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METAMORFOSI


L'Italicum e le trasformazioni, intenzionali e non, che produce






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 Non le favole di Ovidio, né l'incubo di Kafka, né la straziante malinconia di Richard Strauss. Si tratta in realtà della nostra legge elettorale, unica al mondo: come la pietra filosofale, genera metamorfosi perché sa operare molte trasformazioni - intenzionali e non intenzionali -. Ma a differenza di quella, ciò che tocca non diventa oro.

 

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   1. La prima trasformazione è che la minoranza diventa maggioranza, o con un premio (meglio definirlo di minoranza) o con un ballottaggio. E non è una trasformazione da poco: la quantità non trapassa in qualità gradatamente, ma con un salto, con un miracolo; resta se  stessa (minoranza) e al contempo diviene altro da sé (maggioranza). Vi è grande differenza tra questa legge premiale e l'effetto maggioritario dei collegi uninominali: mentre questi esprimono la volontà di un corpo elettorale già organicamente modellato in se stesso (in collegi uninominali, appunto) in modo tale da produrre (non necessariamente, certo) una maggioranza, l'Italicum prevede invece una secca aggiunta di seggi rispetto al risultato ottenuto col proporzionale.

 

    2. Ciò risponde all'esigenza che la maggioranza si produca necessariamente - sulla base dell'assioma, ovviamente indimostrato (e accettato nell'ambito bersaniano prima ancora che in quello renziano), che la sera delle elezioni gli italiani hanno il diritto di sapere chi governa -; questa (pseudo)esigenza è l'origine della seconda trasformazione prodotta da questa legge. La trasformazione della mediazione in immediatezza,  della politica da processo (che implica tempo, costruzione di coalizioni, o di alleanze e di programmi) in spot e in blitz; la virtù politica non è più la prudenza ma la velocità, non la pazienza ma l'impazienza (anche come 'insofferenza'). Questa legge accarezza così la pulsione popolare all'antipolitica, benché proclami di volerla contrastare,  proprio perché  riduce la politica al minimo indispensabile, a una parentesi elettorale dal risultato comprensibile, semplice e garantito; l'obiettivo (non detto) è che sia possibile dimenticarsene al più presto, e lasciarne l'esercizio al ceto politico eletto - non nel senso di 'scelto' ma nel senso di 'votato' -. 

 

    3. Rientra in questa logica anche il fatto che la possibilità di scelta da parte dell'elettore sia ridotta, e che molti deputati saranno frutto di una scelta verticale dei partiti, ratificata dall'elettorato. Che i deputati siano (per lo più) trasformati in nominati ha lati positivi (solo così possono entare in Parlamento i membri delle élites non politiche) e negativi (lo strapotere delle segreterie dei partiti si perpetua). Si deve dire, però, che questa trasformazione è di rilievo minore rispetto a quelle che seguono, riguardanti il quadro politico e il ruolo del Parlamento nel sistema politico.

 

    4. La quarta trasformazione si realizza quando vi è un vincitore al primo turno. Nelle condizioni attuali, solo il Pd è in grado di superare il 40% dei voti espressi (ma quanti saranno, questi, rispetto all'intero corpo elettorale? Sarà vero, insomma, che gli aspetti di impazienza contenuti nella legge riavvicineranno, sia pure cursoriamente, i cittadini alla politica?); l'abbassamento delle soglie d'ingresso e il premio alla lista creeranno una situazione in cui un grande partito della nazione (un partito pigliatutto) regnerà indisturbato in un panorama di arboscelli (partiti del 15-20%, antisistema come la Lega e il M5S, ma anche Fi) o di arbusti non apparentabili (come rischia di essere il campo della sinistra extra-Pd). Il bipolarismo (mantra della seconda Repubblica e del primo Italicum) è trasformato in monopartitismo, nello stile della prima Repubblica. Con la differenza fondamentale che la nuova Dc non opererà alcuna mediazione nei territori (dove già ora si presenta spesso come 'partito in franchising', come sigla a disposizione dei più diversi gruppi d'interesse e delle più diverse formazioni locali, anche impresentabili), e che al centro ricompone l'unità politica non grazie a una variegata classe dirigente ma grazie a un Capo e alla sua capacità di dialogo mediatico con i cittadini. 

 

    5. Se il vincitore non si determina al primo turno, avremo poi un'altra trasformazione, la quinta: ovvero, il secondo turno si trasforma in ballottaggio. Ciò che ha un senso circoscritto e quindi sobriamente politico quando si svolge all'interno di un singolo collegio, si trasforma su scala nazionale in un plebiscito, o in un duello all'ok Corral, in una sfida fra due leader. L'intensificazione della politica si dà insieme alla sua semplificazione spettacolare e alla sua verticalizzazione.

 

    6. In entrambi i casi (primo turno o ballottaggio) avrà luogo la sesta trasformazione (in realtà duplice), che investe il partito vincitore, il quale da  poco più che comitato elettorale  verrà trasformato in quasi solitario dominus della Camera. Ma la sua natura inconsistente sotto il profilo identitario e ideologico, la sua ondivaga collocazione sociale, nonché la modalità di composizione delle liste, faranno al tempo stesso di questo 'padrone' del legislativo un 'servitore' del vero Capo della politica italiana, cioè del presidente del Consiglio, il leader della lista vittoriosa (che il Capo dello Stato non potrà non incaricare di formare il governo). 

 

    7. Tutto ciò nasce dalla settima trasformazione - la prima, da un punto di vista logico - realizzata dall'Italicum: la legge elettorale non è più una legge neutra (non che lo fosse il Porcellum; erano però neutri tanto il proporzionale quanto il Mattarellum) ma supremamente politica (in parallelo, la riforma costituzionale politicizza le istituzioni, che divengono la posta in palio delle elezioni, mentre dovrebbero essere l'arena neutrale in cui agiscono i soggetti politici; mentre la riforma della Pa introduce lo spoil system nelle alte fasce della burocrazia). Questa trasformazione è stata resa manifesta quando sulla legge elettorale il governo ha posto la questione di fiducia, con una mossa che ha due soli precedenti:  la legge Acerbo (1923), e la cosiddetta 'legge truffa ' (1953), che meritano una considerazione ravvicinata.

   -- La prima  (legge 18 dicembre 1923, n. 2444) fu approvata alla Camera il  21 luglio 1923, dopo la posizione della questione di fiducia (al governo Mussolini la Camera aveva rifiutato l'anno prima la delega in materia elettorale). Lo scoglio più grande per il governo  fu il superamento dell'opposizione dei popolari, proporzionalisti, che avvenne grazie a una spaccatura fra destra e sinistra del Ppi, alla quale non fu estraneo l'allontanamento di don Sturzo dal partito, avallato dal Vaticano. Al Senato la legge fu approvata il  14 novembre. La legge intendeva superare la frammentazione politica nata dall'introduzione del proporzionale, nel 1919, e prevedeva un sistema maggioritario plurinominale in un collegio unico nazionale, suddiviso in sei circoscrizioni nelle quali ciascuna lista presentava candidati che potevano essere scelti con le preferenze. La lista vincitrice,  che avesse conseguito almeno il 25% dei voti validi, avrebbe ottenuto 2/3 dei 535 seggi, pari a 356; mentre gli altri 179 sarebbero stati divisi tra le altre liste, col sistema proporzionale. La   'legge Acerbo ' fu applicata solo nelle elezioni del 6 aprile 1924, che - con innumerevoli violenze e brogli - vide l'affermazione nettissima del 'listone ', la Lista Nazionale in cui insieme al PNF era confluita la destra nazionalista, liberale e cattolica, mentre le altre forze politiche non formarono un cartello elettorale alternativo. 

     La cosiddetta 'legge truffa ', poi, si differenziava dalla legge Acerbo, e anche dall'Italicum, perché prevedeva, in un impianto proporzionale, un premio di maggioranza alla Camera, per accedere al quale un partito o una coalizione dovevano ottenere il 50% più uno dei voti validi; in tal caso, avrebbero avuto diritto al 65% dei seggi. Alla Camera la legge fu proposta da Scelba e fu discussa dall'inizio di dicembre 1952 al 21 gennaio 1953, fra l'ostruzionismo delle minoranze di destra e di sinistra. Durante l'approvazione De Gasperi - che voleva servirsi della legge per le elezioni imminenti - pose la fiducia sulla parte non ancora esaminata; al momento della votazione l'opposizione lasciò l'aula. Al Senato la fiducia fu posta fin da subito, e a causa di essa si dimisero due presidenti, Paratore e Gasparotto, finché il nuovo presidente, Ruini,  riaprì la seduta durante la sospensione della domenica delle Palme (29 marzo) del 1953, quando in un inverosimile tumulto scatenato dal Pci la legge fu approvata. Il presidente Einaudi la promulgò il 31 marzo come  legge n. 148/1953.  Alle elezioni del 7 giugno le forze centriste apparentate ottennero il 49,8% dei suffragi: per circa 54.000 voti il meccanismo previsto dalla legge non scattò. Il 31 luglio 1954 la legge fu abrogata, lasciando dietro di sé uno strascico di gravissima conflittualità politica.--

    Naturalmente, l'Italicum è assai diverso dalla legge Acerbo perché prevede una soglia a cui scatta il premio, per l'entità di questo, oltre che per numerose altre tecnicità; e perché il suo intento esplicito non è di instaurare un regime, ma garantire la governabilità. Ed è diverso anche dalla 'legge truffa ', perché non richiede, per assegnare il premio, il 50% più uno dei voti. Ma ha in comune con queste leggi l'idea che l'elezione sia trasformabile dal governo, attraverso una legge, da espressione della sovranità popolare a variabile di una tattica politica che la trascende, al fine di realizzare la stabilità politica: le esigenze di Mussolini erano di dare legittimità formale alla sua presa del potere e di stringere  alleanze organiche con le forze reazionarie, mentre De Gasperi e Scelba volevano blindare il centrismo per non dovere aprire né alla destra, come invece avvenne sporadicamente nella seconda e nella terza legislatura, né alla sinistra, come avvenne  nella quarta con i governi di centrosinistra. La 'legge truffa ', così, avrebbe alterato il corso storico della politica italiana.

     In un contesto assai diverso, anche l'Italicum è una legge molto divisiva (a essa è stata sacrificata anche l'unità del Pd, oltre che l'alleanza con Fi) e radicalmente 'di sistema', in quanto plasma - per quanto può una legge elettorale - il potere legislativo, e (in sinergia con la riforma costituzionale) l'intero quadro politico, nell'interesse (in questo caso democratico) dell'esecutivo e della sua strategia.  

 

   8. Questo interesse è l'ottava trasformazione in cui la legge elettorale è coinvolta (insieme alla legge di riforma della costituzione), e ne esprime il significato politico. Il combinato disposto di queste due riforme consegna l'intero sistema politico al vincitore delle elezioni: si tratta quindi della trasformazione della democrazia parlamentare in un premierato che, essendo di fatto privo di contrappesi politici, è in realtà una   'democrazia d'investitura rafforzata': infatti, il Senato riformato è politicamente inesistente; il potere del Capo dello Stato è una variabile che dipende dalla personalità di un singolo; la Corte Costituzionale è un contrappeso solo giudiziario. 

     Nessuna analogia è possibile fra il potere di questo Capo e il pur rilevante peso politico dei leader dei Paesi anglofoni, che è bilanciato politicamente: in Inghilterra il Primo ministro primeggia in un partito che ha autonoma consistenza e che non trae certo dal Capo la sua natura né la sua presa sulla società; negli Usa, poi, il presidente è in pratica eletto direttamente dal popolo, in parallelo rispetto a un parlamento - che in una delle due Camere, il  Senato, esprime l'articolazione federale della Nazione - che lungi dall'esserne subalterno fronteggia direttamente il potere presidenziale. 

 

    9. La natura parlamentare della repubblica - formalmente conservata - esce vulnerata dal combinarsi di questa legge elettorale con la riforma costituzionale: scomparso politicamente il Senato, una sola Camera, Montecitorio, sarà legata mani e piedi all'esecutivo - dapprima, al suo formarsi, in virtù delle dinamiche della legge elettorale, che produrrà moltissimi 'nominati'; in seguito, nell'esercizio delle sue funzioni, in virtù dell'obbligo di supportare il 'suo' governo, al quale è legata dalla fiducia, revocando la quale quasi sicuramente si suicida, facendo terminare la legislatura -. Il rapporto fra parlamento e governo (e il suo Capo) ricalca il modello del 'Sindaco d'Italia', appena mascherato: la stabilità (la governabilità) - che è l'obiettivo politico principale della legge e che fa premio sulla rappresentatività -  si trasforma in rigidità del sistema. Sarà rischiosissimo per la Camera esercitare la prerogativa sovrana, che formalmente le rimane, di far cadere il 'suo' governo e di esprimerne un altro. Perché ciò potesse avvenire sarebbe necessaria non certo una modifica del quadro di alleanze, resa impraticabile dalla circostanza che il partito vincitore ha il 55% dei seggi, ma addirittura una spaccatura di esso, o almeno una congiura di palazzo che scalzi il leader vincitore delle elezioni. 

    Nel nuovo modello politico che ci si prepara, il cambio di governo, a legislatura in corso, è una patologia e non una fisiologia. Così come è patologico che il governo incontri nella Camera una volontà sovrana che resiste alla sua.  

 

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    Fisiologici sono invece, nell'intento del legislatore, il grande conflitto elettorale da cui esce investito (o plebiscitato) il leader, e la seguente stabilità politica, garantita dal partito della nazione, la velocità della decisione del governo, la certezza della ratifica parlamentare: insomma, la semplificazione della politica.  Non rientrano insomma in questo nuovo modello politico la complessità e la politicità della società, la conflittualità fra interessi contrapposti, la dialettica fra le istituzioni e all'interno della Camera politica. Da una parte la legge elettorale (combinata con la riforma costituzionale) è iperpolitica (attraverso uno spettacolare scontro elettorale realizza una grande concentrazione  di potere nel leader vincitore), dall'altra è spoliticizzante (non vuole vedere né rappresentare la complessità e la contraddittorietà della società, che viene per di così messa ai margini - con un lieve miglioramento, da questo punto di vista, rispetto al primo Italicum che addirittura la cancellava -).

      La politica perde quindi spazio in larghezza orizzontale e ne acquista in verticalità; si abbrevia e si velocizza nel tempo, trasformandosi da processo in decisione; e si fa più pop (nel migliore dei casi; nel peggiore, populista) e meno popolare, più intensa ma meno partecipata; più rigida e meno elastica; più piegata verso l'assertività (non diciamo l'autoritarismo) che verso il dialogo politico (non di facciata) fra soggetti diversi. La coalizione fra partiti e il confronto aperto con le parti sociali sono sostituiti dal comando democratico.  Resta per ora non chiaro se questa trasformazione sia un inseguimento (o un accorto fiancheggiamento) dei processi economici o se riesca a dare alla politica una nuova efficacia ordinativa; mentre è certo che  le vecchie classi dirigenti hanno la punizione delle loro colpe, delle loro omissioni e cecità; che gli interessi forti interni e internazionali sono più garantiti dalla instabilità politica e dai conflitti sociali (percepiti come un rischio inaccettabile); che la democrazia è trasformata profondamente, certo senza essere abolita. 

    La radicalità di questa complessiva metamorfosi, attraverso queste trasformazioni - una radicalità che vale bene l'azzardo della fiducia posta sulla materia elettorale - potrebbe, forse, essere migliorata o almeno attutita dalla revisione della riforma del Senato, se questo fosse portato a essere Camera elettiva delle garanzie - cioè a essere un vero contropotere -. Ma proprio questa prospettiva rende quella revisione un'ipotesi da perseguire con forza, ma anche altamente improbabile.

 


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02 LUGLIO 2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

        Vi è grande differenza tra questa legge premiale e l'effetto maggioritario dei collegi uninominali

 

 

 

 

 

 

 

 

        La virtù politica non è più la prudenza ma la velocità, non la pazienza ma l'impazienza (anche come 'insofferenza'). Questa legge accarezza così la pulsione popolare all'antipolitica, benché proclami di volerla contrastare

 

 

 

 

 

 

 

 

        La nuova Dc non opererà alcuna mediazione nei territori (dove già ora si presenta spesso come 'partito in franchising', come sigla a disposizione dei più diversi gruppi d'interesse

 

 

 

 

 

 

 

 

        E' una legge molto divisiva e radicalmente 'di sistema', in quanto plasma - per quanto può una legge elettorale - il potere legislativo, e l'intero quadro politico, nell'interesse dell'esecutivo e della sua strategia

 

 

 

 

 

 

 

 

        Nel nuovo modello politico che ci si prepara, il cambio di governo, a legislatura in corso, è una patologia e non una fisiologia. Così come è patologico che il governo incontri nella Camera una volontà sovrana che resiste alla sua

 

 

 

 

 

 

 

 

        Non rientrano insomma in questo nuovo modello politico la complessità e la politicità della società, la conflittualità fra interessi contrapposti, la dialettica fra le istituzioni e all'interno della Camera politica

 

 

 

 

 

 

 

 

        Le vecchie classi dirigenti hanno la punizione delle loro colpe, delle loro omissioni e cecità

 

 

 

 

 

 

 

 

        Gli interessi forti interni e internazionali sono più garantiti dalla instabilità politica e dai conflitti sociali, percepiti come un rischio inaccettabile