Pino Landonio  
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COSA NON HA FUNZIONATO IN LOMBARDIA


Dal primo errore, una catena di negligenze non solo sanitarie



Pino Landonio


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Sarà necessario ripensare in profondità a cosa non ha funzionato nella sanità lombarda alla luce dei dati davvero sconvolgenti della prima fase della pandemia. Una analisi che dovrà partire da lontano. In primo luogo dalle scelte di Formigoni: immettere molto privato nella sanità togliendo risorse al pubblico; puntare tutto sugli ospedali (pubblici o privati che fossero) indebolendo così il territorio; non incentivare i medici di medicina generale a lavorare in associazione e con modalità più utili ai cittadini; non valorizzare la figura dell’infermiere di prossimità; non promuovere le “case della salute” o altri presidi territoriali che facessero da filtro prima dei pronto soccorso ospedalieri (non a caso sovraffollati in questi anni e all’inizio di questa drammatica vicenda). Ma anche dalle scelte più recenti (Giunta Maroni) di smantellare le ASL, sostituendole con le ATS (Agenzie di Tutela della Salute) e assegnando alle Aziende Ospedaliere (ASST) la gestione dei servizi territoriali, abolendo di fatto i distretti e depotenziando i servizi di prevenzione. Per arrivare, infine, alle stesse delibere sulla cronicità dell’attuale giunta Fontana, che hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza in mancanza di un supporto adeguato dell’assetto territoriale.

Ma andranno anche esaminate (al di là della indagine giudiziaria in corso) le responsabilità specifiche che l’attuale Giunta ha manifestato nel corso della pandemia. Intendiamoci: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Errori, di comunicazione e non solo, sono stati fatti da tutte le parti. E tuttavia le responsabilità della Regione Lombardia sono state troppo evidenti per poter essere taciute.

Una brava giornalista, Francesca Nava, in un libro da poco pubblicato da Laterza (Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale) ha cercato di ricostruire quanto avvenuto tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo. Da alcuni giorni, sull’onda della scoperta del cosiddetto “paziente zero ” (Mattia Maestri), a Codogno era stata imposta la zona rossa. Ma i dati inconfutabilmente a disposizione della regione già documentavano che la diffusione dei contagi era molto più vasta e che in particolare nella zona di Alzano e Nembro la crescita era esponenziale. Questo fin dal 29 febbraio. Ebbene, la Regione che più si è battuta per rivendicare la propria autonomia, si è limitata a demandare ogni decisione al Governo, per non scontentare il mondo imprenditoriale che temeva molto il lockdown in quella zona (è quello che sostiene la giornalista nel suo libro). Un’area, va detto, da cinque miliardi di fatturato annuo, con oltre duemila aziende e quasi trentamila addetti. Il mito della Regione che non si ferma, che non si può fermare, ha finito per prevalere sulle precauzioni di carattere sanitario. Si è così dovuto attendere il 9 marzo perché fosse il Governo a prendere la decisione del lockdown generale, superando la decisione parziale assunta poco prima della Lombardia tutta “zona arancione”.

Altro che accusare il Governo di aver tenuto nascosti i dati della pandemia. Le autorità lombarde erano perfettamente a conoscenza della gravità della situazione e, al contrario di altre Regioni che hanno autonomamente preso la decisione di creare “zone rosse”, non si sono prese la responsabilità di farlo, trincerandosi dietro l’incredibile ammissione dell’assessore Gallera: “Non sapevamo di poterlo fare”…

Questo al netto di tutte le altre carenze manifestate dalla Regione: la debolezza del proprio assetto territoriale, le carenze preventive, il numero inadeguato dei tamponi in rapporto alla popolazione, i tracciamenti del tutto insufficienti, l’aver caricato in ultima analisi gli ospedali ( fiore all’occhiello della regione ) di un onere insostenibile. Per non parlare delle Rsa, lasciate sole e della decisione di ricoverare in esse pazienti covid. O della creazione dell’ospedale in fiera che ha prodotto solo costi e nessun risultato.

Ma il rimpallo di responsabilità sul Governo e l’incapacità o la non volontà di decidere quando c’era la possibilità e la necessità di farlo, è qualcosa di ancora più grave. E il duo Fontana-Gallera ne porta specifiche e inequivocabili responsabilità.

 

Pino Landonio
Nato nel 1949, padre di due figli e nonno di 5 nipoti. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1973, e specializzato in Ematologia (1978) e in Oncologia (1986). Ha lavorato come ematologo e poi come oncologo all’Ospedale Niguarda, dal 1975 al 2006. Dal 2005 al 2010 è stato Consigliere Comunale a Milano. Dal 2011 collabora con l’Assessorato al Welfare del Comune di Milano e coordina, a Palazzo Marino, l’iniziativa “Area P” (incontri mensili di poesia). Ha pubblicato, per Ancora, due raccolte di “Dialoghi immaginari” con 50 poeti di tutti i tempi e paesi (2015 e 2017) e “Guarda il cielo”(30 racconti, 2016).(ndr)


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07 OTTOBRE 2020