Gianni Ottolini  
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LA BUONA RICERCA SI FA ANCHE IN CUCINA


Commento al libro di Imma Forino



Gianni Ottolini


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Nello spiegare la sua predilezione per le scale circolari, con gradini innestati a sbalzo nel corpo cilindrico dell’ascensore come nella sua casa in piazza Sant’Ambrogio a Milano, l’architetto Luigi Caccia Dominioni criticava la rigidità delle convenzionali rampe ortogonali, che costringono il corpo delle persone a brusche rotazioni angolari ad ogni pianerottolo intermedio, e considerava la fluidità dei percorsi una prerogativa della sua “urbanistica degli interni” (come chiamava le sue piante di abitazioni borghesi). Questa attenzione ai gesti di chi abita e alle loro ragioni e sequenzialità è stata al centro del progetto di tutta l’architettura moderna, che ha avuto la residenza popolare e la cellula abitativa come suo “tema eroico” (Gregotti), rimanendo a lungo nella manualistica, dal Neuffert al Manuale e all’Almanacco dell’Architetto. Essa comprendeva anche il famoso “triangolo di lavoro” (il percorso razionalizzato della casalinga tra i vertici di frigorifero, fornello e lavandino) che Imma Forino ricorda nel bel libro La cucina. Storia culturale di un luogo domestico, da poco pubblicato da Einaudi. Il riferimento urbanistico è presente anche nel termine “luogo” del suo sottotitolo, che rimanda a un altro importante testo sulla cultura della casa d’abitazione, L’architettura dei luoghi domestici, del veneziano Adriano Cornoldi (Jaca Book, 1994), recentemente celebrato al convegno nazionale degli studiosi di Interni sul tema “Costruire l’abitare contemporaneo” (atti a cura di G. Cafiero, N. Flora, P. Giardiello, Il poligrafo, 2020). Non è certo un caso che, col declinare ideologico sia della Architettura Postmoderna, coi suoi presupposti rivoluzionari e storicisti nel Neoclassicismo di fine ‘700, sia della Decostruzione e del Neo-Organicismo di fine secolo, col predominio dato allo stupore figurativo, stia riprendendo fiato una cultura degli interni, già strangolata per decenni nelle Scuole di Architettura di tutto il mondo, per riaffiancarsi con pari dignità alla Composizione Architettonica e all’Urbanistica, in un intreccio tematico e scalare proprio dell’intera architettura, che per costituzione va dall’insieme al dettaglio fruibile dal gesto umano a distanza ravvicinata.

Tornando al libro di Imma Forino, sorprende innanzi tutto la vastità della ricerca (con circa 1800 note al testo e un migliaio di fonti bibliografiche) sottesa alla ricostruzione storica della complessa vicenda spaziale, sociale e culturale della cucina, cioè di un luogo nevralgico dell’abitare domestico, che viene connesso alla integralità delle tipologie architettoniche nei diversi contesti e per i diversi ceti sociali coinvolti, quasi a costituire una vera e propria storia dell’abitazione nel mondo occidentale (che farebbe auspicare una quantità ancora più vasta di apparati iconografici). Si intrecciano in questa storia molteplici livelli costitutivi e piani di lettura, dal valore fisiologico e dal significato simbolico dei cibi alle modalità della loro preparazione, coi relativi dispositivi tecnici (dai paioli pompeiani in bronzo alle attuali piastre ad induzione o informatizzate); dalla semplicità del pasto di poveri e contadini alle complesse ritualità istituzionali del pranzo di nobili, borghesia e ceti medi (dal “veder mangiare” e servire il signore nei palazzi dell’Ancien Règime al trovarsi oggi a casa fra amici che portano ciascuno qualcosa per la cena o allo scaldarsi col microonde in ufficio o a scuola un cibo predisposto a casa o comprato), con i sottesi rapporti fra padroni e personale dipendente di vario tipo e livello, e la polarità nel tempo della figura fiduciaria del cuoco maschio e della cuoca o “casalinga riflessiva” educata dal secondo ‘800 da libri di gestione domestica, riviste e ricettari, a stare a casa, lavare, stirare, cucinare e curare figli e marito (che lavora altrove). Oltre agli aspetti tipologico-spaziali, tecnologici e materici di ambienti, arredi, stoviglie e elettrodomestici, è infatti propria di Forino un’attenzione particolare ai rapporti di genere, che hanno avuto modificazioni profonde nell’ultimo secolo, coinvolgendo i temi delle politiche demografiche e dell’autonomia economica della donna con lavoro extradomestico, della natalità e dell’educazione dei figli, fino a quelli dell’aborto, delle nuove forme di convivenza e del “diritto al figlio”.

Come ogni storia del mondo occidentale, il testo è scandito in periodi nevralgici, dapprima di lunga durata e poi sempre più accelerati.

Gli “ambienti tradizionali” vanno dal mondo antico del Mediterraneo, col focolare “cuore dell’abitazione”, al Medioevo di monasteri, castelli e cascine contadine, e quello delle “buone maniere” dell’età comunale e degli ambienti cortesi del XII secolo, fino ai palazzi di nobiltà e alta borghesia nelle età dell’Umanesimo e del Rinascimento (con la loro divisione in aree maschili, femminili e di servizio) che diventano modello per l’intera Europa. Si arriva al senso di intimità, pulizia e parsimonia degli interni olandesi del ’600 e alla distinzione fra “appartamenti” di parata, di società e famigliari nei palazzi privati dell’età barocca e del ‘700, in cui si afferma la cucina (burro, creme, sufflè) e il servizio “alla francese” su tavolo da pranzo allestito di volta in volta in una delle sale, con le portate già predisposte ed esibite tutte insieme a libera scelta dei commensali. Si parla di “ambiguità dell’appetito”, condizionato dal ceto sociale (alla mensa dei poveri arrivano le patate, che si affiancano alla solita zuppa con pane abbrustolito o alla polenta) e intanto gli spazi domestici urbani dei ceti più abbienti articolano e specializzano i locali della cucina per temperatura e ventilazione, camini, forni e altri dispositivi di cottura, tavoli di preparazione, dispense, acquai.

Nelle “trasformazioni borghesi” dell’Ottocento, mentre i contadini seguitano a dormire in cucina (unico locale riscaldato) ed hanno poco successo le iniziative filantropiche per superare la “questione delle abitazioni” nelle nuove città industriali, si affermano la divisione fra la sala del pranzo quotidiano e quella per le ricorrenze familiari e ospitali, e il servizio “alla russa”, col succedersi delle portate uguali per tutti. I domestici (che indossano una divisa e sono chiamati con campanelli) sono segregati nei seminterrati e cortili di servizio dei cottage inglesi, dove la “cucina economica” in ghisa, a legna e carbone, poi a gas, con anelli circolari rimovibili per pentole di formato diverso, si affianca ai nuovi prodotti tecnici della “era della meccanizzazione” (Giedion) per lavare, stirare, pulire, cucinare, refrigerare e conservare alimenti. Le città americane si espandono nelle sterminate periferie di casette unifamiliari, tenendo il lavoro terziario o industriale nelle aree centrali o sub-centrali, e si accentua l’idealizzazione “patriottica” della vita famigliare. I movimenti proto-femministi criticano la reclusione domestica imposta dal mercato del lavoro e dalla perdurante cultura patriarcale, anche se rivendicano per le donne la razionalizzazione funzionale del lavoro domestico in parallelo a quella che avviene nel lavoro maschile in fabbrica. Così anche il cucinare viene segmentato in unità sequenziali di movimento e azione (“trappole funzionali” col triangolo di lavoro), entro un principio di zonizzazione dell’intero alloggio (zone “giorno” e “notte”) che nell’architettura moderna fra le due guerre compare in parallelo a quello dei piani urbanistici (zone di residenza, lavoro, tempo libero e movimento).

Mentre si affermano le prime cucine aperte al pranzo e soggiorno (il work-space delle “case usoniane” di Wright), nei nuovi quartieri operai del Razionalismo europeo si fissa il “cucinotto” indipendente, ma collegato a pranzo e soggiorno, col prototipo funzionale della “cucina di Francoforte” realizzata in laboratori municipali per favorire l’occupazione operaia e “data con la casa”. Intanto in Italia il Fascismo esalta la donna procreatrice, mentre nega i movimenti femminili ed ostacola il suo lavoro extradomestico.

Negli anni che vanno dalla Ricostruzione postbellica ai primi ’70 le famiglie mangiano in cucina, tenendo “tinello” e soggiorno per le occasioni speciali, diminuisce il numero di figli e si diffondono i primi beni di consumo durevole (televisori, frigoriferi, lavatrici, fornelli e scaldabagni a gas), mentre resta scontata la divisione del lavoro domestico fra uomo e donna. Si afferma il modello della “cucina all’americana” a mobili componibili, piani di lavoro continui con elettrodomestici via via incorporati, pensili e laminati plastici di rivestimento, che diventa anche simbolo di status.

I decenni di fine secolo sono prudentemente titolati da Forino “indizi contemporanei”, segnati dal riflusso nel privato dopo gli “anni di piombo” (crisi industriali, aumento del lavoro femminile nei servizi, diminuzione della natalità, legalizzazione del divorzio), col superamento delle cucine piccole e l’affermarsi della cucina aperta (o nascosta in un armadio), che diventa luogo del pasto quotidiano coi figli piccoli e centro di socialità condivise, ma anche della domotica e del lavoro autonomo in internet (mentre l’uomo ritorna a cucinare, per gioco o esibizione).

I capitoli del libro sono conclusi con la domanda “un mondo che governiamo?” relativo agli ultimi anni, dove prevalgono le famiglie unipersonali e i “caleidoscopi familiari” con incertezze sul ruolo paterno, mentre l’abitazione non è più indice di stabilità a causa dei crescenti cambi di casa, città, nazione, legati al lavoro, e si mangia in piedi o in poltrona davanti alla televisione o semisdraiati a letto come negli antichi triclini, o ci si fa portare a casa cibi già pronti o si mangia fuori; ma la cucina resta ambiente aperto all’accoglienza di ospiti e amici, ritrovando il suo significato originario di luogo della convivialità.

Come già nel libro dedicato agli Uffici (sempre Einaudi editore) cioè ad un altro integrale luogo dell’abitare, anche in questo nuovo testo di Forino sulla storia “culturale” della cucina (ma tutte le storie sono culturali…) si manifesta l’importanza civile della ricerca scientifica e della critica dell’architettura e dei suoi spazi di stretta relazione col vissuto quotidiano di chi li abita.

Gianni Ottolini

 

 

 

 

N.d.C. - Gianni Ottolini, professore onorario di Architettura degli Interni e Allestimento, ha diretto il Dipartimento di Progettazione dell'Architettura del Politecnico di Milano.

Fra le sue pubblicazioni sui temi urbani: Ricerca e progettazione per il recupero di un quartiere storico milanese, in R. Pugliese et al., L'abitazione sociale (Unicopli, 2007); Conformazione e attrezzatura degli interni paesaggistici, in I. Vesco, Allestire il paesaggio (Grafill, 2008); Interior architecture and nature, in Interior Wor(l)ds(Allemandi, 2010); Progetto del museo e riqualificazione urbana (Libraccio, 2012); Stupidità dei grattacieli e bellezza futura della città, "Studi di Estetica", 46-2012; Interni urbani, in V. Saitto, Interni urbani (Maggioli, 2013).

Per Città Bene Comune ha scritto Arte e spazio pubblico (23 giugno 2016); Vittorio Ugo e il discorso dell’architettura (25 agosto 2017).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

10 APRILE 2020

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

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sintesi video/testo integrale

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locandina/presentazione

 

 

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- cultura paesaggistica:

 

 

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2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020:

C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)

G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle
donne.it, 2019)

F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)

R. Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto, Commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)

L. Ciacci, Pianificare e amare una città, fino alla gelosia, commento a: L. Mingardi, Sono geloso di questa città (Quodlibet, 2018)

L. Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)

G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)

M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)

A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)

P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)

W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)

L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)

 

 

 

 

 

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