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I CORPI SOCIALI NEL DISEGNO ISTITUZIONALE


Considerazioni finali della giornata di studi. Bologna 8/06/2015






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   I corpi sociali sono territoriali, oppure le organizzazioni degli interessi, oppure ancora i movimenti politici d'opinione, oppure le formazioni one issue, o infine il terzo settore. Inserirli all'interno delle istituzioni di uno Stato moderno è un'impresa improba, e non solo perché alcuni non lo chiedono, e neppure perché quando lo si tenta (come nel caso delle istituzioni terrioriali italiane nella Costituzione riformata) lo si fa piuttosto male. Il motivo non è contingente ma sostanziale. L'essenza istituzionale della modernità è infatti duplice: in primo luogo, è centrale logicamente l'unità politica, la costruzione della sovranità; in secondo luogo, lo strumento di questa costruzione unitaria è prevalentemente la rappresentanza, che non può non essere a base individuale. Sono i singoli che votano, dotati di diritti, di opinioni, di ideologie, di interessi; i singoli come atomi, e non i gruppi.  

    Già non è stato semplice accettare i partiti all'interno dell'unità politica - le posizioni più radicalmente unitarie, o più democratiche, come in Rousseau, non li ammettono, in quanto 'fazioni '; e perfino in Inghilterra, loro patria, i partiti  vengono legittimati dalla filosofia politica e giuridica solo nella seconda metà del Settecento -; in ogni caso, oggi, la loro parabola, che ha toccato l'apogeo nei cent'anni che vanno dal 1890 al 1990, è ormai nella fase cadente.  E quando pure hanno costituito il nerbo della politica sono stati 'parti generali', ovvero hanno riprodotto in sé le medesime logiche unitarie dello Stato; e certamente hanno sempre preteso di risolvere e mediare in sé le ragioni dei corpi intermedi, stabili o volatili che siano, ai quali si lasciava piena cittadinanza nella sfera  sociale ed economica, ma la cui rappresentanza politica passava attraverso il partito (il nesso fra Pci, Cgil, Cooperative, Arci, ecc. è emblematico; ma lo stesso si deve dire sul versante della Dc). Altro discorso è, evidentemente, quello che riguarda i movimenti politici extraparlamentari, i quali però o si sono parlamentarizzati o hanno vissuto, almeno finora, vite politiche intense ma brevi. Insomma, lo si ribadisce, la democrazia rappresenta agevolmente il pluralismo delle opinioni individuali, o delle opzioni ideologiche dei movimenti (se questi vi acconsentono) o dei partiti (e anche questi, non a caso, sono riferiti nell'articolo 49 al diritto soggettivo dei cittadini alla libera associazione), ma solo indirettamente riesce a rappresentare interessi collettivi e corpi sociali organizzati. Non a caso nella nostra costituzione il CNEL è risultato assai poco vitale, tanto da essere stato agevolmente abolito nel testo riformato.

   Chi ha scommesso contro la rappresentanza individuale, e al tempo stesso contro i partiti, come il fascismo, ha dato con le corporazioni rappresentanza politica diretta ai corpi sociali, credendo di essere così più aderente al vero delle liberaldemocrazie; ma la violenza, l'autoritarismo, l'artificiosità, la rigidità della soluzione proposta l'hanno affossata e resa per sempre improponibile. 

    Di fatto, i corpi sociali intermedi hanno espresso la loro intrinseca politicità all'interno del compromesso fra Stato e partiti nella stagione 'socialdemocratica ', finché questa è stata viva e vitale; oppure hanno trovato e ancora trovano collocazione nelle architetture dell'ordoliberalismo tedesco, in cui banche e imprese, sindacati e associazioni datoriali si intrecciano in mille modi (fra i quali la cogestione o Mitbestimmung) in una cornice complessa fatta di rappresentanza partitica (Bundestag) e territoriale federale - riferita ai governi  dei Länder e non alle assemblee (Bundesrat) -. La via tedesca valorizza istituzionalmente i corpi intermedi in un quadro organico di stabilità, di collaborazione e di efficienza, che risponde alla peculiare storia della Germania. 

   Una terza via consiste poi nel lasciare i corpi sociali sul libero mercato dell'influenza politica, organizzati in movimenti più o meno incisivi e visibili, o, nel caso degli interessi economici, in lobbies o in altre realtà che non desiderano essere rappresentate politicamente ma che cercano di influenzare direttamente i decisori politici. Una via 'anglosassone', che finora non ha incontrato la sensibilità dell'opinione pubblica italiana e che esige in ogni caso un'attenta legiferazione.

  I problemi dell'Italia di oggi nascono dal fatto che nessuno di questi paradigmi  è ora vigente. Tramontato da tempo il modello vetero-corporativo, il modello partitico socialdemocratico non è più vigente per la scomparsa dei partiti, il modello tedesco è appunto lontanissimo dalla esperienza italiana, e così dicasi di quello lobbistico. Dopo la rivoluzione neoliberista degli anni Settanta e Ottanta (dovuta non solo all'innovazione tecnica dell'elettronica, né solo allo shock petrolifero, ma a un vero cambio di paradigma culturale, economico e politico, appunto il neoliberismo), dopo la costruzione dell'euro, impostata a Maastricht e perseguita per tutti gli anni Novanta (il cui esito è che lo Stato e le parti sociali sono stati privati del potere di determinare la politica economica e monetaria del Paese),  il problema che si pone con particolare urgenza è come reagire alla tentata privatizzazione del  lavoro e di tutta la materia economica, sottratta alla rilevanza pubblica e politica a cui invece la destina la Costituzione (che infatti fonda la Repubblica sul lavoro). E in parallelo come valorizzare la pur debole politicità che, rifluita fuori degli spenti partiti e delle  fragili istituzioni, permea di sé i movimenti sociali più chiaramente politici, volti a ricostruire momenti di aggregazione, di partecipazione e di messa in rete di esperienze e di istanze. 

    Questo convegno non è dedicato ai corpi sociali più politicamente orientati (movimenti, ecc.): eppure, il lato politico e il lato economico della questione dei corpi sociali, pur distinti, hanno in comune la reazione, che pare necessaria, a una pretesa centrale del neoliberismo. La pretesa, cioè, che la società sia interamente omogenea e anzi mucillaginosa, composta - secondo la celebre affermazione della signora Thatcher -  non da corpi complessi in dialettica  ma da singoli individui o da famiglie.  Un continuum, insomma, fatto di soggetti che si credono concorrenziali - ma in realtà ugualmente subalterni, misurabili, valutabili, valorizzabili o svalorizzabili dalle tre facce del nuovo potere unico (economico-finanziario, politico-leaderistico, mediatico-intellettuale) -; da singoli, quindi, soli e in quanto tali incapaci  di identificare esistenzialmente e intellettualmente le strutture profonde del sociale, cioè le parti in cui la società si articola, e i loro conflitti. Insomma la  pretesa, con ogni evidenza ideologica (ovvero falsa: basti pensare che il più visibile effetto del neoliberismo è la produzione di un tasso di disuguaglianza mai visto da quasi un secolo), che la società sia liquida; e che le parti di cui eventualmente si presenta composta non siano che caste e corporazioni, nidi di privilegi e di resistenze contro quel salutare cambiamento che la politica deve perseguire, disgregandole per tenere fluido, efficiente, flessibile il movimento della produzione e del mercato.

      L'ideologia neoliberista, così,  oggi distingue i corpi sociali fra quelli che vengono fatti emergere per essere liquidati -  partiti, sindacati, caste, corporazioni - e quelli che invece restano sullo sfondo senza neppure essere nominati, le burocrazie, le tecnocrazie, le lobbies, i livelli opachi extranazionali dei poteri economici europei e planetari. Un'altra classe sono poi i corpi del terzo settore, che all'occorrenza possono essere utilizzati per realizzare la sussidiarietà - veto mantra antistatale dei  nostri decenni -; e un'altra, infine, sono i movimenti politici e d'opinione, peraltro non incentivati dal potere, che alla partecipazione preferisce l'apatia politica.

  Le soluzioni di alcuni di questi problemi italiani paiono essere le seguenti. Dapprima, il perseguimento di un modello anglosassone che lasci i corpi sociali misurarsi sul mercato dell'inflenza politica, regolamentato da una legge sulle lobbies. Meglio che nulla, certo (e anzi ipotesi necessaria per le organizzazioni d'opinione); ma è una soluzione che non modifica i rapporti di potere diseguali che si sono formati fino a ora a livello economico. 

   Un'altra soluzione proponibile è un nuovo compromesso socialdemocratico, a forte base partitica e statalistico-welfaristica: ipotesi illusoria, in realtà, perché implica l'esistenza di partiti dotati di una forza politica ora non immaginabile, e una presenza  dello Stato, insieme a una sua capacità  di spesa, che è poco probabile nell'Europa ordoliberista  in cui ci troviamo a vivere.

   Un'ulteriore soluzione può consistere nella convergenza dei corpi e degli interessi sociali su azioni volte alla tenuta e alla coesione territoriale - una volta preclusa la loro capacità di agire a livello nazionale centrale -. La costruzione, la manutenzione e l'implementazione del capitale sociale, umano, imprenditoriale, cognitivo, nei luoghi in cui esso si trova, tuttavia, ha come contropartita l'ovvia constatazione  che l'Italia, da questo punto di vista, è una realtà a macchia di leopardo. L'organicismo implicito in questa ipotesi sarebbe paradossalmente contraddetto dall'emergere di linee d'esclusione, da fratture nel corpo nazionale, da disuguaglianze crescenti.

    Infine, si può avanzare un'ultima ipotesi: che si costituisca un 'Partito del lavoro ', capace di interrompere la narrazione neoliberista dell'individualismo e della privatizzazione dell'economia;  un partito che porti alla luce le pluralità, le differenze, le contraddizioni che attraversano il corpo sociale, e che dia voce esplicitamente politica alla loro politicità implicita. Un partito che sia 'parte ' e che pertanto si contrapponga dialetticamente ad altre 'parti ', così che stia nel conflitto (del tutto fisiologico, in verità, all'interno delle democrazie) e non nell'organizzazione e nell'organicismo, la soluzione della questione dei corpi sociali. Una soluzione  politica prima che istituzionale, quindi, non priva di efficacia (come ha dimostrato la recente vicenda dei professori di scuola), e soprattutto una soluzione non ipocritamente orientata a negare la possibilità del conflitto - una negazione che è in verità, di per sé, un atto ultra-conflittuale - ma anzi realistica e al contempo capace di portare la tensione alla giustizia all'interno di una società che ne ha molto bisogno e che, non imbattendosi ormai neppure nella parola, si consegna sempre più all'apatia rassegnata o alla rabbia estremistica.

 


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25 GIUGNO 2015

Considerazioni finali della giornata di studi

'I corpi sociali nel disegno istituzionale '

Bologna 8 giugno 2015

Organizzata da

Ripensare la cultura politica della sinistra

 

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