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Questa mattina Rossana Rossanda ci ha lasciato. A 96 anni, dopo una vita tutta segnata dall'impegno pubblico. Non aveva neppure vent'anni quando entrò nella Resistenza nelle formazioni comuniste. Dopo la guerra si immerse per un breve periodo nella vita universitaria dove le si stava aprendo una brillante prospettiva, ma sarà proprio il suo maestro, Antonio Banfi, a spingerla in altra direzione. A soli 27 anni, nel 1951, venne incaricata di dirigere la Casa della Cultura di Milano: da allora non lascia più l'impegno pubblico, prima come protagonista della vita culturale, poi come dirigente politica, come giornalista, come saggista di successo.
I primi commenti che sono apparsi in giornata sottolineano aspetti diversi della vita e della personalità di Rossanda. Tutti leciti: in un protagonismo durato oltre settant'anni si possono individuare tanti ruoli diversi coperti con grande autorevolezza. C'è chi la ricorda come fondatrice del Manifesto, prima rivista, poi giornale e poi, ancora, formazione politica. C'è chi la ricorda come riferimento decisivo del movimento femminista. Altri ancora stanno mettendo l'accento sul suo ruolo di eminente esponente del pensiero marxista e della cultura di sinistra. Ognuna di queste sottolineature coglie un aspetto di verità: in oltre settant'anni Rossanda ha svolto brillantemente tutte queste funzioni.
A me sembra doveroso ricordare più puntualmente gli anni in cui venne chiamata a dirigere la Casa della Cultura. Era un momento difficilissimo per la sinistra, disastrosamente sconfitta alle elezioni del 1948, in difficoltà nel clima incandescente della guerra fredda. A Rossanda venne chiesta una cosa ben precisa: aiutare a rompere l'isolamento politico e culturale delle sinistre e dei comunisti.
Era un'impresa difficilissima, ma Rossanda per dodici lunghi anni usò il meglio delle sue energie per raggiungere questo obiettivo. Con risultati che, a detta di tutti, furono brillanti, perfino sorprendenti.
Il centro culturale milanese, appena trasferito nella nuova sede di via Borgogna, allora un semplice scantinato nel cuore di Milano, dopo tre anni di impasse e di silenzio recuperò rapidamente un ruolo prestigioso nel dibattito pubblico milanese e italiano. Sotto l'abile regia di Rossanda cominciarono a scendere le scale di via Borgogna i più prestigiosi studiosi progressisti di Europa e si incrociarono le voci di tutti gli esponenti della sinistra e del mondo laico. Apertura, curiosità, sguardo critico sommati a rigore scientifico e passione ideale diventarono rapidamente il tratto distintivo della Casa della Cultura milanese. In un'epoca di conformismo e di rigidità ideologiche in Casa della Cultura si parlava un altro linguaggio e la città reagiva sorpresa, incuriosita e affascinata.
Alle voci degli studiosi comunisti si aggiunsero e sovrapposero quelle di Musatti, di Fortini, di Vittorini, di Calamandrei, di tanti altri.
La Casa della Cultura divenne il luogo del dissenso nel fatidico 1956, al tempo dell'Ungheria, il centro in cui si discuteva con Sartre e si studiava seriamente, in un famoso ciclo di lezioni, il Capitale di Marx, la sede in cui si organizzavano, dopo la rivolta giovanile del 1960, lezioni sull'antifascismo talmente affollate che dovettero venire trasferite in un grande teatro.
Al fondo Rossanda stava trasportando e facendo vivere nella vita pubblica cittadina la grande lezione del suo maestro, di Antonio Banfi. Il razionalismo critico di Banfi diventava con Rossanda vita culturale pulsante: uno stile culturale che staccava profondamente rispetto al clima circostante. Sarà la stessa Rossanda a ricordarlo e a sottolinearlo nel 1965, in un lungo e impegnativo articolo su Rinascita in cui sottolinea la particolarità, anzi la diversità dell'impostazione milanese rispetto a quella romana. Alla grande scuola storicista meridionale Milano con Banfi e Rossanda rispondevano con lo sguardo indagatore del razionalismo critico, con l'apertura al pensiero scientifico, con il confronto duro ma diretto con la modernità.
Fu un'operazione penetrante, condotta da Rossanda con mano ferma e duttile al contempo, Qualcuno, che visse quella stagione, in una riflessione retrospettiva, ha detto che quegli anni di direzione della Casa della Cultura furono "il capolavoro" di Rossanda. Di certo fu una stagione felice. Anche perché non si esaurì e non si interruppe quando Rossanda venne chiamata a Roma a dirigere la Commissione culturale del PCI. Il prestigio accumulato negli anni di direzione di Rossanda aiutarono la Casa della Cultura a superare tante prove successive. Al punto che oggi, in questo autunno del 2020, possiamo constatare che la Casa della Cultura, "la mia ex Casa della Cultura" come ha scritto affettuosamente la stessa Rossanda in una nota indirizzata a chi scrive, è rimasto l'unico centro culturale di quella lontana stagione che continua a svolgere orgogliosamente la sua funzione.
L'ispirazione di Rossanda continua ad animare e ad attraversare la Casa della Cultura. Per questo la ricorderemo nei prossimi giorni in via Borgogna con l'impegno che merita una persona a cui siamo molto debitori.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 20 SETTEMBRE 2020 |