|
|
Il libro di Cristina Bianchetti Corpi tra spazio e progetto (Mimesis 2020) esce in una congiuntura davvero particolare. Dopo decenni in cui il corpo era visto come l’ultima frontiera dell’immagine e la cura era tutta indirizzata a confermare l’esasperato narcisismo che permea la società contemporanea, la celebrazione di un’ipermodernità individualista in cui il corpo era l’unico vero oggetto di culto (l’industria delle beauty-farm prima del marzo di quest’anno aveva fatturati paradossali), è arrivato un ospite inatteso. Un po’ come in Shining a disturbare i sogni della famiglia Torrance, il coronavirus ha trasformato in un incubo il sogno dell’eterna giovinezza, riportandoci tutti davanti al ritratto di Oscar Wilde. E sono scesi dagli scaffali testi quasi dimenticati come Le souci de soi (Gallimard 1984) e, ancor più, un libro oggi in pieno oblio, di Michel Foucault, Erving Goffman, Ronald Donald Laing e Noam A. Chomsky, Crimini di pace (Einaudi 1971), in cui compaiono gli psichiatri e psicanalisti che hanno fatto la storia del rapporto con il corpo negli ultimi settanta anni, a parte Lacan e la sua Proposta del 9 ottobre 1967 (oggi in Altri scritti Einaudi 2013, pp. 241-278). Il corpo con il coronavirus ha ripreso non solo la sua fragilità e temporalità, ma anche il dialogo che sembrava interrotto con la malattia. Il brusco passaggio di infermieri, medici e di una vera armata Brancaleone di specialisti dalla più totale indifferenza a eroi salva patria, nasce solo dal trovarsi ad un uscire da una beauty farm e incontrare sui marciapiedi, gli abitanti del Cimetière des Saints-Innocents parigino poco prima della sua chiusura.
In questo clima il testo di Cristina Bianchetti può generare due reazioni opposte. Finalmente si recupera la dimensione storica o, per chi pensa – come l’ultimo François Hartog – che ormai la storia serva solo più a émouvoir le présent, generare un senso quasi di fastidio e di spaesamento. Confesso che mi schiero con i primi e inizio la mia lettura.
Di quale corpo parla Cristina Bianchetti? Se si legge il capitolo secondo è il corpo malato, se si prende in mano il capitolo 3 è il corpo dematerializzato, misura per definire limiti e funzioni dell’abitare: quasi la traduzione contemporanea di un’altra parola uscita dal vocabolario contemporaneo: fabbisogno. Ma è davvero così? La prima e sola cosa che non mi ha convinto nel libro di Cristina Bianchetti è il titolo, Corpi tra spazio e progetto, perché il plurale toglie al suo lavoro molto della connotazione riflessiva che il libro ha e perché fa presumere il corpo malato preso in cura dal progetto, prospettiva che sarebbe molto piaciuta a Franco Basaglia, ma che lascia retrogusti neopositivisti, che non sono certo presenti nel testo dell’autrice. Mentre, ed è il primo elemento su cui vorrei che il lettore si fermasse, quello che interessa è uno dei passaggi più delicati che la psicanalisi compie nel XX secolo, quello dal senso di colpa al desiderio come motori dell’azione umana. Cristina Bianchetti parte come tutti d’altro canto, da una posizione freudiana. Pur servendosi di Deleuze, il capitolo primo è costruito sulla radice del senso di colpa, chiamato in causa sia come ragione (che nasce da un inconscio incerto tra repressione e liberazione) del progetto come possibile cura, sia nella situazione drammatica in cui ci si chiede chi si sceglie di curare (situazione comune per altro nei manicomi sino alla legge 180).
Il capitolo finale, Perdere il corpo, è anche una delle due chiavi di accesso al libro. Soprattutto per la lettura che Cristina Bianchetti fa di un testo centrale di Freud, Al di là del principio del piacere, in cui la perdita del corpo è ricondotta alla sua radice più radicale: il convivere con la pulsione della morte, che forse poche vicende architettoniche hanno saputo meglio gestire di Das Neue Frankfurt. E, dall’altro lato, il corpo si perde anche nell’esaltazione della società della trasparenza: “l’essere trasparente del soggetto e dello spazio, svelato, esposto, offerto alle forme di controllo contribuisce alla scorporazione e alla dematerializzazione?” (Ivi, p.67). La risposta porta a un passaggio brusco, ad una lettura dell’urban interior come spoliazione e perdita dell’intimità. Quelli che nella letteratura tardo ottocentesca e nella vulgata borghese erano gli spazi in cui si rifugiava un “io” che in ogni altra situazione è ormai sovra esposto, diventano nel testo quasi la messa a nudo delle attrazioni, repulsioni, abbandoni, distorsioni di cui la casa museo di Mollino in via Vanchiglia a Torino è forse, ancor oggi il più straordinario esempio.
Il libro ha un’improvvisa svolta con il cap. 6, Il corpo liberato. L’incipit è amaro. La liberazione dal proprio corpo da malattie che ormai mescolano sempre più gli aspetti fisici e quelli psichiatrici (straordinario in questo senso rimane il libro di Ronald Donald Laing, L’io diviso) avviene attraverso droghe, riti quasi tutti evocati, spiritualismi più o meno approssimativi. La liberazione – fa bene a ricordarlo l’autrice – è dal futuro e, non senza paradossi, il suo rifugio è nell’utopia, la più aspaziale e acorporea forma di espressione del pensiero umano, pronto per consegnarsi a una doppia dimensione corporea. Il bisogno, davvero al limite dell’ossessione paranoica, di un corpo come unico oggetto del proprio interesse, un corpo senza relazioni, perché curato per essere “perfetto” e senza fini. E la spettacolarizzazione del corpo come strumento non solo di un’estetizzazione ormai senza freni, ma come – rubando l‘espressione a Boltanski e Esquerre – merce simbolica che dovrebbe garantire un’atemporalità che il corpo non potrà mai avere, se non nei… musei egizi.
L’orologio biologico – che è la seconda chiave di ingresso nel libro di Cristina Bianchetti e ne consolida le conclusioni – riapre tutta la lettura del testo e la sua relazione con l’urbanistica e con l’attualità. L’orologio biologico è alla base del passaggio, davvero stimolante, in cui l’autrice ci presenta un Richard Neutra, che insegue i desideri che l’inconscio gli detterebbe. L’Architectural Therapist, l’architetto che affronta e risolve i problemi che studenti e committenti gli pongono quasi mettendoli sul lettino dello psicoanalista (p. 26). Con un corollario non da poco. La sua ricerca di un’analogia così diretta, in specie con la teoria della sublimazione, si arresterà proprio quando il progettare diventerà, per Neutra, una necessità per sopravvivere: non più una terapia, ma un bisogno, che arriverà al paradosso di casa Perkins e dell’illusione di poter alimentare desideri, sogni di fare dell’architettura uno strumento di empatia (un Einfühlung resuscitata). Nel 1956, un Lacaniano ante litteram.
Ma l’orologio biologico rientra in maniera quasi lacerante, quando la modernità si ritrova guidata dalla malattia (B. Colomina, X-Ray Architecture) e il suo scopo diventa quello di contrastare la malattia (il colera nel secondo Ottocento, la depressione oggi). Sarebbe troppo facile evocare le bellissime pagine de La Montagna incantata in cui Giovanni Castorp, proprio da un sanatorio a Davos, ironizza su quest’illusione. Il corpo malato è il miglior soggetto immaginabile dall’architetto moderno e ancor più postmoderno, perché sono proprio la malattia e la decadenza i migliori clienti che l’architetto si può trovare e rispetto a cui può ritrovare la sua necessità e la fuoriuscita dalle tante cadute estetizzanti in cui si è inciampato dal tardo eclettismo in poi. Può, volendo calcare la mano sull’ironia, resuscitare la funzione dello spazio e riscoprire l’altro per cui progetta.
Cristina Bianchetti ci restituisce in tutto il suo libro (p. 32, ma anche p. 133-4) il pendolo che esiste nella cultura moderna, e di cui la città è il suo specchio forse più fedele, tra un corpo da curare (in primis dal suo inconscio o dall’idea che l’inconscio sia luogo e strumento delle rimozioni) e un corpo come fine in sé di un umanesimo arrivato a non riconoscere il genio cattivo che rappresenta l’acqua nel mito per Narciso. Testo spigoloso, a volte circolare, I corpi tra spazio e progetto, offre a una cultura urbanistica invaghitasi di formalismi di varia estrazione, la riflessione su alcune radici non scontate e pone alcune scomode domande. Ne vorrei aggiungere una. Mosè Maimonide, alla fine degli anni ottanta del XII secolo chiude la sua guida dei perplessi (cap. LIV) con una riflessione sui quattro significati che ha in ebraico il termine sapienza. I due punti su cui aiuta a riflettere ancora oggi e nella situazione che viviamo, riguardano la distinzione tra conoscenza della legge e sapienza, e – ed è forse Il punto più interessante per noi oggi – è quando Maimonide commenta un passo de i Proverbi (5,9) “affinché tu non dia ad altri il tuo splendore e i tuoi anni a un uomo crudele”. Nell’esegesi di questo passo sta forse la chiave più interessante del libro di Cristina Bianchetti e il miglior invito a leggerlo.
Carlo Olmo
N.d.C. - Carlo Olmo, professore emerito di Storia dell'Architettura del Politecnico di Torino, è stato preside della Facoltà di Architettura e ha coordinato il dottorato di ricerca in Storia dell'Architettura e dell'Urbanistica. Ha insegnato all'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in numerose università straniere. Ha inoltre curato mostre di architettura a Torino, Venezia, Roma, Parigi, Bruxelles e New York.
Tra i suoi libri: Politica e forma (Vallecchi, 1971); Architettura edilizia. Ipotesi di una storia (Torino, 1975), con Roberto Gabetti, Le Corbusier e L'Esprit Nouveau (Einaudi, 1975); con Riccardo Roscelli, Produzione edilizia e gestione del territorio (Stampatori, 1979); La città industriale. Protagonisti e scenari (Einaudi, 1980); Aldo Rossi attraverso i testi (Mazzotta 1986): tr. ing. in "Assemblage", 5, 1988: Turin et des Miroirs feles, in "Annales", 3, 1989; con Roberto Gabetti, Alle radici dell'architettura contemporanea. Il cantiere e la parola (Einaudi, 1989); con Linda Aimone, Le esposizioni universali, 1851-1900. Il progresso in scena (Allemandi, 1990; ed. fr. Belin 1993); con Luigi Mazza (a cura di), Architettura e urbanistica a Torino, 1945-1990 (Allemandi, 1991); (a cura di), Cantieri e disegni. Architetture e piani per Torino, 1945-1990 (Allemandi, 1992); Urbanistica e società civile. Esperienza e conoscenza, 1945-1960 (Bollati Boringhieri, 1992); Gabetti e Isola. Architetture (Allemandi, 1993); (a cura di), La ricostruzione in Europa nel secondo dopoguerra (Cipia, 1993); (a cura di), Il Lingotto: 1915-1939. L'architettura, l'immagine, il lavoro (Allemandi, 1994); (a cura di) con Bernard Lepetit, La città e le sue storie (Einaudi, 1995); (a cura di), con Alessandro De Magistris, Jakov Cernihov: documenti e riproduzioni dall'archivio di Aleksej e Dimitri Cernihov (Allemandi, 1995; ed. fr. Somogy editions d'art, 1995; ed. ted. Arnoldsche, 1995); Le nuvole di Patte. Quattro lezioni di storia urbana (FrancoAngeli, 1995); (a cura di), Mirafiori (Allemandi, 1997); (a cura di) con Lorenzo Capellini e Vera Comoli, Torino (Allemandi, 1999); (a cura di), Dizionario dell'architettura del XX secolo(Allemandi, 2000-2001, 5 vol.; ed. Enciclopedia Treccani, 2002); Costruire la città dell'uomo. Adriano Olivetti e l'urbanistica (Edizioni di Comunità, 2001); (a cura di) con Walter Santagata, Sergio Scamuzzi, Tre modelli per produrre e diffondere cultura a Torino (Fondazione Istituto piemontese Antonio Gramsci, 2001); con Michela Comba, Marcella Beraudo di Pralormo, Le metafore e il cantiere. Lingotto 1982-2003 (Allemandi, 2003); (a cura di) con Michela Comba e Manfredo di Robilant, Un grattacielo per la Spina. Torino, 6 progetti su una centralità urbana, catalogo della mostra (Allemandi, 2007); Morfologie urbane (il Mulino, 2007); (a cura di), Giedion, Sigfried, Breviario di architettura (Bollati Boringhieri, 2008); (a cura di) con Arnaldo Bagnasco, Torino 011: biografia di una città. Saggi (Mondadori Electa, 2008); Architettura e Novecento. Diritti, conflitti, valori (Donzelli, 2010); (a cura di), con Cristiana Chiorino, Pier Luigi Nervi. Architettura come sfida (Silvana ed., 2010, 2012); Architecture and the 20. Century: Rights, conflicts, values (List Lab, 2013); Architettura e storia. Paradigmi della discontinuità (Donzelli, 2013); con Susanna Caccia Gherardini, Le Corbusier e il fantasma patrimoniale (Il Mulino 2015) e Metamorfosi americane. Destruction throught neglect: Villa Savoye tra mito e patrimonio (Quodlibet, 2016); con Susanna Caccia, La villa Savoye. Icona, rovina e restauro (1948-1968) (Donzelli, 2016); con Patrizia Bonifazio e Luca Lazzarini, Le Case Olivetti a Ivrea (Il Mulino, 2018); con postfazione con Antonio De Rossi, Urbanistica e società civile (Edizioni di Comunità, 2018); Città e democrazia. Per una critica delle parole e delle cose (Donzelli, 2018); Progetto e racconto. L’architettura e le sue storie (Donzelli, 2020).
Per Città Bene Comune ha scritto: Spazio e utopia nel progetto di architettura (15 febbraio 2019).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 03 LUGLIO 2020 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, il paesaggio e la cultura del progetto urbano, paesistico e territoriale
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
in redazione: Elena Bertani Oriana Codispoti
cittabenecomune@casadellacultura.it
powered by:
Le conferenze
2017: Salvatore Settis locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2018: Cesare de Seta locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2019: G. Pasqui | C. Sini locandina/presentazione
Gli incontri
- cultura urbanistica:
- cultura paesaggistica:
Gli autoritratti
2017: Edoardo Salzano 2018: Silvano Tintori
Le letture
2015: online/pubblicazione 2016: online/pubblicazione 2017: online/pubblicazione 2018: online/pubblicazione 2019: online/pubblicazione 2020:
A. Spaziante, L'urbano, tra complessità e pandemia, commento a: C.S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
A. Petrillo, La città che sale, commento a: C. Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)
A. Criconia, Pontili urbani: collegare territori sconnessi, commento a: L. Caravaggi, O. Carpenzano (a cura di), Roma in movimento (Quodlibet, 2019)
F. Vaio, Una città giusta (a partire dalla Costituzione), commento a: G. M. Flick, Elogio della città? (Paoline, 2019)
G. Nuvolati, Città e Covid-19: il ruolo degli intellettuali, commento a: M. Cannata, La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 (La nave di Teseo, 2020)
P. C. Palermo, Le illusioni del "transnational urbanism", commento a: D. Ponzini, Transnational Architecture and Urbanism (Routledge, 2020)
V. Ferri, Aree militari: comuni, pubbliche o collettive?, commento a: F. Gastaldi, F. Camerin, Aree militari dismesse e rigenerazione urbana (LetteraVentidue, 2019)
E. Micelli, Il futuro? È nell'ipermetropoli, commento a: M. Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino, 2019)
A. Masullo, La città è mediazione, commento a: S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
P. Gabellini, Suolo e clima: un grado zero da cui partire, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)
M. Pezzella, L'urbanità tra socialità insorgente e barbarie, commento a: A. Criconia (a cura di), Una città per tutti (Donzelli, 2019)
G. Ottolini, La buona ricerca si fa anche in cucina, commento a: I. Forino, La cucina (Einaudi, 2019)
C. Boano, "Decoloniare" l'urbanistica, commento a: A. di Campli, Abitare la differenza (Donzelli, 2019)
G. Della Pergola, Riadattarsi al divenire urbano, commento a: G. Chiaretti (a cura di), Essere Milano (enciclopediadelle donne.it, 2019)
F. Indovina, È bolognese la ricetta della prosperità, commento a: P. L. Bottino, P. Foschi, La Via della Seta bolognese (Minerva 2019)
R. Leggero, O si tiene insieme tutto, o tutto va perduto, Commento a: M. Venturi Ferriolo, Oltre il giardino (Einaudi, 2019)
L. Ciacci, Pianificare e amare una città, fino alla gelosia, commento a: L. Mingardi, Sono geloso di questa città (Quodlibet, 2018)
L. Zevi, Forza Davide! Contro i Golia della catastrofe, commento a: R. Pavia, Tra suolo e clima (Donzelli, 2019)
G. Pasqui, Più Stato o più città fai-da-te?, commento a: C.Cellamare, Città fai-da-te (Donzelli, 2019)
M. Del Fabbro, La casa tra diritto universale e emancipazione, commento a: A. Tosi, Le case dei poveri (Mimesis, 2017)
A. Villani, La questione della casa, oggi, commento a: L. Fregolent, R. Torri (a cura di), L'Italia senza casa (FrancoAngeli, 2018)
P. Pileri, Per fare politica si deve conoscere la natura, commento a: P. Lacorazza, Il miglior attacco è la difesa (People, 2019)
W. Tocci, La complessità dell'urbano (e non solo), commento a: C. S. Bertuglia, F. Vaio, Il fenomeno urbano e la complessità (Bollati Boringhieri, 2019)
S. Brenna, La scomparsa della questione urbanistica, commento a: M. Achilli, L'urbanista socialista (Marsilio, 2018)
L. Decandia, Saper guardare il buio, commento a: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l'Italia (Donzelli 2018)
I post
|