!3/04/2015
Che cosa hanno in comune il suicidio-omicidio del pilota della Lufthansa e la piccola -numericamente e solo per caso perché l’intenzione di Claudio Giardiello era di continuare ad uccidere- strage del 9 Aprile all’interno del tribunale di Milano? A una prima riflessione niente, tant’è che nessun accostamento è stato fatto, a parte nei pensieri segreti di ciascuno di noi che assiste impotente al disordine sociale che ci circonda. Niente, ragionevolmente, perché Andreas era pazzo, un pazzo lucido, certo, ma riconosciuto come ‘depresso’ o ‘malinconico’, in cura con psicofarmaci e con strane idee di grandezza, alla ricerca di un modo eclatante, e non importa a che prezzo, di scrivere il suo nome nella Storia. Nel caso di Mlano, invece, la ‘causa’ è piuttosto banale bancarotta, evasione fiscale ‘maldestra’ come la definisce Gad Lerner nel suo articolo su Repubblica del 10 Aprile, scritto a caldo, come del resto sto facendo io. Fatti del genere, stragi insensate, omicidi impulsivi o piuttosto compulsivi, accadevano, fino a poco tempo fa, in America o nelle malinconiche città del Nord Europa.
Noi abbiamo conosciuto il terrorismo e la mafia, certo, che non sono da meno quanto agli esiti. Oggi temiamo gli attacchi minacciati dall’Isis, ma la furia omicida che viene da uno qualsiasi che rifiuta la legge che regola la convivenza civile, è qualcosa che ci lascia increduli e un po’ più sgomenti del solito. Perché il signor Giardiello non è pazzo, non nel senso che diamo tradizionalmente a questa parola, è solo qualcuno che rientra perfettamente in quella che un mio maestro, Charles Melman, ha definito ‘la nuova economia psichica’, vale a dire un modo di funzionamento che ci riguarda tutti, per fortuna in gradi diversi. In questa nuova economia psichica quello che conta di più è godere, il più possibile e ognuno come gli pare, e pazienza se questo disturba il prossimo. L’importante è accaparrare: denaro, beni, donne, potere. Alla faccia di chi non ci riesce. Se poi non si può più, perché non eliminare chi ci ostacola? Meccanismo facilmente comprensibile e banale se non ci scappassero dei morti, vite piene fino a un attimo prima, in questo caso anche vite spese in modo utile, generoso, per il bene comune: un magistato che delibera in un campo minato, un avvocato che non esegue le indicazioni del suo cliente.
Non possiamo però spiegare ogni avvenimento valutando soltanto le particolarità del caso perché è una modalità d’analisi insufficiente. Episodi di matrice diversa si susseguono lasciandoci sempre più disorientati.
Riprendo allora l’interrogativo iniziale: c’è qualcosa che accomuna la strage della Lufthansa e la vendetta dell’imprenditore fallito? Forse entrambi hanno a che vedere col fatto che il meccanismo centrale che regola il nostro funzionamento psichico, e di conseguenza quello sociale, è andato in panne? Intendo parlare della rimozione, concetto inventato da Freud, meccanismo regolatore della psiche che serve a renderci un po’ meno selvaggi, meno paranoici, meno aggressivi, meno fondalmente violenti di quanto spontaneamente saremmo se la rimozione non funzionasse.
La rimozione è quindi un meccanismo civilizzatore. Non intendo fare l’elogio della rimozione totale, che ci renderebbe disumani, automi, ma della rimozione delle pulsioni più primitive e pericolose. Una rimozione temperata, che ci permetta di vivere e desiderare senza aggredire, rubare, usurpare il posto altrui, ingannare il nostro prossimo, dettata da una legge solidale con un’etica.
Anche le Tavole della Legge, i famosi Dieci Comandamenti, dettano i principi fondametali della rimozione: non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza, non volere la donna altrui etc. Non dicevano però: non desiderare o non godere. Semplicemente stabilivano dei limiti.
La loro validità resta intatta ancora oggi, anche se siamo laici. La nuova economia psichica in cui siamo immersi, tendenzialmente non tiene conto né della rimozione né della legge. In un mondo in cui tutto può sembrare possibile, se la rimozione s’inceppa, niente, invece, è più possibile. Paranoia e diffidenza aumentano, il legame sociale s’indebolisce.
L’evoluzione civile riuscirà a padroneggiare la pulsione aggressiva e autodistruttrice degli uomini? Se lo chiedeva Freud, amaro e disincantato, nel concludere il suo Disagio nella civiltà (1929), scritto per ordinare le idee dopo la carneficina della prima Guerra Mondiale. Ce lo chiediamo anche noi, con un pizzico di scetticismo sul progresso dell’umanità, ma confidando in una rimozione temperata e condivisa che è, in ultima analisi, alla base di ogni democrazia.