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Non poteva mancare nell’ultima lettera enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, un chiaro riferimento alla pandemia in corso. Va detto che si tratta di un testo complesso, che non mancherà di far discutere, soprattutto per i richiami alle situazioni politiche di maggiore attualità: ma non è in questo campo che voglio addentrarmi, lasciando ad altri esegeti l’analisi e gli approfondimenti necessari (perché non a Ferruccio Capelli, che potrà commentare le pagine dell’Enciclica relative ai populismi alla luce dei contenuti del suo bel libro “Il Futuro addosso”, Guerini e Associati, 2018?). Mi limito a sottolineare quanto scritto dal Pontefice sulla pandemia.
A cominciare dalla premessa: “Proprio mentre stavo scrivendo questa lettera, ha fatto irruzione in maniera inattesa la pandemia del Covid-19, che ha messo in luce le nostre false sicurezze. Al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme. Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti. Se qualcuno pensa che si trattasse solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti,sta negando la realtà”. Dunque un richiamo alle contraddizioni che hanno attraversato il mondo intero (e anche il nostro Paese) rispetto all’impatto della pandemia e alle risposte necessarie. Ma è solo l’inizio del ragionamento.
Più avanti: “Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme. Per questo ho detto che «la tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. […] Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli». Il testo appare qui in contraddizione con quanto affermato in premessa: ma è solo la contraddizione tra la percezione di globalità che la pandemia ha portato e le risposte “localiste” che sono state portate avanti. Una contraddizione tra il pensare e l’agire che è propria del genere umano.
“Il mondo avanzava implacabilmente verso un’economia che, utilizzando i progressi tecnologici, cercava di ridurre i “costi umani”, e qualcuno pretendeva di farci credere che bastava la libertà di mercato perché tutto si potesse considerare sicuro. Ma il colpo duro e inaspettato di questa pandemia fuori controllo ha obbligato per forza a pensare agli esseri umani, a tutti, più che al beneficio di alcuni. Oggi possiamo riconoscere che «ci siamo nutriti con sogni di splendore e grandezza e abbiamo finito per mangiare distrazione, chiusura e solitudine; ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità. Abbiamo cercato il risultato rapido e sicuro e ci troviamo oppressi dall’impazienza e dall’ansia. Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà». Eccolo il cuore del pensiero del pontefice: la discrasia tra le esigenze di solidarietà e condivisione che la pandemia impone, e i comportamenti delle singole comunità, in cui prevalgono gli interessi “particolari”. Una discrasia che rischia oggi di ampliarsi rispetto a come si potrà uscire dalla pandemia: la chiusura delle frontiere, le diverse procedure di lockdown, i differenti metodi di cura, le lotte per l’accaparramento dei vaccini.
E ancora: “Il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l’appello a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza. Se tutto è connesso, è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste. Non voglio dire che si tratta di una sorta di castigo divino. E neppure basterebbe affermare che il danno causato alla natura alla fine chiede il conto dei nostri soprusi. È la realtà stessa che geme e si ribella. Viene alla mente il celebre verso del poeta Virgilio che evoca le lacrimevoli vicende umane. Velocemente però dimentichiamo le lezioni della storia, «maestra di vita»”. È forte ed evidente il richiamo ai contenuti della precedente lettera enciclica, la “Laudato sì”, in cui l’analisi dei danni compiuti contro la “natura”, il creato, tutto quello che ci circonda, si univa a uno straordinario richiamo alla esigenza di modificare i nostri stili di vita.
Infine: “Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”. Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare. Che non ci dimentichiamo degli anziani morti per mancanza di respiratori, in parte come effetto di sistemi sanitari smantellati anno dopo anno. Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato. Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto. Inoltre, non si dovrebbe ingenuamente ignorare che «l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca». Il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia”
La lezione di Papa Francesco si fa accorata e quasi dolente. Da “profeta disarmato” verrebbe da dire. Eppure la strada non può essere che quella. Sia per i cattolici credenti (ma esistono ancora?) che per i laici (quelli che una volta si chiamavano “uomini di buona volontà”). Il pontefice disarmato lancia a tutti una sfida e offre a tutti una scialuppa di salvataggio. Sapremo raccoglierla?
Pino Landonio
Nato nel 1949, padre di due figli e nonno di 5 nipoti. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1973, e specializzato in Ematologia (1978) e in Oncologia (1986). Ha lavorato come ematologo e poi come oncologo all’Ospedale Niguarda, dal 1975 al 2006. Dal 2005 al 2010 è stato Consigliere Comunale a Milano. Dal 2011 collabora con l’Assessorato al Welfare del Comune di Milano e coordina, a Palazzo Marino, l’iniziativa “Area P” (incontri mensili di poesia). Ha pubblicato, per Ancora, due raccolte di “Dialoghi immaginari” con 50 poeti di tutti i tempi e paesi (2015 e 2017) e “Guarda il cielo”(30 racconti, 2016).(ndr) © RIPRODUZIONE RISERVATA 15 OTTOBRE 2020 |