Il parlamento ungherese ha approvato a maggioranza qualificata un pacchetto legislativo che conferisce pieni poteri all’esecutivo di Viktor Orbán per l’intera durata dello stato d’emergenza in vigore dall’11 marzo.
Perché conta: Il mandato è incondizionato e a tempo indeterminato. Spetterà al governo stesso calendarizzare la fine dell’emergenza. Sebbene il provvedimento non prevalichi la Costituzione e nonostante la Corte costituzionale mantenga formalmente un ruolo di controllo sull’esecutivo, la verticale di potere creata dal primo ministro negli ultimi dieci anni gli garantisce ormai un potere quasi assoluto.
Il primo ministro ha approfittato dell’emergenza per mandare un triplice segnale. Alla propria base, che al pari di Orbán stesso necessita di un “nemico” e di grandi sfide nazionali per stringersi intorno al leader. Alle opposizioni e ai loro organi di informazione, che avevano provato a rialzare il capo dopo le elezioni amministrative di ottobre ma ora vedono ulteriormente ridotto il proprio margine d’azione a due anni dal voto politico del 2022. E al suo partito, nel quale sembravano affiorare segnali di stanchezza e addirittura mormorii contro il padre fondatore.
Solamente il 13 marzo, i deputati di Fidesz si erano ribellati al rifiuto di Orbán di chiudere le scuole, ottenendo dal premier dopo una giornata convulsa la ritrattazione dell’orientamento “negazionista”. Orbán non ha tuttavia dimenticato gli sgarbi subíti. Gli stessi deputati che avevano obiettato alla linea del leader hanno votato per ribadire l’irrilevanza politica di un parlamento ridotto a una macchina contavoti.
Resta da vedere l’uso che il primo ministro farà dei pieni poteri nel momento di emergenza sanitaria ed economica. Per ora spicca, fra i provvedimenti già attuati, l’invio dell’esercito a presidiare (e di fatto controllare) oltre un centinaio di aziende ritenute di interesse strategico. La legge sul coronavirus non instaurerà dunque una dittatura de jure, come sostiene l’opposizione, ma pone le premesse della creazione di un’economia di comando e istituzionalizza l’uso della giurisprudenza d’eccezione, normalizzando lo stato d’emergenza.