Luca Zevi  
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FORZA DAVIDE! CONTRO I GOLIA DELLA CATASTROFE


Commento al libro di Rosario Pavia



Luca Zevi


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Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale di Rosario Pavia (Donzelli, 2019) è un libro teso a sottolineare la necessità di superare la separatezza dei molti saperi che caratterizzano la cultura contemporanea a favore di un approccio olistico capace di integrarli in un progetto organico quanto mai urgente. Una necessità che non diviene mai scorciatoia verso una sintesi affrettata, nella consapevolezza che, purtroppo, il ritardo accumulato anche sul piano dell’elaborazione disciplinare è grande. Dunque, il racconto avanza per temi che evidenziano un percorso di ricerca in numerose direzioni anche molto diverse ma sempre animate dall’urgenza di avvicinarsi e integrarsi. Un percorso che, prima ancora di mettere a confronto le diverse prospettive presenti all’interno del variegato mondo degli architetti e degli urbanisti, sente il bisogno di confrontarsi con altre discipline, delle quali il pensiero sull’habitat non può più fare a meno.

Questo spirito è ben colto dalla prefazione del geologo (certo speciale) Mario Tozzi che in poche pagine racconta un processo che prende le mosse dallo squilibrio geografico determinato dalla discesa a valle, e in particolare lungo le fasce costiere, di gran parte della popolazione che, prima della fine della seconda guerra mondiale, animava la geografia policentrica del nostro paese. Tale squilibrio ha prodotto un'abnorme occupazione di suolo agricolo nelle zone di destinazione, da un lato, e abbandono e degrado delle aree di partenza, dall'altro, a causa della cessazione delle opere di manutenzione dei territori agricoli, dei borghi e dei paesi. La moltiplicazione dei disastri ambientali degli ultimi decenni ha certamente a che fare con questi sommovimenti di carattere geografico. Se poi allarghiamo lo sguardo al di fuori dei confini del nostro paese – cosa che l’autore considera ormai indispensabile – ci accorgiamo che fenomeni non necessariamente analoghi, ma di portata non inferiore, hanno interessato l’intero pianeta, inducendo un cambiamento climatico già presente, ma soprattutto minacciosamente tendenziale.

Il racconto, nel tratteggiare orizzonti potenzialmente apocalittici, procede con tono inevitabilmente angosciato, ma anche a suo modo lieve e, soprattutto, propositivo. Ne emerge una sorta di pre-manuale operativo, mirato a un’inversione di marcia del processo imboccato con il trionfo dell’Antropocene, era nella quale siamo tutt’ora immersi e che rischia di condurre all’autodistruzione del genere umano e a un pianeta intasato dalle sue macerie. Per questo è necessaria una rilettura radicale dei fenomeni in atto. Non a caso, dopo una breve premessa, il testo esordisce con il ricordare che “la fondazione della città costituiva un rito sacro” (pag. 7), perché sacro era il suolo e l’opera dell’uomo – sacra anch’essa in quanto scaturita dal dono speciale del libero arbitrio – doveva svilupparsi nel pieno rispetto dell’equilibrio che andava pur doverosamente ad alterare. Un rispetto che da alcuni secoli sembra dimenticato a causa dell’affermarsi di un approccio di tipo meccanicistico-funzionalista, che liquida come velleitari i tentativi di opporvi un argine che hanno radici nel movimento delle Garden Cities in Gran Bretagna, nel principio lecoubusieriano della salvaguardia del suolo attraverso il sollevamento del costruito su pilotis, nell’architettura organica americana. Oggi, di fronte alla devastazione, si moltiplicano fortunatamente i fenomeni di resistenza e “il paesaggio sembra ritornare prepotentemente al centro della pianificazione territoriale e del progetto urbano” (pag. 19). Un ripensamento che viene enfatizzato dall’autore attraverso una documentazione davvero accurata, dalla quale emerge che bisogna “risanare e valorizzare il vuoto e l’inedificato per penetrare nella città costruita rinnovandola” (pag. 31) non solo con misure limitative, ma anche attraverso importanti progetti ecosistemici, come per esempio si è fatto con la deviazione del fiume Turia a Valencia o le molteplici opere immaginate per difendere la penisola di Manhattan dagli effetti di un probabile innalzamento delle acque.

La produzione di beni materiali e immateriali non può più essere considerata valore assoluto in sé stessa, secondo l’ottica delle diverse ideologie dell'industrialismo, ma deve essere posta al vaglio di una prospettiva ecologica circolare: i prodotti del design – dal cucchiaio alla città – hanno valore in quanto da scarti ineliminabili si trasformano in fertilizzanti, superando il drammatico problema dello smaltimento dei rifiuti attraverso l’introduzione di un metabolismo urbano ispirato a un “modello policentrico per la raccolta differenziata” (pag. 54). Ne emerge “compost city… la città che mette al centro del suo progetto il suolo che va rigenerato di continuo, sia esso terreno naturale, sia opera costruita” (pag. 59). Le numerose e affascinanti sperimentazioni in atto – ripercorse con sincera partecipazione – inducono alla speranza. Fra queste “la rigenerazione del bacino della Ruhr attraversato da fiume Emscher, …un’area siderurgica in crisi e in via di dismissione, …divenuta un immenso parco di 320 chilometri quadrati, circa un terzo della regione” (pag. 79) rappresenta ad oggi un esempio insuperato. E sono molte anche le città del mondo che si sono dotate di pratiche efficaci nell’immediato, ma anche di progetti strategici di lungo periodo, non solo nel mondo sviluppato: l’esemplare rigenerazione urbana di Curitiba in Brasile da un lato e “Masdar City, vicino ad Abu Dhabi… una città nuova, ipertecnologica ed esclusiva, in ogni parte definita dal piano di Norman Foster” (pag. 126), dall’altro, rappresentano i due estremi (potenzialmente complementari?) di una possibile modalità di procedere “compatibile” nei paesi in via di sviluppo.

L’assunzione di responsabilità non può evidentemente trascurare il fenomeno delle migrazioni, destinato a divenire vieppiù imponente a causa del cambiamento climatico indotto dal modo di produzione dominante che va desertificando intere aree del pianeta: “come si farebbe ad aiutare qualcuno a casa propria, se quella casa non esiste praticamente più?” (Tozzi, pag. XIV). “Il tema non è l’architettura dell’accoglienza, ma l’architettura come accoglienza” (pag. 136), come capacità di trasformare un’emergenza in risorsa per un mondo sviluppato che va invecchiando male e a grande velocità.

Il capitolo conclusivo, dedicato alle “reti che avvolgono la terra”, evidenzia drammaticamente lo iato fra il ritmo travolgente della devastazione sociale e ambientale prodotta dal capitalismo finanziario – magistralmente descritta nell’enciclica Laudato si' di Papa Francesco ricordata nel testo – e la costellazione virtuosa delle reazioni puntuali. Gli animatori di queste ultime, se non si riuscirà a evitare la catastrofe, potranno comunque condividere la consolazione dell’indiano gigantesco, coprotagonista del film Qualcuno volò sul nido del cuculo (regia: Miloš Forman, 1975), a fronte del fallimento del suo tentativo (impossibile) di sradicare a mani nude un lavabo a parete: “io almeno c’ho provato!”. Rosario Pavia, pur cantore dell’intervento locale, non si rassegna alla catastrofe incombente e richiama i vari ‘Davide’ in giro per il mondo alla necessità di non limitarsi alla resistenza, unendo gli sforzi verso la messa a punto di una strategia globale capace di invertire il percorso catastrofico in atto pilotato dagli spregiudicati Golia dei nostri tempi.

Luca Zevi

 

 

 

N.d.C. - Luca Zevi, architetto e urbanista, ha insegnato nelle università di Roma e Reggio Calabria. Come progettista si è occupato della rigenerazione di centri storici e del restauro di edifici antichi. A Roma ha progettato il Memoriale ai caduti del bombardamento di San Lorenzo del 1943 e il Museo Nazionale della Shoah. Per il Comune di Roma ha inoltre messo a punto una metodologia di recupero urbano mirata a una «città a misura dei bambini» e per il Ministero degli Esteri ha contribuito a progetti di sviluppo in Albania e El Salvador. È impegnato nella promozione di «viali alberati del terzo millennio» pensati come centrali lineari di produzione di energia da fonti rinnovabili. Nel 2012 è stato direttore del Padiglione Italia alla XIII Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia.

Tra i suoi libri: (coord.) Il manuale del restauro architettonico (Mancosu, 2001, 2002, 2007); (dir. scient.), Il nuovissimo manuale dell'architetto (Mancosu / Architectural Book and Rewiew, 2003, 2007, 2009, 2010, 2011, 2013, 2019); (a cura di), Cinquanta incontri fra antico e nuovo. 1993-2003 (Mancosu, 2003); Esperienza ebraica e restauro del territorio (Mancosu, 2003); Conservazione dell'avvenire. Il progetto oltre gli abusi di identità e memoria (Quodlibet, 2011); con S. Anastasia, F. Corleone (a cura di), Il corpo e lo spazio della pena. Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie (Ediesse, 2011); a cura di, Le quattro stagioni. Architetture del made in Italy. Da Adriano Olivetti alla green economy (Electa, 2012).

Sul libro di Rosario Pavia oggetto di questo commento, v. anche: Paolo Pileri, Suolo: scegliamo di cambiare rotta (28 giugno 2029).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

28 FEBBRAIO 2020

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

powered by:
DASTU (Facebook) - Dipart. di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

Le conferenze

2017: Salvatore Settis
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020:

G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)

M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)

A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)

P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)

W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)

L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)

 

 

 

 

 

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