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Se Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio, autori de Il fenomeno urbano e la complessità. Concezioni sociologiche, antropologiche ed economiche di un sistema complesso territoriale (Bollati Boringhieri, 2019), avessero voluto comunicare in una forma immediata e sintetica il concetto della complessità, non avrebbero potuto utilizzare un esempio più efficace del racconto di quello che è successo al nostro pianeta nei primi mesi del 2020. Il volume è stato pubblicato prima che tutto ciò che sta per cambiare il mondo avvenisse, ma ritengo che gli autori, potendo, certamente non avrebbero rinunciato, per rendere immediatamente intuibile il rapporto fra fenomeno urbano e complessità, ad avvalersi di un riferimento tanto efficace quanto una epidemia virale esplosa in un mercato cinese ed in pochi giorni estesa a tutto il mondo. La pandemia di Coronavirus (Covid-19) che si è sviluppata violentemente in tutti i continenti, la prima grande epidemia del mondo globalizzato, della rivoluzione digitale, può essere presentata, infatti, come un perfetto esempio di fenomeno complesso interagente con l’ambiente urbano: il disastro locale creato nel Sud della Cina dalla recente moda alimentare di mangiare specialità esotiche (yewei) vendute nei wet markets (e, si badi bene, non per fame ma per ostentazione di ricchezza), ha trasferito all’uomo, mediante il ben noto fenomeno di spillover (ovvero salto di specie, proprio della zoonosi), un virus tipico dei pipistrelli, trasportato dal sangue dell’animale selvatico macellato o forse di un animale ospite intermedio, quale il pangolino. Gli effetti devastanti di una epidemia generata in un’area relativamente circoscritta quale il Sud della Cina, si sono diffusi ad enorme velocità a tutto il continente ed al resto del mondo per il concorso di una serie di fattori riconducibili alle degenerazioni di una urbanizzazione incontrollata ed irrispettosa dell’ambiente naturale. Eppure la scienza aveva invano segnalato ripetutamente tale rischio: una possibile pandemia era stata precocemente prevista e persino preannunciata presso la pubblicistica scientifica ma anche in quella divulgativa, tanto che nel 2012 il giornalista e reporter David Quammen nel volume per il “National Geographic” Spillover. L’evoluzione delle pandemie aveva precisamente descritto il diffondersi su scala mondiale di un virus in termini sorprendentemente riconducibili all’attuale drammatica situazione (1).
Questi “salti di specie” non sono accidentali, ma sono attribuibili alla conseguenza delle attività umane e della esplosione del fenomeno urbano. Sono infatti i meccanismi e le azioni proprie di un sistema territoriale e sociale sempre più complesso ad innescare, fra gli altri effetti, fattori di accelerazione e diffusione delle malattie virali. I danni prodotti all’ecosistema da devastazioni ambientali e deforestazioni sospingono i virus dai loro ecosistemi selvatici naturali alla ricerca di ospiti alternativi quale l’uomo. Questi disturbi ecologici si combinano con gli effetti causati da sovraffollamento, esplosione di trasporti sempre più veloci, globalizzazione degli scambi commerciali, inquinamento atmosferico, ecc. Tutti questi elementi sembrano aumentare le occasioni di contagio dell’uomo con i patogeni degli animali selvatici, moltiplicare gli scambi virali da uomo a uomo e alimentare l’esplosione delle epidemie, diffondendo ad enorme velocità quelle che in altri tempi potevano restare delle epidemie locali, fino a farle diventare, come nel caso presente, una catastrofe globale, in altre parole una pandemia. Le grandi epidemie del passato (come quella di peste originata nei ratti e passata all’uomo sempre per un processo di zoonosi), già si diffondevano largamente, ma ai ritmi lenti propri di una società ancora incardinata su una mobilità pedonale o animale o navale. In epoca di rivoluzione industriale altre epidemie come colera, spagnola, asiatica, ecc., si sono diffuse con maggiore velocità, trasportate da nuovi mezzi di trasporto sempre più efficienti (navigazione a vapore, ferrovie, automobili, aerei) ma certo non con la rapidità dell’attuale pandemia, che è la prima associata ad una società urbana globale. Quantità e qualità di scambi a scala mondiale, come quelli di oggi, sono senza precedenti ed il livello di complessità del fenomeno urbano ha raggiunto un livello che i matematici potrebbero definire “catastrofico”. Non a caso le punte di maggiore contagiosità e di più acuta crisi si stanno manifestando nelle grandi aree urbanizzate (Sud della Cina, Corea del Sud, Nord Italia, le grandi capitali europee, New York ecc.). Dunque mai come in questo momento l’”effetto farfalla” (2) (ovvero il noto esempio usato da Lorenz già dai primi anni ‘60 per allertare sui rischi che anche da un piccolo cambiamento nelle condizioni iniziali dei sistemi dinamici non lineari si possano determinare effetti di enorme portata, anche a grandi distanze spaziali e temporali) ha trovato nell’inizio del 2020 una drammatica occasione di evidenza. La pandemia del Coronavirus fornisce un nuovo lampante caso di “effetto farfalla” e stimola una attualizzazione delle riflessioni su un volume, come quello di Bertuglia e Vaio, che percorre in un vasto ed approfondito quadro, anche di tipo storico, l’evoluzione delle metodologie delle scienze che hanno studiato il fenomeno urbano nell’ottica della complessità, l’unica in grado di affrontare l’intreccio di processi che interagiscono sui sistemi territoriali e di gettare le basi per affrontare in profondità la inarrestabile “avanzata dell’improbabile” (3) propria di questa epoca ed a maggior ragione attuale nel prossimo e imprevedibile periodo post-pandemia.
Paradossalmente, il prepotente e sorprendente evento globale che travolge il pianeta in questi ultimi mesi ripropone e diffonde continuamente nel lessico comune il termine “complessità”: l’appello al “governo della complessità”, l’ammissione della “complessità dei problemi” sono all’ordine del giorno anche nel linguaggio dei social media. Alla larga acquisizione del termine, divenuto in questi mesi quasi un mantra cui si fa ricorso per coprire l’incapacità di fornire spiegazioni e previsioni ad un fenomeno improvviso, travolgente, globale, non si accompagna però alcuna reale acquisizione di quel concetto di complessità cui Bertuglia e Vaio danno invece con il loro testo profondità e significato. Manca in genere la consapevolezza che tale termine si riferisca ad uno specifico approccio teorico, ovvero, come dichiarato dagli autori nelle prime pagine del volume, ad un’ottica che si propone “l’obiettivo di comprendere, modellizzare, prevedere i fenomeni sistemici incomprensibili con il tradizionale approccio riduzionista della fisica classica”. Dunque ben venga un approfondito excursus che ricostruisce l’evoluzione di visioni e di apporti disciplinari attraverso cui si è formata la molteplicità di strumenti teorici e metodologici ricompresi nel paradigma della complessità. E che multidisciplinarità ed integrazione fra le concezioni urbanistiche, sociologiche, filosofiche, antropologiche, economiche siano i principi base con cui interpretarne le trasformazioni è l’assunto fondamentale che fa da filo conduttore dell’intero volume. L’evoluzione delle scienze con cui si è alimentato, a partire dal 1700, il dibattito sul fenomeno urbano nelle diverse, e talora divergenti, ottiche disciplinari è la chiave di lettura che mi sembra guidare l’interpretazione di Bertuglia e Vaio nell’esaminare tanto le dinamiche proprie delle diverse forme dell’urbanesimo europeo, dalla città preindustriale a quella postindustriale, quanto il rapporto con la politica della città, nella gestione dei problemi urbanistici, sociali ed economici.
Il volume, che vuole avvicinare allo studio dei sistemi urbani non solo urbanisti ma anche una schiera ampia di studiosi del fenomeno urbano da diversi punti di vista, propone dunque, con una struttura ed un linguaggio agevoli anche per chi con questi studi non abbia familiarità, un lungo percorso approfondito tra le riflessioni e le ricerche sviluppatesi in trecento anni di studi sulla città e sul territorio, articolato in sei densi capitoli. In oltre 700 pagine di testo, corredate da una bibliografia di 1200 titoli, Bertuglia e Vaio, con un enorme sforzo culturale, si ripromettono di aiutare il lettore a “vedere chiaro nel groviglio inestricabile… di un sistema urbano complesso”: premessa necessaria a qualunque tentativo di fornire a tecnici e politici strumenti efficaci non solo per capire ma anche per guidare le trasformazioni di tali sistemi.
Correttamente il volume prende atto del fatto che la complessità è difficile da definire e da misurare, ma nello stesso tempo ne esalta il ruolo pur riconoscendo che tale approccio è penalizzato dal frequente ricorso a tale concetto in versioni superficiali e criptiche, da parte di decisori a cui sovente manca la capacità di fornire credibili risposte ai quesiti ed ai timori dei cittadini alle prese con una domanda di futuro già di norma imperscrutabile ed oggi ancor più avvolto nell’incertezza. L’esigenza del recupero di saperi esperti incombe sull’intero sistema planetario nella consapevolezza che sarà necessario, per superare questa crisi, prefigurare nuove direzioni di sviluppo e ripensare radicalmente stili di vita, di consumi, di lavoro, di città, dovendo a lungo convivere con un virus che sarà difficile sconfiggere.
In realtà, come sappiamo, l’importanza di applicare la visione complessa al fenomeno urbano non ha bisogno di dimostrazioni. Questo è sempre più il contesto dove, nell’epoca della globalizzazione e dei preoccupanti effetti del cambiamento climatico, si accentuano l’incertezza, la precarietà, le diseguaglianze sociali, i rischi ambientali, lo spreco di risorse, i conflitti che rendono sempre più difficoltosa la comprensione e la previsione delle dinamiche in atto e quasi impraticabili le azioni per ricomporne le antinomie. È nella città che i sistemi fisici e sociali stanno manifestando livelli di complessità drammaticamente crescenti e stanno assumendo una vorticosa velocità e varietà di trasformazione; e non a caso è negli ambienti più fortemente urbanizzati che la diffusione della pandemia sembra trovare il terreno più adatto. Per contro, è nelle città che si sono sviluppati anche quei sorprendenti processi di adattamento e di resilienza, che nei secoli passati hanno salvato il pianeta dalle calamità prodotte dalla stessa azione dell’uomo. Paradossalmente, però, sorge il dubbio che oggi proprio negli ambienti urbani più che altrove si manifestino le maggiori difficoltà per il pianeta di riattivare i processi di autodifesa con cui l’uomo si è salvato dai guasti provocati da esso stesso. Anche in questo senso, in ogni caso, il fenomeno urbano rimane il contesto emblematico della complessità, al suo livello più elevato: è l’ambiente in cui già oggi vive il 55% della popolazione mondiale, ed è quello in cui nel 2050 vivrà il 68% degli abitanti della terra (come si pronosticava fino a qualche mese fa) ed è anche quello su cui probabilmente andranno incardinati gli interventi per la ripresa e per la radicale trasformazione necessarie ad uscire dalla drammatica crisi mondiale che si prospetta per i mesi e gli anni futuri.
I nodi del dibattito degli ultimi anni sul destino prossimo venturo di città e territori già esaltavano l’importanza della assunzione dell’ottica della complessità che si è diffusa ed imposta in economia, in ecologia, in sociologia, in urbanistica, in ingegneria. Ad essa si associa oggi il concetto di “circolarità”, basato sulla interconnessione nell’uso e riuso delle risorse, sull’integrazione fra le dinamiche delle componenti che costituiscono i sistemi territoriali, sulla promozione di modalità collaborative fra le comunità locali, sulla valorizzazione delle opportunità offerte dalle tecnologie innovative, sul ripensamento dei processi di gestione del territorio verso percorsi di innovazione in ambito sociale, ambientale, economico. Ancor di più si giustifica il binomio complessità - circolarità in presenza di una crisi globale quale è quella che stiamo attraversando. Ed allo stesso tempo cresce la consapevolezza (ma si generano anche le più forti opposizioni) nei confronti di quelle città globali che costituiscono oggi la forma più esasperata del fenomeno urbano, in quanto sistemi fortemente radicati nel territorio e, al tempo stesso, intensamente relazionati fra loro, in cui si manifesta al massimo livello lo storico conflitto fra interesse pubblico e interesse privato nell’appropriazione delle risorse.
Per questo concetto e per queste sfide che vedono la città come un sistema urbano globale e circolare, così come per gli auspicati e poco praticati tentativi di intervenire sui processi antropici per combatterne gli effetti devastanti sull’ambiente e sulla organizzazione sociale, l’approccio della complessità è una conditio sine qua non, a cui quanto sta avvenendo in questo periodo dà ulteriori motivi di ricorso per interpretare ed ancor più per intervenire a correzione di quanto è stato negli ultimi decenni clamorosamente sbagliato. Non sorprende dunque che Bertuglia e Vaio, dopo molti studi e molte pubblicazioni dedicati all’approfondimento del paradigma complessità, abbiano deciso, con un lungo lavoro di sintesi del loro percorso, di riordinare e rivedere le tappe delle ricerche che li hanno portati a riflettere sulla sua applicazione al fenomeno urbano proponendoci una rassegna, molto ampiamente documentata e densa benché esposta in modo agevole, attraverso cui proporre al lettore origini ed evoluzione di tale processo scientifico (capitolo 3 e capitolo 5), a partire dal modo in cui i principali studiosi di queste discipline (da Heidegger a Lefebvre, da Weber a Foucault, da Baudelaire e Benjamin a Merleau-Ponty, da Heidegger a Soja) hanno interpretato la città. Appoggiandosi a tale ampio excursus, gli autori rileggono attraverso trecento anni di trasformazioni della città europea, alcuni casi e momenti di svolta dell’evolvere del fenomeno urbano, in concomitanza con il progresso dei sistemi industriali (capitolo 2) e concludono (capitolo 5) con l’analisi approfondita della trasformazione di due grandi città italiane, Roma e Torino, cui ben si applica il concetto di fenomeni urbani complessi. Ancor più importante appare oggi questo testo, pubblicato un anno fa, perché impone alla nostra attenzione le premesse e l’evoluzione di un’ottica che si riteneva ieri, ed ancor più si deve ritenere oggi, adeguata a cogliere del fenomeno urbano quei caratteri di non-linearità, di adattività, di imprevedibilità, di capacità di autorganizzazione, di interazione fra agenti di cui si avverte l’impellenza, in una fase di particolare drammaticità della sua storia. Per dimensione, violenza e velocità degli effetti e per durata ed estensione delle sue conseguenze certamente si produrranno nei prossimi mesi ed anni sull’intero pianeta (ed in particolare nei sistemi territoriali, a tutte le latitudini) trasformazioni e necessità di azioni inusitate e imprevedibili che dell’approccio della complessità dovranno necessariamente fare uso.
Sarà necessario pertanto nella fase di ricostruzione dopo questa drammatica vicenda globale, sviluppare competenze ed approcci metodologici che basandosi su questa ottica costruiscano non solo nuove conoscenze ma anche nuove pratiche. E per promuovere lo sviluppo di tecniche e metodi idonei a supportare conoscenze ed esperienze ma soprattutto per proporre strategie che chiamino a raccolta le forze della cultura, delle professioni, delle imprese e della società civile verso un obiettivo mobilitante in questa direzione, il volume di Bertuglia e Vaio si proporrà come un importante fondamento, la necessaria ricostruzione del pensiero antico e contemporaneo caratterizzato da questo approccio, su cui fondare l’intervento con cui guidare il ripensamento e la trasformazione dei sistemi urbani. Il testo spazia infatti dalle teorie alle esperienze che nell’arco di tre secoli hanno strutturato l’evoluzione delle scienze della città e del territorio; promuove l’ottica interdisciplinare che si qualifica come indispensabile per cogliere i vorticosi e drammatici cambiamenti nella scala e nelle dimensioni del sistema; intende proporre una prospettiva idonea non solo a comprenderne le trasformazioni passate e presenti, ma ad attivare strumenti con cui governarle. E di tali strumenti i sistemi urbani avranno grande ed urgente bisogno, gravati come sono dalle incertezze di un futuro sovrastato da enormi interrogativi: si può sperare che riflettere sulle evoluzioni scientifiche del passato suggerisca innovative intuizioni sul presente e sul futuro.
Come sostengono gli autori nel capitolo conclusivo, e come conferma Dioguardi nella sua prefazione, la prima azione da affrontare a questo scopo è una adeguata formazione (nuove scuole, nuovi programmi, nuove tecnologie, nuove fonti di sapere) per disporre di figure di studiosi e di “managers urbani” capaci di comprendere e trattare la complessità di queste dinamiche. E queste convinzioni sono ancor più fondate oggi: per promuovere ricerche ed azioni che contribuiscano ad affrontare meglio il futuro di città e territori è necessario disporre di professionisti della gestione delle città che sappiano rispondere alla domanda dei cittadini di nuovi diritti di compartecipazione ad ogni scelta che li riguarda, in ogni ambito, a partire da quello sanitario. Peraltro il testo ha la giustificata ambizione di tentare la ricomposizione delle componenti essenziali che la città mostrava e mostra nelle concezioni filosofiche, sociologiche, antropologiche ed economiche che della comprensione di un sistema complesso territoriale sono dimensioni strutturali, come lo stesso sottotitolo del volume sottolinea. Lo spazio urbano, il senso del luogo e la sua percezione, la questione della rendita fondiaria e la trasformazione urbana sono temi in cui si articola la visione multidisciplinare che nel volume fa da filo conduttore. E di questa unitarietà si cerca la chiave negli studi che anticipavano o sviluppavano (e in quelli che oggi consolidano ed estendono) quel “pensiero della complessità” che si è strutturato a partire dalla metà degli anni ’60, quando questa ottica si è andata articolando e trasferendo nelle varie discipline (urbanistica, economia, sociologia, fisica, psicologia, antropologia).
Va anche apprezzato un altro importante elemento cui il testo dedica ampia attenzione (capitolo 4): la partecipazione e le forme di organizzazione della città dal basso. Il testo sviluppa un articolato ragionamento sul legame fra il termine “pubblico” e le trasformazioni sociali ed urbane che, a partire dal ‘400, hanno sviluppato la tesi che partecipazione, autorganizzazione, democrazia partecipata sono forme di governo inalienabili e necessarie a garantire che vengano soddisfatti i diritti fondamentali dell’individuo. È questo un aspetto determinante dell’approccio della complessità, che attribuisce un ruolo cruciale alla democrazia deliberativa ed alle modalità di gestione che possono valorizzare le relazioni fra gli individui e la loro domanda di spazi, fisici e non, promuovendo la considerazione della città, così come del paesaggio, come sistemi complessi ma anche come beni comuni piuttosto che come beni economici. E mai come in questo periodo è importante una rassegna storica sull’evoluzione del concetto di sfera pubblica e di bene comune applicati al fenomeno urbano. Quale potrà essere la deriva verso cui si sposterà la modalità di gestione politica delle città e dei Paesi alla luce del post-emergenza virale? Come si concilieranno i principi del diritto ad avere città inclusive, sicure, sostenibili con quelli del diritto alla salute? Questi diventeranno quesiti fondamentali a cui non sarà facile dare risposta. La lotta all’epidemia impone l’isolamento e la distanza sociale, fino a giustificare il ricorso alla polizia digitale per controllare la circolazione di soggetti portatori di contagio, con il rischio che esplodano da una parte tensioni sociali come conseguenza della crisi economica alle porte, dall’altra scelte politiche autoritarie giustificate dalla necessità di sospendere la democrazia per salvaguardare, con decisioni rapide e difficili, un bene comune fondamentale come la salute. Mi sembra dunque importante segnalare il ruolo rilevante che questa parte del testo assume oggi ancor più di ieri, nell’ipotesi di un possibile contrasto fra una sorprendente e nuova dominanza delle ragioni della scienza e le ragioni della politica. Si prefigurano diverse direzioni di sviluppo possibili. Siamo di fronte al forte rischio che le forme di democrazia partecipativa e di solidarietà a qualunque livello (da quello comunale a quello nazionale a quello europeo) vengano messe da parte per dare priorità ad egoismi, populismi, sovranismi giustificati dall’emergenza in atto e dai nuovi diritti di cittadinanza scientifica (4). Per contro non manca chi intravede la possibilità che invece la crisi in atto porti un nuovo senso di comunità, grazie alla scoperta che abbiamo bisogno gli uni degli altri per sconfiggere il virus attraverso il coordinamento, la cooperazione, la solidarietà globale (5). Il capitolo 4 su “Politica della città, partecipazione ed autorganizzazione assistita” assume dunque, alla luce degli eventi in corso, un interesse tutto particolare. La pandemia sta distruggendo l’ultimo pensiero di comunità o, viceversa, rifonderà un nuovo pensiero di comunità? In questo senso mi pare di poter dire che la rassegna interpretativa che gli autori ci propongono, andrà certamente riletta nei prossimi mesi alla luce degli interrogativi che si apriranno in relazione alla difficilissima gestione politica della lotta alla pandemia che potrà svilupparsi secondo direzioni oggi imprevedibili ma certamente dirompenti.
Le peculiarità dei connotati scientifici degli autori
Nel proporre ai lettori di Città Bene Comune un commento al volume di Bertuglia e Vaio che va ad aggiungersi alle autorevoli recensioni già ospitate da questa rubrica (6), ritengo utile segnalare due aspetti peculiari del percorso scientifico degli autori che, a mio parere, possono illuminare il taglio con cui l’argomento è trattato: la loro formazione disciplinare e il loro percorso scientifico, aspetti di cui sono testimone per essere stata prima allieva e poi collega di Sergio Bertuglia al Politecnico di Torino.
È certamente inconsueta la formazione disciplinare di Sergio Bertuglia., che da laureato in economia all’Università di Roma è diventato precocemente allievo negli anni ’50 – ’60 prima di Bruno de Finetti, il noto matematico e statistico studioso di calcolo delle probabilità, e poi di Siro Lombardini, economista consulente di enti ed istituzioni nazionali ed internazionali, che lo introdusse negli anni ’70 alle tematiche della pianificazione territoriale proponendolo come esperto di modellistica prima nel gruppo di esperti alle prese con il nascente Piano Regionale dell’Umbria e poi, dal 1963, come ricercatore presso l’IRES (Istituto per le Ricerche Economiche e Sociali della Regione Piemonte) all’epoca della elaborazione del Piano Regionale del Piemonte e del cosiddetto “modello Piemonte”. È in questo contesto e in questo periodo che Bertuglia si è gradualmente spostato verso le applicazioni della matematica allo studio del territorio attraverso, in particolare, la messa a punto di quel modello da applicare alla regione Piemonte che negli anni ’70 ha rappresentato una novità tecnico-scientifica finalizzata a fornire strumenti utili per il governo di un territorio alle prese con il vorticoso sviluppo degli anni della industrializzazione esplosiva e del boom economico. Sull’approccio sistemico, sulla modellistica applicata alla pianificazione territoriale si sono riposte per alcuni anni le grandi attese di strumenti scientifici capaci di fornire un valido contributo alla nuova politica regionale in grado di analizzare e prevedere gli sviluppi di dinamiche territoriali fuori controllo. Di questo ruolo dell’IRES si trova traccia nella postfazione di Guido Bodrato che dedica uno specifico commento a questo Istituto nato in quegli anni con lo scopo di mettere a punto studi e ricerche destinati a fornire supporto alla pianificazione regionale in Piemonte (pag. 684). È attraverso questi sviluppi scientifici che Bertuglia ha trasferito le sue competenze di modellistica e di studi sulla complessità al campo territoriale, fino a diventare docente di pianificazione presso il Politecnico di Torino, con un percorso inusuale e non facile per quel periodo, ma addirittura impensabile oggi, in presenza di una segmentazione accademica sancita dagli attuali meccanismi di concorso che, contrariamente alle dotte affermazioni sulla necessità della interdisciplinarità e della contaminazione fra discipline in un mondo sempre più complesso e globale, ostacolavano già allora i tentativi, che oggi si definirebbero “contaminazioni”, fra settori concorsuali affini. E men che meno oggi si consentirebbe ad uno studioso di complessità e modelli di diventare docente di pianificazione territoriale!
A questa particolarità della formazione disciplinare di un autore, si aggiunge l’abbinamento con un co-autore ancor più anomalo nel panorama degli studiosi che si sono dedicati alle ricerche sul territorio qual è Franco Vaio, fisico e docente di matematica. Si tratta dunque di due studiosi di provenienza disciplinare non tipica dell’urbanistica, alle prese con le progressive e multiformi interpretazioni del sistema territoriale da un punto di vista certamente poco comune. Voglio qui sottolineare che allo stesso tempo gli autori dimostrano lungo tutto il testo di essere ben consapevoli dei limiti delle scienze in cui si sono formati come strumenti per comprendere, ed ancor più per operare sui sistemi sociali, se non integrate con il contributo essenziale degli altri ambiti disciplinari. E non a caso alle dimensioni sociologiche ed antropologiche insieme a quella economica sono dedicati capitoli rilevanti (il capitolo 3, soprattutto).
Il secondo aspetto peculiare della coppia di autori del volume, è il loro lungo e consistente percorso scientifico ed il fortunato sodalizio come studiosi e come divulgatori delle applicazioni alla città ed al territorio degli approcci teorici trasversali nella scienza contemporanea. Bertuglia è stato fra i fondatori della Associazione Italiana di Scienze Regionali (di cui è stato anche Presidente) ed è stato vice-presidente dell’Associazione Italiana di Ricerca Operativa; ha diretto la rivista «Sistemi urbani» e co-diretto «Discrete Dynamics in Nature and Society» ed è autore o co-autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche (ampiamente presenti nella bibliografia che conclude il volume) i cui temi dominanti sono la complessità, i modelli, la non-linearità, il caos ma anche le global cities, l’autorganizzazione della città e la gentrification dei centri storici, la modellizzazione ad agenti per i sistemi sociali, economici e urbani. Questo lungo percorso scientifico ha portato gli autori, e specialmente Bertuglia, a declinare in molti modi la visione complessa del fenomeno urbano, a partire dalle radici storiche e dalla contaminazione con le molte discipline che hanno contribuito a svilupparla, ma anche alla comparazione con contesti internazionali ed alla approfondita conoscenza di alcuni casi studio. E questo volume di fatto rappresenta la non facile sintesi di questo lungo percorso.
Una attenzione approfondita a due casi-studio
Un particolare interesse, dal mio punto di vista, è rappresentato dal capitolo quinto del testo, dedicato alla “complessità nelle concezioni economiche della città” e riferito a due casi studio, Roma e Torino, molto dettagliatamente trattati, anche con l’aiuto di numerose e dense note. Di Roma si ripercorrono le vicende addirittura dal ‘600 -‘700 ai giorni nostri e di Torino si espongono le trasformazioni dal secondo dopoguerra ad oggi, inserendo in entrambi i casi queste evoluzioni nella prospettiva della complessità. Sottolineo che la trattazione dei modi, diversissimi, in cui queste due città si sono trasformate, è completata da due delle cinque postfazioni (quella di Vezio De Lucia per Roma, quella di Guido Bodrato per Torino) che integrano l’esposizione a cura dei due autori con gli interessanti e vivaci racconti di chi ha partecipato da protagonista o da acuto osservatore agli eventi citati. Non a caso Guido Bodrato intitola il suo contributo una “narrazione” su Torino e Vezio De Lucia racconta “splendori e declino” di un progetto strategico e travagliato per la città di Roma come è stato il Progetto Fori Imperiali, già ampiamente trattato dagli autori.
È ovviamente ben noto l’effetto che la dimensione fisica e demografica delle città determina sul livello di complessità del fenomeno urbano e quindi non ci sono dubbi sulla idoneità di Roma e Torino, anche solo in ragione della loro dimensione ed ancor più per i loro caratteri speciali, a rendere ben evidente la legittimità di una esplorazione nella chiave della complessità delle tematiche critiche che sistemi urbani di questo tipo hanno dovuto affrontare nella loro storia più o meno recente. Pur non essendo indicata nel volume una esplicita argomentazione a supporto di questa scelta, ritengo che, fra le tante possibili grandi città italiane, la scelta di Roma e Torino come casi emblematici di fenomeni urbani complessi sia dovuta al fatto che questi due sistemi urbani sono luoghi ben noti agli autori: entrambi hanno vissuto a Torino e Bertuglia è vissuto, e vive tuttora, a Roma. Dunque gli autori ne hanno seguito e studiato approfonditamente l’evoluzione negli ultimi vorticosi decenni ed hanno potuto interpretarne le vicende urbanistiche in una chiave di lettura fondata sull’ottica della complessità e sostenuta dalla diretta conoscenza, che consente loro di applicarla efficacemente all’analisi dei due casi. Il quinto capitolo contiene infatti una acuta ed articolata disamina delle diverse e continuamente variabili declinazioni della strumentazione in cui si articola la pianificazione (progetti urbani, piani regolatori, piani strategici) di queste due città. Sottolineo qui, per la mia personale conoscenza delle trasformazioni di Torino, l’interesse di quanto è esposto nel corposo e molto argomentato capitolo su questo caso. La lettura in chiave di complessità registra, percorrendone le forti e rapide trasformazioni avvenute nell’arco di mezzo secolo, il drammatico passaggio da modello classico di città fordista – e caso quasi unico in Italia di un così elevato livello di integrazione fra grande industria e città - a modello (forse meno classico) di città de-industrializzata, trasformatasi in un ventennio in un sistema urbano post-industriale ed ancora oggi alla ricerca di un proprio futuro. Caso sicuramente appropriato, dunque, per esporre l’analisi di un fenomeno urbano complesso, da cui sarebbe ancor più importante poter trarre elementi per disporre di strumenti e strategie con cui governare le future e poco prevedibili trasformazioni di Torino, così come sarebbe augurabile poter fare per Roma e più in generale per i tanti fenomeni urbani complessi cui questo volume è dedicato.
Le suggestioni verso lo sviluppo di strumenti per l’azione
Le precedenti considerazioni mi portano a esprimere l’auspicio che questa importante rassegna sull’evoluzione degli studi che hanno contribuito alla visione della città come sistema complesso, possa stimolare nuove ricerche orientate ad andare oltre la comprensione del fenomeno, verso la predisposizione di strumenti di azione per il governo di questi sistemi. Certamente tale auspicio è influenzato da precedenti occasioni in cui mi sono trovata ad augurarmi, purtroppo invano, che avvenisse il trasferimento dei risultati di studi e ricerche intorno ai sistemi complessi dalla conoscenza agli strumenti per il governo del territorio (7). A maggior ragione una prospettiva di questo tipo diventa auspicabile e urgente da quando, in questo ultimo periodo, si sta verificando l’imprevisto e improvviso evento pandemico che comporterà una prossima inevitabile fase di ripensamento e di generale revisione non solo dei sistemi urbani e territoriali ma anche dello stesso sistema capitalistico o neo-capitalistico a cui si attribuiscono non poche responsabilità nella tragica bufera che ha investito l’intero pianeta. Mi sembra di poter ipotizzare che Bertuglia e Vaio, in realtà, non si ponessero l’obiettivo di fornire strumenti per il trasferimento dell’approccio della complessità alla previsione dei comportamenti di questi sistemi ed alla azione per intervenire sulle loro trasformazioni. Certamente però il volume stimola in questa direzione ed a mio giudizio suscita riflessioni o meglio vere e proprie suggestioni in questa prospettiva. Esplicitare, da parte mia, le questioni che mi ha suggerito la lettura del testo ha lo scopo di trasferire ai futuri lettori nuovi ed ulteriori stimoli verso interrogativi che, ne sono convinta, potranno riproporsi, nei prossimi mesi ed anni, quando il nostro Paese, l’Europa ed il mondo dovranno affrontare la ripartenza e le difficili trasformazioni imposte sul lungo periodo dalla crisi attuale.
Una prima questione riguarda le prospettive in merito alla efficacia dell’approccio della complessità come strumento di supporto al governo, oltre che alla comprensione, delle città. Il paradigma della complessità è certamente un approccio necessario, anche se forse non sufficiente, per passare dalla conoscenza all’azione nei confronti delle mutevoli dinamiche con cui il fenomeno urbano dovrà confrontarsi. I prossimi anni lanceranno una sfida alle città, ed in particolare a quelle italiane già gravate da decenni di malgoverno ed ora alle prese con la gravissima crisi creata dagli eventi dell’inizio del 2020. E la sfida sarà sviluppare nuovi mezzi concettuali, più che strumentali, capaci di affrontare in termini propositivi i problemi antichi delle nostre città nell’ambito delle diverse discipline che si intersecano nei processi delle loro trasformazioni. Rigenerare le città recuperando saperi esperti nell’ottica della complessità per promuoverne il carattere di inclusività, attrattività, accoglienza ed allo stesso tempo svilupparne il rapporto armonico con l’ambiente sarà la scommessa prossima ventura. I contenuti del testo di Bertuglia e Vaio possono e devono costituire il background di tali nuove direzioni di ricerca per dotare di adeguati supporti scientifici le azioni di governo del territorio.
Una seconda questione, a mio parere, tocca i fattori che si presentano come criticità (negative o positive) interferenti su una estensiva applicazione del paradigma della complessità a quegli strumenti propositivi per il governo dei sistemi urbani cui si fa riferimento nella questione precedente. C’è da interrogarsi sui fattori che hanno ostacolato finora la possibilità di sviluppare strumenti di governo che consentano di guidare efficacemente sistemi complessi come il fenomeno urbano. In realtà sono disponibili oggi, in epoca di rivoluzione digitale e di intelligenza artificiale, grandi potenzialità tecnologiche basate sul paradigma della complessità, che dovrebbero offrirci potenti mezzi per prevedere e programmare il futuro dei numerosi sistemi definibili come complessi, non solo quelli urbani. Come mai è ancora così difficile prevenire le calamità naturali, prevedere i fenomeni meteorologici, salvaguardare l’ambiente, difendere la diversità biologica, oltre che governare i sistemi territoriali? Il volume di Bertuglia e Vaio ci spinge ad interrogarci sulle criticità positive e negative a cui si deve il limitato sviluppo di pratiche in cui l’approccio della complessità abbia potuto trovare efficace applicazione nelle politiche urbane e non solo. Mi sembra di poter dire che, in modo più o meno esplicito, gli studi e le esperienze raccolti nel testo mostrano come favorevoli allo sviluppo di tali pratiche un clima di cooperazione, interazione, attivismo, connessione, apprendimento, adattabilità. Possiamo dire, per contro, che si intuiscono come negativi quegli atteggiamenti che nascono o che producono divisione, separazione, chiusura, inerzia, egoismi, restrizioni. La recente affermazione in molti contesti nazionali ed internazionali di populismi, sovranismi, individualismi, separatismi, che già potevano giocare contro il diffondersi, anche in campo scientifico, di condizioni favorevoli allo sviluppo ed alla adozione di metodologie scientifiche innovative alle pratiche di governo, oggi rischia di presentarsi come un ulteriore forte ostacolo allo sviluppo di strumenti scientifici solidi su cui fondare interventi che rispondano alla nuova domanda di futuro posta dalle prossime generazioni. Lavorare per promuovere la collaborazione, l’integrazione, lo scambio di studi ed esperienze sarebbe certamente la direzione corretta e forse imprescindibile per individuare un equilibrato rapporto fra diritto alla salute, sviluppo economico e sostenibilità ambientale con cui governare il territorio, avvalendosi delle conquiste scientifiche che la ricerca, in ogni campo, può offrire. Difficile dire, però, in che direzione si potrà andare nei prossimi anni. La crisi pandemica che sta drammaticamente modificando la vita degli individui, i rapporti fra cittadini ed istituzioni, le relazioni internazionali, già oggi agisce in modo contradditorio ed ancor più, probabilmente, lo farà nei prossimi tempi. Da una parte vediamo intensificarsi l’interazione nella comunità scientifica alla ricerca di soluzioni che si avvantaggino dell’ottica di una società democratica della conoscenza; dall’altra assistiamo, soprattutto a livello politico, a chiusure dei confini, divieto di ingresso agli stranieri, sorveglianza digitale e in generale all’affermarsi degli egoismi ed all’arretramento nella collaborazione fra i Paesi, anche all’interno della Unità Europea. Riuscirà, dunque il positivo fattore-cooperazione, in queste condizioni, alla fine a prevalere?
Una terza riflessione che il testo di Bertuglia e Vaio mi ha proposto, è quella che riguarda un altro fattore catalizzatore di sviluppi applicativi, ma anche teorici, del paradigma della complessità e del suo trasferimento nelle tante discipline che interagiscono trasversalmente nel processo urbano: il concetto di cittadinanza e appartenenza. Dopo un lungo periodo in cui le città dominanti a livello mondiale (le global cities) sono diventate tali anche perché realtà più intensamente relazionate fra di loro che con il loro territorio, si può ipotizzare che per dare nuove opportunità alle esigenze sociali, ai diritti di cittadinanza in contrapposizione alle pretese dell’economia, si debba dare spazio all’approccio “bottom-up”, favorevole ai fenomeni di autorganizzazione spontanea ed alla partecipazione attiva al processo di formazione delle decisioni, alla luce di quanto esposto nel capitolo 4. Un’ottica “glocal”, in cui le città, pur appartenendo ad una rete di scala globale rimangano fortemente radicate alla scala locale ed al loro territorio, già sembrava proporsi come più efficace per rispondere alla domanda di partecipazione che fino a tutto il 2019 ha portato nelle piazze milioni di giovani preoccupati del loro futuro e del futuro del pianeta, intenzionati a far prevalere le conoscenze scientifiche, il diritto alla salute ed al lavoro, le esigenze sociali sulle leggi del mercato. Come si combineranno, ora, queste giuste rivendicazioni di diritti di cittadinanza e di accesso diffuso alle conquiste della scienza con le conseguenze devastanti di un evento che per lungo tempo imporrà isolamento, distanza sociale, preoccupazione individuale per la sopravvivenza? Sarà l’occasione per limitare drasticamente gli effetti distruttivi di un sistema di capitalismo che ha saccheggiato le risorse del pianeta e per ridimensionare la mobilità senza confini – per salvare noi stessi, il clima e il pianeta?
L’appello degli autori a promuovere una nuova urbanistica
Voglio, infine, segnalare, anche alla luce delle tre questioni prima sollevate, il rischio che sembra profilarsi nei confronti della “nuova urbanistica” auspicata dagli autori (Conclusioni, pag. 651). Bertuglia e Vaio pensano all’urbanistica futura in una nuova chiave di lettura, “con prospettive di ampio respiro che non puntino al profitto immediato ma a rendere la città più vivibile, efficiente ed attrattiva” (ed oggi potremmo aggiungere “più sana”) e con modalità cooperative e solidali. Esprimono dunque una forte fiducia nello sviluppo di una nuova “scienza della città” in cui si ricompongano i conflitti fra differenti idee, concezioni, approcci e metodi che hanno attraversato nel tempo le scuole di pensiero nei vari campi disciplinari (pag. 651) e nella realizzazione dell’unificazione culturale fra l’approccio umanistico e quello tecnico-scientifico, nonché nella necessità di preparare tecnici capaci di affrontare, attraverso un percorso di formazione di elevata cultura urbana, la progettazione e la gestione della città complessa in questa ottica. Mi sento di riconoscere l’attualità di tale appello in questa fase. Per la prima volta siamo stati travolti ad un livello così elevato dallo sconvolgimento dell’intero sistema territoriale, sociale, economico nonché dei percorsi formativi. Inopinatamente ed improvvisamente, si è messo alla prova, sia pure con modalità, misure e tempi diversi, un diffuso e forte intervento sui sistemi sanitari, ma anche e forse ancor di più sui sistemi economici e sociali in cui vivono i 2/3 dell’intera popolazione mondiale, sovente in un’ottica dirigistica ben lontana dai principi che percorrono tutto i l testo di Bertuglia e Vaio. Va registrato, inoltre, il fatto che si è manifestata una sorprendente e sostanzialmente disciplinata adesione delle popolazioni a inusitate forme di gestione autoritaria del territorio, pur giustificate da obiettivi di emergente e rilevante interesse collettivo. Dunque, poiché queste derive sembra possano riproporsi nell’occasione di non imprevedibili nuove crisi globali di diversa natura (sanitarie, sociali, economiche), si presenteranno probabilmente più occasioni in cui verificare se sia fondata la fiducia degli autori nelle progressive sorti dell’ottica della complessità e nell’auspicio che si possa svilupparla promuovendo la formazione di studiosi e di tecnici in cui si integrino l’approccio umanistico e quello tecnico-scientifico nelle concezioni proprie delle tante discipline che nel fenomeno urbano si intrecciano. E forse si presenteranno nuove occasioni per mettere alla prova tale fiducia, anche davanti alle situazioni eccezionali che potrebbero proporsi.
Il ruolo del testo potrebbe, in tal caso, andare ben oltre il contributo che gli autori dichiarano di volere fornire al processo di unificazione culturale costituendo il background per l’elaborazione di nuovi metodi di comprensione e gestione delle città. Potrebbe, infatti, attraverso le profonde riflessioni sugli strumenti di conoscenza sviluppati nel passato, stimolare importanti intuizioni sui saperi multidisciplinari con cui governare il fenomeno urbano, alla ricerca di un punto di equilibrio fra il legittimo diritto alla democrazia ed alla visione della città come bene comune da una parte e le esigenze del benessere, di qualunque natura esso sia, dall’altra.
Agata Spaziante
Riferimenti bibliografici Byung-chul Han, Die Errettung des Schönen, Fischer, Frankfurt 2015 (trad. Vittorio Tamaro, La salvezza del bello), Nottetempo, Milano, 2019) Paolo Giordano, Nel contagio, Le vele, Einaudi, 2020 Edward N. Lorenz, Deterministic Nonperiodic Flow, Massachusetts Institute of Technology, 1963 David Quammen, Spillover. L'evoluzione delle pandemie, (traduzione di Luigi Civalleri), Adelphi, 2014 Agata Spaziante, (a cura di), Conoscere la complessità. Viaggio tra le scienze, Bruno Mondadori, Milano, 2009 Slavoj Zizek, Virus. Catastrofe e solidarietà, Ponte alle grazie, Milano, 2020
Note 1) David Quammen, Spillover. L'evoluzione delle pandemie, trad. di Luigi Civalleri, Adelphi, 2014. 2) Edward N. Lorenz, Predictability: does the flap of a butterfly’s wings in Brazil set off a tornado in Texas?, conferenza del 29 dicembre 1972 sulla teoria del caos, preceduta nel 1963 dal testo Deterministic Nonperiodic Flow, Massachusetts Institute of Technology. 3) Paolo Giordano, Nel contagio, Le vele, Einaudi, 2020. 4) Le recenti esperienze asiatiche di lotta all’epidemia sembrerebbero dimostrare che la vera frontiera di una lotta efficace al virus sia il sovranismo degli stati ed il controllo totale dei singoli attraverso il digitale (come è avvenuto in Cina ed in Corea del Sud). Il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, docente di Filosofia e Studi Culturali alla Universität der Künste di Berlino, in una recente intervista all’Avvenire (7aprile 2020), contesta però l’ipotesi che il virus “rallenti” il capitalismo e sostiene invece, ottimisticamente, che “lo trattiene soltanto, in uno stato di sospensione nervosa che può costituire un momento propizio per il consolidamento di un nuovo sistema di potere”. 5) Ne è un esempio quello che ipotizza nei suoi scritti il filosofo e scrittore sloveno Slavoj Zizek, che intravede la possibilità che i cittadini, di fronte al dramma dell’epidemia, scoprano l’importanza della solidarietà globale ed accrescano la fiducia verso le istituzioni, accrescendo il controllo su chi governa e mettendo così le premesse per assestare un colpo mortale al capitalismo. 6) Ricordo che su questa stessa rivista sono già state pubblicate tre recensioni, a firma di Roberto Tadei (maggio 2019), Walter Tocci (gennaio 2020), Aldo Masullo (aprile 2020). 7) Si vedano gli atti del convegno interdisciplinare organizzato a Torino nel 2007 dal Comitato Scientifico del Consorzio per il Sistema Informativo (CSI-Piemonte) su “Conoscere la complessità. Viaggio tra le scienze”, pubblicati nel 2009 da Bruno Mondadori.
N.d.C. - Agata Spaziante, già professore ordinario di Tecnica e Pianificazione urbanistica, ha insegnato alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino e nell’Alta Scuola Politecnica dello stesso ateneo. È stata direttore del Dipartimento Interateneo del Territorio e del master in Tecniche per la Progettazione e Valutazione ambientale, oltre che presidente del Comitato scientifico del CSI-Piemonte, membro del Consiglio dell’Alta Scuola Politecnica, membro del Consiglio didattico del dottorato in Ambiente e Territorio e del Consiglio della sezione Piemonte dell’Istituto Nazionale di Urbanistica.
Tra i suoi libri: con Grazia Sartorio (a cura di), Il piano regolatore generale nella legge urbanistica del Piemonte, atti del convegno tenutosi a Torino, 10-11 marzo 1995 (Regione Piemonte, 1995); con Evelina Calvi e Lydia Re, Kassel Madrid Torino. Ricostruire nella città storica (Lindau 1996); con Egidio Dansero e Carolina Giaimo (a cura di), Sguardi sui vuoti. Recenti ricerche del Dipartimento interateneo territorio sulle aree industriali dismesse (Politecnico e Università di Torino, 1998); con Enrico Ciciotti (a cura di), Economia, territorio e istituzioni. I nuovi fattori delle politiche di sviluppo locale (F. Angeli, 2000); con Luigi Garretti e Mauro Giudice (a cura di), Dai piani agli strumenti informativi e ritorno. La cooperazione istituzionale per il governo del territorio, atti del convegno tenutosi a Torino, 5 novembre 1998 (Centro stampa della Regione Piemonte, 2001); con Egidio Dansero e Carolina Giaimo (a cura di), Se i vuoti si riempiono. Aree industriali dismesse: temi e ricerche (Alinea, 2001); con Patrizia Colletta e Rosario Manzo (a cura di), Pianificazione del territorio e rischio tecnologico: il DM 9 maggio 2001 (Celid, 2002); con Fiamma Bernardi e Grazia Brunetta, La valutazione della sostenibilità ambientale di progetti. Programmi e piani in ambito urbano (Dipartimento interateneo territorio, 2002); con Turiddo Pugliese (a cura di), Pianificazione strategica per le città. Riflessioni dalle pratiche (FrancoAngeli, 2003); (a cura di) La conoscenza come bene pubblico comune. Software, dati, saperi (CSI Piemonte, 2004); (a cura di), Il futuro della memoria. La trasmissione del patrimonio culturale nell'era digitale, atti del convegno tenutosi a Torino, 10-11 novembre 2004 (Csi Piemonte, 2005); (a cura di), Il dominio dello spazio. Scienze, tecniche, rappresentazioni (CSI Piemonte, 2006); con Angelica Ciocchetti (a cura di), La riconversione delle aree dismesse. La valutazione, i risultati (FrancoAngeli, 2006); (a cura di), Il senso del tempo. Società, scienze, tecnologie, atti del Convegno tenutosi a Torino, 20-21 novembre 2006 (CSI Piemonte, 2007); (a cura di), Conoscere la complessità. Viaggio tra le scienze (B. Mondadori, 2009); con Rossella Maspoli (a cura di), Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riuso post-industriale a Torino Nord (Alinea, 2012).
Sul libro oggetto di questa riflessione, v. anche i commenti di Roberto Tadei (Si può comprendere la complessià urbana?, 31 maggio 2019); Walter Tocci (La complessità dell’urbano e non solo, 24 gennaio 2020); Aldo Masullo (La città è mediazione, 1 maggio 2020).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 25 GIUGNO 2020 |