani, avvertono un mutamento profondo delle strutture sociali e delle condizioni ambientali: tutto cambia, rapidissimamente, ma in tanti non riescono ad afferrare quale sarà la direzione, lo sbocco del cambiamento. L'innovazione è radicale quanto mai nel passato, ma ad essa nessuno riesce ad affiancare l'idea di progresso, di un cammino chiaro, progressivo, in avanti. Innovazione radicale senza progresso: c'è n'è abbastanza per esporre le persone a inquietudini diffuse e a mille interrogativi anche laceranti.

In un simile passaggio epocale emergono inesorabilmente gli interrogativi sulla collocazione degli esseri umani nella società e nella natura. È successo altre volte nel passato: ai grandi passaggi epocali è corrisposto un ripensamento della collocazione dell'uomo nel mondo.

La straordinaria stagione dell'umanesimo italiano ed europeo - per riprendere un esempio classico - è maturata nel passaggio dal mondo medievale al mondo moderno. In quel frangente storico, un passaggio drammatico come ci stanno ricordando tanti studi e pubblicazioni recenti (ricordo per la diffusione che hanno avuto gli studi di Michele Ciliberto e Massimo Cacciari), è maturata una nuova visione dell'uomo, del suo modo di concepire la sua collocazione sulla terra e nell'universo, di pensare e praticare il lavoro, le relazioni umane, di immergersi nella storia.

Anche noi oggi siamo dentro un passaggio epocale, di portata non dissimile a quello che, alcuni secoli fa, segnò la transizione all'età moderna. Stanno emergendo interrogativi di fondo che ci incalzano, a cui non possiamo illuderci di sfuggire. Ecco perché emerge la questione di un nuovo umanesimo.

 

4 - Non si tratta, quindi, solo di contrastare eccessi e intemperanze, neppure solo di frenare i deliri dei populismi sovranisti. Il problema è più profondo e ha carattere generale: bisogna affrontare e dare risposte positive a una trasformazione generale e globale i cui sviluppi ed esiti appaiono assai incerti.

Quando ci si addentra seriamente in queste riflessioni, tornano in mente le riflessioni di un giovanissimo filosofo tedesco, là dove nei suoi famosi manoscritti del 1844, annotava che "il prodotto del lavoro umano comincia ad ergersi minaccioso contro l'uomo stesso". Da cui traeva la prospettiva di un umanesimo radicale nel quale umanismo e naturalismo non potevano neppure essere pensabili separatamente. Scriveva il giovane Marx poco più che ventenne che "il rapporto con l'uomo è immediatamente il rapporto dell'uomo con la natura" e che "la società è l'unità essenziale dell'uomo con la natura".

Il nuovo umanesimo su cui vogliamo ragionare deve rispondere alla crisi dei legami sociali ed anche alla minaccia ambientale incombente. Fenomeni come il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacciai, la ricorrenza di fenomeni metereologici estremi segnalano quanto è minacciato l'equilibrio uomo - natura: una nube oscura si addensa sulla stessa riproduzione della specie umana. Umanismo e naturalismo, per l'appunto, non sono più pensabili separatamente.

Il tema, in tempi recenti, è stato posto con particolare vigore da papa Francesco quando nella sua Enciclica ci ha ricordato che "tutto nel mondo è intimamente connesso", ovvero che vi è una connessione inestricabile tra dimensione sociale, economica, demografica e ambientale.

In discussione - ecco il punto essenziale - sotto la spinta della gigantesca trasformazione in corso, è l'idea stessa di organizzazione del lavoro, della società, del rapporto con la natura. Ovvero in discussione è il modello stesso di sviluppo. La riflessione sul nuovo umanesimo si intreccia profondamente con quella per un nuovo modello di sviluppo. Il modello di sviluppo dei paesi industrializzati, abbiamo scritto nell'invito, non è più sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale. Per la libertà e la dignità degli esseri umani, per la salvaguardia del nostro ambiente, per la riproduzione stessa della specie umana urge pensare e imboccare un nuovo modello di sviluppo.

 

5 - C'è un lavoro immenso di ricerca, di progettazione, di costruzione che ci attende. Ci attendono nuovi conflitti sociali e nuove battaglie culturali. In questo orizzonte l'idea di un nuovo umanesimo può rappresentare la cornice ideale, il motivo ispiratore unificante.

Ma sorge a questo punto una domanda cui non possiamo sfuggire: queste idee sono destinate a restare pure riflessioni teoriche o riusciamo anche ad intravedere con quali gambe possano camminare? Domanda lecita. Anzi, decisiva.

Vi sarebbero tante ragioni per manifestare dubbi e scetticismo: lo scenario attorno a noi spesso è sconsolante. Eppure vi sono almeno due osservazioni che ci permettono di mantenere un atteggiamento di ragionata speranza.

La prima ci è proposta dalla cronaca politica. Che è tanto spesso avara di messaggi positivi. Ma vi è un punto che non dobbiamo sottovalutare: ogni qual volta sembra che le cose prendano la piega peggiore e stiano precipitando, c'è sempre qualcosa che frena e ostacola la deriva irreparabile. È successo anche stavolta: dopo uno strappo confuso, grazie anche a comportamenti ambigui, ma, alla stretta, l'ipotesi peggiore, il trionfo dei populismi sovranisti e xenofobi, non si è realizzata. Un pezzo grande d'Italia (forse sarebbe meglio dire: un pezzo grande d'Europa) non vuole imboccare questa strada, non vuole correre questo rischio: non è molto, ma non è neppure poco. Non sottovaluterei questa linea di resistenza: cercherei, con realismo, di farne tesoro.

Ma c'è dell'altro. Nella passata primavera, proprio mentre il clima politico e sociale tendeva al peggio, vi sono state alcune reazioni di grande interesse. Proprio qui a Milano.

Ricordo il 2 marzo: quella straordinaria manifestazione "People", promossa da un amplissimo cartello di associazioni. Quel giorno una folla imponente ha invaso le strade di Milano nel nome del solidarismo, del mutualismo, della cooperazione, della responsabilità ambientale. Non era mai accaduto. Si è trattato del venire alla luce, o meglio del condensarsi assieme per la prima volta, di mille energie che sono già all'opera, che nei fatti si muovono in un orizzonte diverso rispetto all'ossessiva centralità dell'homo oeconomicus imposta dal pensiero neoliberale, e che ora, a quanto hanno lasciato intravedere, vorrebbero tentare di mettersi assieme per fare sentire la propria voce, per imprimere un segno diverso allo spirito del nostro tempo.

Pochi giorni dopo, verso la metà di marzo, una marea di giovani e di giovanissimi ha risposto all'appello di Greta Thunberg, di Fridays for future. Poteva accadere, poteva non accadere: qualcuno ha detto che era una partecipazione leggera, trascinata mediaticamente, basata su una motivazione emotiva e superficiale. Resta il fatto che la piazza milanese si è riempita di ragazzi come mai in precedenza. E quella mobilitazione non si è spenta: basti pensare al week end appena passato, alle scadenze programmate per i prossimi giorni. C'è tutto un lavoro, una discussione, una mobilitazione capillare che sta continuando. Per di più si tratta di una mobilitazione globale, che investe tanti paesi del mondo. Quei ragazzi - del mondo! - ci parlano di umanismo e naturalismo globale, di un nuovo umanesimo cosmopolitico. Tante volte abbiamo lamentato la passività dei ragazzi: ora che c'è davvero qualcosa che si muove prendiamone atto e assumiamoci le nostre responsabilità.

Ho fatto riferimento a due fatti diversi, ma entrambi segnalano che nella società qualcosa si sta muovendo. Sono queste, mi sembra, le prime energie sulle quali contare per fare vivere il progetto di "un nuovo umanesimo".

 


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28 SETTEMBRE 2019