|
|
A quanto sembra ci si abitua a tutto, rapidamente. Anche ad un astensionismo record, che cresce ormai a due cifre ad ogni tornata elettorale. La prima volta accadde in occasione delle elezioni regionali siciliane: fu quella la prima occasione in cui, in un'elezione importante, si scivolò sotto la soglia del cinquanta per cento. Poi fu la volta dell'Emila Romagna: allora si toccò la soglia record del trentasette per cento dei votanti, o meglio del 63 (sessantatre!) % di astensioni. Questa volta era nell'aria qualcosa di simile e infatti, puntualmente, la percentuale degli elettori si è fermata poco sopra il cinquanta per cento, il dieci per cento in meno rispetto alle precedenti regionali. Solo che, si sente dire, siccome era prevista, ormai non fa notizia e possiamo discutere d'altro.
Proviamo invece a ragionare seriamente. Si sente dire che l'astensionismo sarebbe fisiologico nelle democrazie mature, salvo poi non riuscire a motivare perché vi sarebbe proprio ora un'accelerazione perfino vertiginosa del fenomeno. A tutt'oggi nessuno ha osato argomentare che abbiamo improvvisamente raggiunto la maturità democratica: questo, almeno per il momento, ci è stato finora risparmiato. Circolano altre motivazioni, indubbiamente più serie e più vicine al vero, quali il peso degli scandali a ripetizione e le divisioni interne alle varie formazioni o schieramenti politici. Ognuna di queste argomentazioni contiene una parte di verità, ma non esaurisce il problema.
Al fondo c'è qualcosa di più. Bisogna ragionare sul fatto che l'astensionismo dilaga non solo in Sicilia e in Calabria, realtà tradizionalmente con bassa affluenza elettorale, ma anche in Emilia, in Toscana, in Liguria e nelle Marche, in regioni dove non tantissimo tempo fa si recava alle urne oltre il novanta per cento degli elettori. Si astengono cittadini che prima erano orgogliosi di andare a votare: per loro il voto era un diritto e un dovere fondamentale. Se oggi questo elettorato non partecipa al voto significa che questo elettorato non si trova più rappresentato nel sistema politico. Si tratta di una crisi grave nella nostra democrazia. Rappresentanza politica e mondi sociali non riescono più a incontrarsi, sono disallineati, si muovono su logiche non convergenti. Detto altrimenti, un pezzo grande di società non trova più propri rappresentanti nel sistema politico.
Tanti fattori, probabilmente, confluiscono qui: la caduta delle narrazioni e lo svuotamento delle identificazioni simboliche, l'assenza di chiare e profonde distinzioni tra i protagonisti politici, la cacofonia dei linguaggi pubblici sempre più urlati ma anche sempre più uguali tra di loro, l'intasamento o lo smantellamento dei canali di scorrimento tra i partiti e i corpi intermedi, la confusione e la casualità dei programmi e delle scelte ecc. Tutti fatti noti, sviluppatisi e aggravatisi in un lungo periodo di tempo, i quali, però, assommandosi e intrecciandosi gli uni agli altri, a questo punto provocano l'implosione del nostro sistema politico. Esso oggi è gravemente azzoppato: difficile pensare che in queste condizioni possa avere l'autorevolezza per impostare e affrontare le impegnative scelte che sarebbero necessarie per rimettere in movimento il paese.
Ultima considerazione, last but not least: questa crisi non tocca solo una parte del sistema politico. Essa colpisce a destra e a sinistra. Detto altrimenti un pezzo grande della destra e un pezzo grande della sinistra non si trovano più rappresentati nel sistema politico. Il problema non si preannuncia di facile soluzione: proviamo almeno ad impostarlo con chiarezza. © RIPRODUZIONE RISERVATA 03 GIUGNO 2015 |