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LA PREFETTURA LOMBARDI


Un lucido visionario per la 'napoleonica mantide ' di Milano






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Su questo periodo, così breve, ma così importante, della vita di Riccardo Lombardi, sappiamo ora molto di più grazie alla recente biografia di un giovane studioso, Luca Bufarale, La giovinezza politica di Riccardo Lombardi (1919-1949), Viella, Roma 2014.

Ne emerge, ancora una volta, il ritratto di un leader politico cui, come ebbe a scrivere nel 1964 Enzo Forcella, spettò, soprattutto 'in un paese come il nostro, così pronto ad adeguarsi, così facile a scivolare nel conformismo (…) il ruolo, sgradevole ma indispensabile, dell'eterno dissenziente ', grazie anche alle sue peculiari caratteristiche (per la sua formazione, così anomala nel panorama politico italiano, di ingegnere con uno spiccato interesse per le tematiche economiche, da Rathenau a Keynes) di 'lucido visionario ', di 'presbite ' capace di un pensiero economico e sociale sempre originale, poco dogmatico (si pensi alla posizione assunta, come vedremo, sullo 'sblocco dei licenziamenti ') e per certi versi valido ancora oggi (come la proposta di un'anagrafe fiscale o quella sulla perequazione dei patrimoni).

Come scrive Bufarale, alle nove di sera del 25 aprile, dopo la famosa riunione in Arcivescovado con Mussolini (dove fu uno dei protagonisti, intimandogli la resa senza condizioni) Lombardi, nominato prefetto dal CLN, si reca, per tutte la notte, ad ispezionare la situazione della città. Tarda a tornare, tanto che si comincia a temere il peggio e si concorda che, se entro le 5 del mattino non fosse ricomparso, Vittorio Foa lo avrebbe sostituito nella carica. Si presenta alle quattro del 26 aprile. Poco dopo, vestito con la divisa da finanziere (la Guardia di finanza ebbe, come è noto, un ruolo decisivo in quelle ore e finalmente, proprio in questi giorni, è stata giustamente dedicata una lapide in Prefettura al suo comandante, il col. Malgeri, accanto a quella in cui si ricorda Lombardi), entra nel Palazzo del Governo in corso Monforte e dirama per radio il messaggio che annuncia la liberazione della città.

Lombardi, come è noto, era, come tutto il Partito d'Azione in cui militava, per l'abolizione dell'istituzione prefettizia, considerata come una 'napoleonica mantide ', limitatrice delle autonomie locali. Ma assunse quell'impegno (che manterrà fino al dicembre 1945 quando, per l'unica volta nella sua vita, fu nominato Ministro dei Trasporti nel I governo De Gasperi, carica che tenne per soli sette mesi, fino alle elezioni del 2 giugno 1946) per far fronte alle eccezionalità delle circostanze e per riportare il più rapidamente possibile la vita alla normalità.

In questo senso, aveva disposto la rimozione dei cadaveri dei gerarchi da piazzale Loreto (così come vietò la vendita delle foto che ne ritraevano l'esposizione) e il 30 aprile emise un'ordinanza con cui dispose 'l'immediata sospensione delle fucilazioni arbitrarie disposte in seguito a procedimenti sommari da parte di formazioni di volontari e di sedicenti tali '.

Negli stessi giorni, una Commissione presieduta sempre da Lombardi emise un mandato di cattura nei confronti di nove importanti esponenti della imprenditoria italiana, accusati di collaborazionismo:  tra di essi Guido Donegani, proprietario della Montecatini, Franco Marinotti della Snia-Viscosa, Agostino Rocca, amministratore delegato della Dalmine, Alberto Pirelli e Giovanni Treccani. Inoltre, di fronte alla drammatica situazione in campo alimentare, soprattutto per quanto riguarda il latte, riuscì ad assicurare una regolare distribuzione solo minacciando gli industriali Invernizzi e Galbani di sequestrare loro l'azienda. 

Si comprende come, fin da questo momento, Lombardi non sia mai stato molto amato dagli ambienti confindustriali (che si scateneranno contro di lui con una campagna di stampa diffamatoria all’epoca del primo centro-sinistra e della nazionalizzazione dell’energia elettrica). Eppure, durante la sua esperienza di Prefetto, non guardò in faccia a nessuno, sapendo bene quale fosse il suo compito. Prendiamo ad esempio il problema del blocco dei licenziamenti, una misura adottata populisticamente durante l’ultimo periodo della RSI e la cui revoca Lombardi dovette affrontare come Prefetto di Milano. 

Così Lombardi scrive il 25 settembre 1945 a Franco Mariani, segretario della Camera del Lavoro di Milano:

 

          Premetto che sono dell'opinione essere inammissibile che dei disoccupati possano essere lasciati senza assistenza cioè senza che si assicuri loro il minimo indispensabile per vivere; come in generale non è ammissibile che questo avvenga per qualsiasi persona bisognosa a qualunque titolo lo sia, anche per propria colpa (...). Ciò premesso devo confermare il punto di vista espresso ieri sera, che cioè il cristallizzare l'attuale situazione di sovraffollamento degli opifici industriali specie di quelli metallurgici mantenendo sine die il blocco dei licenziamenti sarebbe un vero e proprio tradimento per la stessa classe operaia (…). Bisogna avere il coraggio di dire che sarà stato del tutto inutile avere salvato fisicamente l'apparato produttivo dell'industria italiana se poi con una cattiva politica economica lo mettiamo in condizione di non funzionare. A me sembra che una politica intelligente e che si preoccupi dell'avvenire della classe operaia si deve soprattutto preoccupare di salvare l'efficienza economica dell'apparato industriale; che questo apparato resti di proprietà privata o passi in proprietà collettiva, il problema non muta. Il perseverare nella politica di mantenimento della mano d'opera significa compromettere definitivamente la probabilità che abbiamo di ripresa e quindi aggravare il problema della occupazione operaia mediante un rinvio di soluzioni che anche se dolorose sono peraltro inevitabili.           *

 

 

Il problema del rapporto tra proprietà pubblica e proprietà privata è posto qui, a mio avviso, in modo limpido, per nulla dogmatico o massimalista, prefigurando quello che oggi chiameremmo il 'reddito di cittadinanza '.

Quattro giorni dopo, sempre scrivendo a Mariani, Lombardi ribadiva la sua presa di posizione, sottolineando che la questione non era di moralità, ma di politica economica. Contemporaneamente insisteva però sul dato politico, sulla necessità assoluta che si provvedesse senza indugio non solo alla avocazione dei profitti di regime, ma altresì a una politica fiscale degna di un governo democratico e che facesse pagare il costo della guerra e del fascismo e l'onere della ricostruzione a tutti coloro che risultavano detentori di ricchezze e sulla altrettanto ovvia necessità che i disoccupati avessero assicurato il minimo indispensabile almeno per la nutrizione, l'abitazione, il vestiario e l'educazione.

In questa ottica pure si spiega quel documento già noto, ma che pure riveste una sua importanza peculiare, essendo un vero e proprio manifesto politico, tanto più importante essendo contenuto in documento privato, che è la lettera a Giuseppe Speranzini, compagno della giovanile militanza cattolica, del 7 novembre 1945. Prendiamo ad esempio un passaggio come questo: 

 

          Io non giudico un partito politico dal suo programma, che è sempre qualcosa di astratto ed esangue, ma dall'atteggiamento che esso tiene su quei due o tre problemi essenziali che si presentano in ogni fase decisiva, dal risalto, dallo spicco che esso sa dare alle soluzioni concrete dei problemi posti dalla situazione.

 

È qui che nasce la critica, tipica di Rosselli e di GL prima, del Partito d'Azione poi, e al socialismo prefascista e a quello che Lombardi chiama il 'verbalismo rivoluzionario ', in poche righe che pongono le premesse per tutta la sua futura azione politica: 

 

          All'azione rivoluzionaria doveva seguire, senza soste e senza debolezze, l'azione riformatrice (dico riformatrice non riformista) in modo da pervenire il più rapidamente possibile alla riforma della struttura dello Stato           

 

E ancora, per proseguire nella ricerca di questo filo rosso della concretezza lombardiana, una concretezza però come abbiamo visto del tutto particolare, una concretezza che è del fare, ma anche del pensare: 

 

          Che cosa è essenziale per la nascita di una democrazia in Italia? È essenziale che il Paese sia attivizzato, che il più gran numero possibile di lavoratori di tutti i ceti sia interessato politicamente ed economicamente ad uno Stato democratico, al punto che tutti si sentano minacciati quando la democrazia è in pericolo; abbattere le strutture corporative che sono le eredità più persistenti del fascismo e che ancora oggi sono profondamente radicate nella coscienza non soltanto dei singoli ma perfino dei partiti e dei partiti sedicenti rivoluzionari; riformare l' apparato burocratico dello Stato; frenare le inframmettenze clericali

 

Come abbiamo detto, nel dicembre 1945 Lombardi lasciò l'incarico di Prefetto. Lo fece dopo essersi assicurato che il suo posto a Milano venisse preso da un altro partigiano, Ettore Troilo, l'ex comandante della Brigata Maiella, in modo da continuare a garantire, nell'amministrazione periferica dello Stato, una continuità con l'esperienza della Resistenza. Come disse in conclusione del suo mandato, in un'intervista significativamente intitolata La prefettura luogo aperto a migliaia di cittadini: 

 

          La mia persuasione che la democrazia esiste solo in quanto esiste l'autogoverno locale è stata convalidata dall'esperienza. Non si amministra senza un'iniziativa, una collaborazione, un controllo popolare permanente

 

In una nota scritta un anno prima di morire, nel settembre 1983 (riportata da Bufarale nel libro già citato), sulle realizzazioni della Resistenza, Lombardi scriverà: 

 

          Dal 1943 al 1983: delusione, conferma? Ritengo sia una domanda senza risposta, o con troppe risposte. Ogni grande evento della storia si è proposto dei fini che poi non ha raggiunto; dei fini che poi sono stati profondamente diversi e talvolta contraddittori con l'obiettivo perseguito (…). Era necessario che la Resistenza producesse situazioni di possibile restaurazione e comunque di conservatorismo? Non ne sappiamo nulla, ma comunque per ciò che ci riguarda, sappiamo che l'antifascismo, se non ha raggiunto tutti i suoi fini, non li ha almeno traditi: non è cosa, questa, di poco conto.

 

* Per il testo di questa lettera, come per gli altri documenti citati successivamente, cfr. Riccardo Lombardi, Lettere e documenti (1943-1947), a cura di Andrea Ragusa, Lacaita, Manduria 1998.

 


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21 MAGGIO 2015

        Lombardi era per l'abolizione dell'istituzione prefettizia, considerata come una 'napoleonica mantide ', limitatrice delle autonomie locali. Ma assunse quell'impegno per far fronte alle eccezionalità delle circostanze e per riportare il più rapidamente possibile la vita alla normalità.

 

 

 

 

 

        Lombardi non fu mai molto amato dagli ambienti confindustriali (che si scateneranno contro di lui con una campagna di stampa diffamatoria all'epoca del primo centro-sinistra e della nazionalizzazione dell'energia elettrica). Eppure, durante la sua esperienza di Prefetto, non guardò in faccia a nessuno, sapendo bene quale fosse il suo compito

 

 

 

 

 

       Il problema del rapporto tra proprietà pubblica e proprietà privata è posto qui, a mio avviso, in modo limpido, per nulla dogmatico o massimalista, prefigurando quello che oggi chiameremmo il 'reddito di cittadinanza

 

 

 

 

 

       Lombardi lasciò l'incarico di Prefetto dopo essersi assicurato che il suo posto a Milano venisse preso da un altro partigiano, Ettore Troilo, l'ex comandante della Brigata Maiella, in modo da continuare a garantire, nell'amministrazione periferica dello Stato, una continuità con l'esperienza della Resistenza