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COME REAGIRE ALLA SECONDA ONDATA?


Ciascuno di noi assuma le proprie responsabilità



Pino Landonio


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Qualcuno ha provato a raccontare così questa seconda ondata: è come quando, a scuola, dopo una interrogazione programmata di storia, per cui c’eravamo adeguatamente preparati, chiudevamo il libro; poi dopo qualche settimana, all’improvviso, una interrogazione a sorpresa, per cui non eravamo pronti. La conseguenza si può facilmente immaginare.

È quello che sta succedendo in questi giorni. C’eravamo illusi, nel giugno-luglio scorso che il peggio fosse passato, e abbiamo, tutti quanti, abbassato la guardia. Tutti, a cominciare dallo stesso Governo, che pure si era ben comportato nella prima fase, cedendo però alla pressione delle Regioni (che sono andate, va detto, in ordine sparso) per riaperture generalizzate, a cominciare dalle discoteche, dove il virus, guarda caso, è ripartito.

Ci si è concentrati sulla riapertura delle scuole: scelta certamente giusta e necessaria, e alla quale si è arrivati col fiatone, con molte cose ancora in fase di completamento (dagli organici ai banchi), ma comunque ripartendo alla data stabilita.

Ma il resto? Si sono accumulati ritardi imperdonabili, dalle scelte relative all’adeguamento dei trasporti all’approvvigionamento dei vaccini antiinfluenzali (con la Regione Lombardia un’altra volta maglia nera). Perfino nell’adeguamento delle strutture sanitarie alla possibile nuova emergenza non si sono fatti passi sostanziali in avanti: poco o nulla nel riassetto territoriale, nel potenziamento delle strutture preventive, nell’incremento dei letti e dei presidi di terapia intensiva. E men che meno l’attivazione del MES, che poteva consentire risorse indispensabili per affrontare l’attuale emergenza.

Ma, più in generale, si è manifestato un certo lassismo rispetto al mantenimento delle misure elementari di protezione, soprattutto tra i giovani, per i quali l’uso della mascherina appare ancora un optional più che una reale necessità.

Hanno pesato l’irresponsabile campagna negazionista, e l’atteggiamento di quei maitre a penser che hanno parlato a vanvera di un virus meno pericoloso se non “clinicamente morto”. Ma ha pesato ancora di più la convinzione, o la supponenza, di essere i migliori, di avere per primi ridimensionato il pericolo, e di essere ormai su una strada in discesa per vincere la battaglia contro il virus.

Oggi, per rimontare la china, servirà uno sforzo doppio, di tutte le istituzioni ma, soprattutto, di ciascuno di noi. Occorrerà innanzitutto tenere ben d'occhio le variazioni, anche puntuali, dell'Rt, ossia dell'indice di contagiosità, che attualmente è superiore a 1 in tutte le Regioni: questo significa che ogni contagiato è in grado di contagiare almeno un'altra persona, e che l'infezione è destinata ad espandersi (sarebbe il contrario se l'Rt scendesse al di sotto dell'unità, come è stato nei mesi di giugno, luglio e agosto scorsi).

In base alle variazioni potenziali dell'Rt, sia nazionale che regionale, e alla sua persistenza nel tempo, l'Istituto Superiore di Sanità ha delineato quattro possibili scenari.

Il primo, ahimè ormai superato, considera lo scenario della scorsa estate: in questo caso nessuna misura sarebbe necessaria oltre quelle "solite" (distanziamento, mascherine, lavaggio delle mani, disinfezione degli ambienti chiusi).

Lo scenario due, che è sostanzialmente quello attuale, prevede un Rt tra 1 e 1.25 per periodi superiori al mese. In questo caso viene raccomandata la chiusura dei locali notturni, bar e ristoranti in specifici orari, possibili chiusure “mirate” di scuole e università, limitazioni della mobilità fino alla introduzione di vere e proprie zone rosse localizzate.

Il terzo scenario prevede un Rt tra 1.25 e 1.50: dopo due-tre settimane di tale diffusione sarebbe necessario procedere a lockdown localizzati istituendo zone rosse nelle aree di maggior focolaio. In esse dovrebbero essere sospese tutte le attività sociali e sportive, e anche alcune attività produttive. Bloccata la mobilità regionale e previsti interventi sulle scuole come la rotazione delle classi, le attività a distanza, fino alla chiusura totale nelle aree più colpite.

Infine il quarto scenario che, mi auguro, non si debba mai ripresentare: un indice Rt superiore a 1.5 anche per poche settimane dovrebbe portare a un nuovo lockdown generalizzato, della durata imprevedibile, ma con le conseguenze sanitarie ed economiche facilmente ipotizzabili.

E dunque? Ha scritto sulla Stampa il suo direttore, Massimo Giannini, che ha conosciuto sulla propria pelle l’infezione da Covid, passando per la terapia intensiva, e che oltre raccontare la grande paura, l’affollamento crescente di malati Covid, i nuovi sacrifici, e i rischi, del personale sanitario in prima linea, ha concluso dicendo che “se vogliamo contenere il virus, dobbiamo cedere quote di libertà”.

Che, poi, vuol dire assumere, ciascuno di noi, le proprie responsabilità: dobbiamo capire che, in attesa di un vaccino che non sarà disponibile, su larga scala, prima della prossima primavera, dobbiamo prepararci a mesi di resistenza “civile”: non necessariamente duri, ma certamente più seri di quelli che abbiamo alle spalle

 

Pino Landonio

Nato nel 1949, padre di due figli e nonno di 5 nipoti. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1973, e specializzato in Ematologia (1978) e in Oncologia (1986). Ha lavorato come ematologo e poi come oncologo all’Ospedale Niguarda, dal 1975 al 2006. Dal 2005 al 2010 è stato Consigliere Comunale a Milano. Dal 2011 collabora con l’Assessorato al Welfare del Comune di Milano e coordina, a Palazzo Marino, l’iniziativa “Area P” (incontri mensili di poesia). Ha pubblicato, per Ancora, due raccolte di “Dialoghi immaginari” con 50 poeti di tutti i tempi e paesi (2015 e 2017) e “Guarda il cielo”(30 racconti, 2016).(ndr)


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06 NOVEMBRE 2020