Patrizia Gabellini  
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SUOLO E CLIMA: UN GRADO ZERO DA CUI RIPARTIRE


Commento al libro di Rosario Pavia



Patrizia Gabellini


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La lettura di quest’ultimo libro di Rosario Pavia – Tra suolo e clima. La terra come infrastruttura ambientale (Donzelli, 2019) – che considero per molti versi uno sviluppo del precedente Il passo della città. Temi per la metropoli futura (anch’esso pubblicato da Donzelli, nel 2015), è molto utile e gratificante: per il respiro e la rilevanza del discorso; per una scrittura piana che non indugia, non è trattenuta da preoccupazioni accademiche o difficoltà espressive; per la molteplicità dei percorsi investigativi. L’autore, infatti, fa riferimento alla storia disciplinare per capire come il rapporto tra suolo e insediamento urbano sia stato costitutivo; richiama le esperienze pilota come esempi per fare emergere temi rilevanti, ma soprattutto per catturare suggestioni utili al progetto della citta futura; rilegge le acquisizioni scientifiche per poter trattare argomenti esterni al campo disciplinare eppure divenuti assai influenti e interagenti. Un libro denso e nel contempo ‘sciolto’, che studenti e ricercatori dovrebbero tenere sottomano, che a me suggerisce tre tipi di considerazioni che accompagnerò con la selezione di alcuni passi liberamente accostati.

 

1. La prima considerazione riguarda il rapporto concettuale tra suolo e clima stabilito dall’autore, che ritengo non ovvio e invece capace di dare un senso ad azioni che potrebbero altrimenti sembrare una sommatoria senza un preciso nesso che leghi le une alle altre. La chiave per comprendere immediatamente la relazione che Rosario Pavia stabilisce tra suolo e clima mi sembra possa essere quella di invertire l’ordine tra il titolo e il sottotitolo del libro, ovvero: La terra come infrastruttura ambientale. Tra suolo e clima. Proponendo di partire dal sottotitolo intendo sottolineare che al centro del libro è il tema dell’infrastruttura ambientale, il quale si configura anche come ‘cifra’ caratteristica della ricerca e del contributo teorico di Pavia. Le radici di questo tema sono lontane e hanno a che fare con progetti e ricerche dell’autore sulle infrastrutture portuali; quelle più vicine si possono rintracciare nelle monografie che Rosario Pavia ha curato in qualità di direttore della rivista “Piano Progetto Città”. In questo libro il discorso si amplia e si articola ulteriormente per assumere una valenza generale intersecandosi con le questioni aperte dal cambiamento climatico.

È la concezione del suolo come infrastruttura ambientale, suolo con uno spessore dalla funzione determinante per il ciclo del carbonio, dell’aria e dell’acqua, che rende imprescindibile la sua relazione col cambiamento climatico e che porta l’autore a interessarsi di quest’ultimo senza perdere di vista, da un lato, i contributi che affondano nella storia disciplinare dell’urbanistica, dall’altro, la tensione progettuale che si applica al suolo. Questi aspetti, a mio avviso, attribuiscono pregnanza all’espressione scelta per il titolo: “Tra suolo e clima”.

Alcuni passi sono particolarmente efficaci nel restituire il punto di vista di Rosario Pavia e il suo modo di intendere la relazione, non così immediata, tra l’uno e l’altro.

Il suolo non è solo lo spazio esterno agli edifici, lo spazio tra, da qualificare attraverso un disegno tecnico appropriato e attento ai rapporti con il contesto. Il suolo va oggi inteso nel suo spessore di supporto, di infrastruttura che sostiene l’insediamento urbano, l’affermarsi dei processi produttivi, il dispiegamento delle reti materiali e immateriali. (p.24)

Gli spazi ipogei si connettono con la città di superficie in un intreccio organico e funzionale. Questa relazione tra il sopra e il sotto è ricorrente nella città antica e preindustriale… e ci ricorda che il suolo della città va analizzato in tutto il suo spessore attraverso sezioni e spaccati profondi. (p.11)

La struttura e la qualità del suolo dipendono dal clima, dalla temperatura, dalle condizioni geologiche e idrografiche locali, dall’esposizione al sole e ai venti. (p.63).

In particolare: La vita del pianeta dipende dagli strati superiori, …dall’humus [che sta sotto allo strato superficiale costituito dalla “lettiera”, nda], nel cui spessore di appena 20-30 centimetri sono prodotti i nutrienti che rendono fertili i terreni, garantendo quindi il sostentamento della vita vegetale e animale. (p. 62).

Si tratta di una ridefinizione del rapporto tra suolo e clima che restituisce il particolare punto di vista di chi presidia le modalità del progetto di suolo.

 

2. La seconda considerazione riguarda il problema indubbiamente centrale - il consumo di suolo - e il che fare. Suolo e clima sono oggi entrati in risonanza, la loro relazione si è fatta perversa. Il maltrattamento del suolo incide negativamente sul clima e il cambiamento del clima si vendica sul suolo. Il suolo è malato per il suo consumo, un consumo inteso in senso lato. Benché l’autore consideri con attenzione il processo di urbanizzazione dei suoli, quindi la dimensione più nota, discussa e misurata del consumo di suolo, la sua interpretazione del consumo di suolo assume un’accezione più ampia e investe i modi di usarlo in tutto il suo spessore, in profondità. A fronte dell’ampia compromissione Rosario Pavia coltiva la fondamentale speranza che si possa costruire un “nuovo dialogo” lavorando contemporaneamente su entrambi i versanti, quello del progetto di suolo e quello di adattamento/mitigazione ai/dei cambiamenti climatici, con un approccio che evita la deriva ambientalista degli urbanisti riportando l’attenzione sull’innovazione della progettazione urbanistica.

Assumendo l’orientamento dell’Ecological Urbanism, Pavia aggredisce in maniera specifica un argomento relegato alla sfera settoriale e particolarmente maligno, quello dello smaltimento dei rifiuti urbani, e lo propone in una chiave progettuale, facendo dei rifiuti la risorsa per rigenerare l’humus della terra. Il capitolo “Compost City” a me sembra particolarmente originale e importante, davvero un reverse della concezione dominante, un’appassionata argomentazione del rifiuto organico come risorsa (sostanza) strategica in quanto capace di ristabilire un’economia circolare attraverso la diffusione dell’agricoltura urbana nelle porosità della città dispersa. Compost, agricoltura e orticoltura, e nuova forma urbana, secondo l’autore devono tenersi insieme.

Ne deriva un altro aspetto caratteristico del libro: la speranza progettuale che si alimenta di una rassegna intenzionata delle proposte che in varie parti del mondo (soprattutto nelle grandi concentrazioni urbane) vengono portate avanti sul versante del suolo e su quello del clima. Ma, accanto alla speranza, permane la preoccupazione che le esperienze in corso riescano effettivamente a tenere conto delle tante interdipendenze e che ci sia il tempo necessario per l’espletarsi dei loro effetti, aspetti cruciali a fronte dell’avanzato stato del processo degenerativo. Poiché non ci sono le condizioni per mantenere l’aumento della temperatura al disotto dei 2 gradi entro il 2050, occorrono misure di adattamento e di resilienza, anche sociale, davvero imponenti.

Lontano da posizioni di decrescita felice, Rosario Pavia fa i conti non solo con le nuove pratiche sociali, ma anche con la tecnologia, considerata un’alleata necessaria a determinate condizioni. “La geoingegneria potrebbe orientarsi più realisticamente su grandi opere che possano contribuire a sostenere l’impatto con il cambiamento climatico: dalla costruzione di dighe e di infrastrutture per fronteggiare l’innalzamento del livello delle acque e il rischio inondazioni, alla realizzazione di opere di drenaggio e per la raccolta delle acque, ai dispositivi per mitigare le isole di calore, alle opere di bonifica dei siti inquinati, alla produzione di silicati e cementi in grado di assorbire il carbonio e respingere le radiazioni solari.” (p.104). In questa prospettiva anche le grandi infrastrutture per il trasporto e la connettività potrebbero trasformarsi in opere di servizio per l’ambiente.

 

3. La terza considerazione è, in realtà, solo la sottolineatura di una postura intellettuale e riguarda il capitolo “Antropocene”, un capitolo di snodo dove si introduce la responsabilità dell’uomo e si prende in considerazione la infausta possibilità che non si riesca a far fronte ai rischi, anche per la natura globale -non statuale- delle misure necessarie. Qui la speranza progettuale appare chiaramente disincantata, ancor più fondata su un’auspicata ripartenza. Vale la pena leggere altri passi, chiari e forti in tal senso.

Forse l’Antropocene, in cui l’umanità è diventata un agente geologico, può far emergere una metamorfosi … verso una “social catena” in grado di ricollocarsi nell’ordine delle cose imposto dall’intreccio della storia naturale con quella umana. Come agente geologico che contribuisce alla trasformazione del clima, l’uomo non è più al centro, ma uno dei fattori del cambiamento. È questa nuova consapevolezza che può orientare il suo rapporto con la natura, non più di dominio, ma di apprendimento delle logiche che regolano la vita del pianeta. (pp. 105-6).

Il clima, una volta entità separata, oggi condiziona i territori, imprimendo un processo di trasformazione della vita civile e dei sistemi sociali che va oltre la politica locale. Il cambiamento climatico ridisegna la geografia del mondo … Cambiamento climatico e processi migratori sono strettamente intrecciati. (pp 137 e 136).

In conclusione: Tutta la superficie terrestre va assunta come una grande infrastruttura ambientale, in cui natura e intervento artificiale collaborano e si integrano per mantenere in equilibrio le condizioni ambientali della casa degli uomini. …Ora, e lo sarà ancora di più nel futuro, il territorio è ovunque artificiale, mentre quello naturale appare sempre più come riserva. Se le città, le infrastrutture hanno coperto gran parte della superfici terrestre, dobbiamo trasformare questa copertura in una sorta di nuova crosta capace di continuare a svolgere le funzioni ecologiche del suolo naturale. Occorreranno nuove capacità di pianificazione e progettazione, nuove tecnologie, nuovi saperi, nuovi materiali da costruzione. Molto probabilmente abbiamo bisogno di un grado zero da cui ripatire. (p.161).

Patrizia Gabellini

 

 

 

N.d.C. - Professore ordinario di Urbanistica al Politecnico di Milano, Patrizia Gabellini ha diretto il Dipartimento di Architettura e Pianificazione e "Urbanistica", rivista dell'Istituto Nazionale di Urbanistica. È stata assessore all'Urbanistica di Bologna e ha fondato l'e-magazine "Planum. The Journal of Urbanism" che attualmente dirige.

Tra i suoi libri: Bologna e Milano. Temi e attori dell'urbanistica (Franco Angeli, 1988); con P. Di Biagi (a cura di), Urbanisti italiani. Piccinato Marconi Samonà Quaroni De Carlo Astengo Campos Venuti (Laterza, 1992); Il disegno urbanistico (Nuova Italia Scientifica, 1996); Tecniche urbanistiche (Carocci, 2001); Fare urbanistica. Esperienze, comunicazione, memoria (Carocci, 2010); con A. Di Giovanni, C. Gfeller, M. Mareggi, Immagini del cambiamento in Emilia-Romagna (Compositori, 2012); Le mutazioni dell'urbanistica. Principi, tecniche, competenze (Carocci, 2018).

Per Città Bene Comune ha scritto: Un razionalismo intriso di umanesimo (22 settembre 2016); Un nuovo lessico per un nuovo ordine urbano (26 ottobre 2018).

Sul libro oggetto di questo commento, v. anche: Paolo Pileri, Suolo: scegliamo di cambiare rotta (28 giugno 2019); Luca Zevi, Forza Davide! Contro i golia della catastrofe (28 febbraio 2020).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri

R.R.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

24 APRILE 2020

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale

ideato e diretto da
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Le conferenze

2017: Salvatore Settis
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2018: Cesare de Seta
locandina/presentazione
sintesi video/testo integrale

2019: G. Pasqui | C. Sini
locandina/presentazione

 

 

Gli incontri

- cultura urbanistica:
 
- cultura paesaggistica:

 

 

Gli autoritratti

2017: Edoardo Salzano
2018: Silvano Tintori

 

 

Le letture

2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
2017: online/pubblicazione
2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020:

M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)

G. Ottolini, La buona ricerca si fa anche in cucina, commento a: I. Forino, La cucina (Einaudi, 2019)

C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)

G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle
donne.it, 2019)

F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)

R. Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto, Commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)

L. Ciacci, Pianificare e amare una città, fino alla gelosia, commento a: L. Mingardi, Sono geloso di questa città (Quodlibet, 2018)

L. Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)

G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)

M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)

A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)

P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)

W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)

S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)

L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)

 

 

 

 

 

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