|
|
Siamo tutti rimasti scossi e colpiti per la notizia della scomparsa di Carlo Tognoli, venuto drammaticamente a mancare venerdì scorso (il 5 di marzo) per le conseguenze di una maledetta infezione da Covid, contratta mesi prima in ospedale (al Gaetano Pini) dove era stato ricoverato per una frattura del femore seguita ad una banale caduta in una stradina milanese nei pressi della storica Chiesa Rossa, sul Naviglio Pavese.
Molti hanno richiamato con toni toccanti diversi momenti della lunga vicenda di uno dei sindaci più amati della storia di questa città.
È stato ricordato, ad esempio, come egli fosse un figlio della periferia milanese, rimasto orfano ancora bambino (Tognoli era del 1938), col padre disperso nella campagna di Russia voluta da Mussolini. Sono state richiamate la sua formazione di perito chimico e le sue esperienze di studente-lavoratore: per pagarsi gli studi di economia alla Bocconi (che non riuscì però a terminare), fece per qualche tempo il venditore di stampe antiche (cominciando a sviluppare una particolare sensibilità per la storia e il passato della città) per poi trovare un impiego come chimico in un'azienda farmaceutica. Si sono poi ricordate le sue prime esperienze politiche: l'iscrizione al PSI, gli incarichi nella Federazione Giovanile, e quindi il ruolo di addetto stampa dell'allora segretario provinciale del partito: l'integerrimo Guido Mazzali (1895-1960), padre dell'autonomismo milanese, il quale lo indusse a riconoscersi da subito nelle posizioni del nuovo corso nenniano, maturato con forza soprattutto dopo i drammatici fatti di Ungheria del 1956 (l'anno stesso in cui il diciottenne Tognoli si era avvicinato al partito). Da subito egli entrò dunque in relazione con il gruppo degli autonomisti milanesi, che dopo la morte di Mazzali avevano trovato la loro guida in Antonio Natali (1921-1991), il quale fece crescere attorno a sé un gruppo di giovani promettenti, come appunto lo stesso Tognoli, come Giorgio Gangi (che di Tognoli era coetaneo), e soprattutto come Bettino Craxi (di 4 anni maggiore dei due), con cui gli altri, ciascuno con le proprie peculiarità caratteriali, svilupparono un fortissimo legame politico e umano, che si tradusse in un'amicizia davvero fraterna, intensa e duratura.
Tognoli in particolare lavorò con lo stesso Craxi (che nel 1963 divenne segretario della Federazione Milanese) e con Paolo Pillitteri (di due anni più giovane di Carlo e allora giovane militante socialdemocratico), alla sceneggiatura di un intenso documentario di argomento sociale ("Milano o cara", di quello stesso 1963) che trattava il tema dell'immigrazione meridionale nella grande metropoli, soffermandosi sui problemi dei nuovi arrivati dal Sud. Era il tempo delle cosiddette "Coree", i quartieri dormitorio dove si affollavano le masse dei migranti dal Mezzogiorno; e quel documentario era rivelatore di una precisa sensibilità sociale, che faceva da movente, a sua volta, ad un'autentica propensione verso istanze riformatrici miranti ad affrontare e possibilmente risolvere problemi concreti, senza perdersi in vacui ideologismi. Tognoli, peraltro, era nel frattempo divenuto (nel 1960) consigliere comunale a Cormano, nella cintura Nord di Milano (centro anch'esso fortemente investito dai fenomeni migratori e da una potente crescita demografica),e qui tra il 1965 ed il 1970 ricoprì anche la carica di assessore all'urbanistica ed all'edilizia privata. La sua naturale inclinazione alla concretezza dovette probabilmente già allora accompagnarsi in lui alla consapevolezza delle possibili risposte ai problemi più pressanti, da cui l'idea - che lo avrebbe poi a lungo segnato - di pensare alle politiche urbanistiche, come ha scritto Stefano Rolando, quale importante "leva di riequilibrio sociale".
Ma intanto, divenuto nel 1969 segretario della federazione cittadina del PSI di Milano (naturalmente sempre in rappresentanza della corrente autonomistica nenniana), Tognoli venne eletto, nel 1970, consigliere comunale nella metropoli. E negli anni seguenti ricoprì anche a Milano il ruolo di assessore nelle giunte guidate dal socialista "Iso" Aniasi: ebbe dapprima la delega ai Servizi Sociali, poi quella al Patrimonio e infine quella ai Lavori Pubblici. Furono anni intensi in cui dovette sviluppare quella che Bobo Craxi - in un bell'intervento su l'"A.live. Giornale Socialista" ripreso anche da "Il Riformista" - ha definito come una conoscenza "a menadito di codici e regolamenti amministrativi", accompagnata anche da una "grande capacità organizzativa".
Poi arrivò, nel 1975, la grande avanzata delle Sinistre alle elezioni amministrative. La società italiana si era trasformata, e questo creò le condizioni per un cambio di maggioranza anche al Comune di Milano. "Iso" aveva guidato la città per 8 anni con giunte di Centro-Sinistra, ma ora si inaugurò una nuova stagione amministrativa, con una giunta composta da socialisti e comunisti (con l'apporto anche di Democrazia Proletaria, e di alcuni fuoriusciti del PSDI e della Democrazia Cristiana). Aniasi costruì la nuova coalizione, ma nel 1976 scelse di passare la mano e di candidarsi alla Camera, e fu allora che Tognoli, a soli 38 anni, finì per essere scelto come nuovo sindaco (il sindaco più giovane nella storia della città). Come è stato ricordato da molti degli interventi di questi giorni, fu soprattutto Craxi a volere fortemente che fosse proprio il suo vecchio amico e compagno Tognoli a salire alla guida di Palazzo Marino. Si aprì così una sindacatura decennale, destinata a protrarsi dal maggio al 1976 al dicembre del 1986. Fino al 1985 si trattò di "giunte rosse" (la maggioranza del '75 fu infatti confermata anche alle Comunali dell'80). Ma nel 1985, per quanto i numeri avrebbero in teoria consentito di continuare con il precedente assetto (come Tognoli avrebbe probabilmente voluto), prevalse l'esigenza di allineare il quadro cittadino allo scenario politico nazionale (ove dal 1983 Bettino Craxi era nel frattempo divenuto presidente del Consiglio). E così si passò anche a Milano ad una maggioranza di pentapartito, di cui Tognoli mantenne la guida per un anno mezzo, cedendo poi il testimone a Paolo Pillitteri (passato già da diversi anni al PSI).
Nel complesso, comunque gli anni di Tognoli sindaco furono anni decisivi per la città di Milano. La città conobbe una rapida transizione da metropoli industriale a grande capitale (di respiro europeo) dei servizi, del terziario, della moda. Fu impostata in quegli anni la grande trasformazione dei trasporti (con il prolungamento della linea 2 della Metropolitana e l'avvio della Linea 3); e fu varato, nel 1980, un lungimirante piano regolatore, che Giuseppe Guzzetti, democristiano illuminato, all'epoca presidente della Regione, ha l'altro giorno definito su "La Repubblica", come un momento assai alto, che "tracciò le basi della città come oggi la conosciamo". Fu nel contempo intuita, con largo anticipo, la necessità di pensare a Milano con uno sguardo che andasse al di là dei semplici confini comunali (l'idea in altre parole dell'area metropolitana), e fu migliorata la qualità complessiva della città. Si pensi ad esempio alla coraggiosa decisione, portata avanti con determinazione nonostante le miopi resistenze dei commercianti, di procedere alla chiusura del Centro Storico e alla realizzazione di aree pedonali (a cominciare dal centralissimo Corso Vittorio Emanuele). Erano i segno di una sensibilità intelligente alle tematiche ambientalistiche ed ecologiche che proprio allora stavano cominciando ad affacciarsi nel sentire dell'opinione pubblica. Milano del resto conobbe in quegli anni una crescita economica tumultuosa (anche nei consumi): un fenomeno che l'amministrazione civica seppe assecondare con intelligenza, tenendo però presente l'esigenza di pensare anche a politiche attive verso i più deboli. Nella toccante commemorazione tenuta l'altro giorno da Ugo Finetti a Palazzo Marino è stata ad esempio ricordata - citando un bellissimo pezzo di Walter Tobagi del 1980 - la grande concretezza sociale della politica di Tognoli, volta non già a "promettere la luna", ma a "preoccuparsi della gente, dell'assistenza agli anziani e costruendo centri che servissero davvero a combattere l'erosione della droga" (in un periodo il cui fenomeno delle tossicodipendenze giovanili, con il dilagare, stava conoscendo dimensioni davvero clamorose ed inaspettae).
Non è un caso se Tognoli finì per essere un sindaco estremamente amato.
Di lui si sono voluti del resto ricordare alcuni tratti caratteriali che gli avevano fatto guadagnare l'affetto e la stima dei Milanesi. Si è richiamata la sua pacatezza, il suo essere - per dirla con le parole della moglie Dorina, con cui si era sposato nel 1968 - "un uomo e un socialista concreto, curioso, aperto alla cultura e alle riforme [...] teso sempre a capire e a sapere". Si è ricordata la sua pacatezza ("a lui piacevano i toni sottovoce" ha dichiarato a "La Repubblica" Paolo Pillitteri). E si sono menzionati anche i suoi modi all'apparenza burberi (ma comunque garbati), che potevano tradursi - come ha scritto Franco D'Alfonso sulla mailing del nostro Circolo Rosselli - in "consigli secchi, puntuali, indispensabili".
Certo la Milano degli anni Ottanta fu anche la cosiddetta "Milano da bere", che presto non mancò poi di rivelare anche le sue ombre. Nei primi anni Novanta infatti arrivò, come noto, il ciclone di Tangentopoli, che proprio partendo da Milano scoperchiò la realtà di un sistema politico aggrovigliato in un viluppo di tangenti, di corruzione, di finanziamenti illeciti della politica, e di rapporti economici dei partiti con pezzi della sedicente società "civile", indiscutibilmente dannosi per l'interesse pubblico. Tutti i partiti si erano lasciati trascinare in una pericolosa deriva, che era di fatto divenuta sistemica. Ma i socialisti, anche in forza della centralità che avevano conquistato nel governo della città, ne furono travolti in modo particolarmente traumatico. E anche l'immagine del buon Tognoli ne venne, come noto, intaccata.
Dal 1986, come si è detto, egli non era più sindaco: nel 1987 egli era anzi diventato deputato (dopo essere già stato eletto, nel 1984, al Parlamento Europeo), per cui aveva cominciato ad operare prevalentemente su Roma, divenendo tra l'altro anche ministro: prima per le Aree Urbane (nei governi pentapartiti Goria e De Mita dal 1987 al 1989) e poi per il Turismo e lo Spettacolo nel VI e nel VII governo Andreotti (dal 1990 al 1992). Ma proprio nel 1992 - l'anno di "Mani Pulite" - si abbatterono su di lui anche diversi avvisi di garanzia, per vicende legate a fatti milanesi degli anni precedenti.
Di lì a breve arrivarono quindi i processi, e nel 1996 ci fu in vero anche una condanna definitiva (cui seguì peraltro una riabilitazione). Dalle imputazioni più gravi egli risultò però giustamente assolto: e nell'anno 2000 la Corte d'Appello arrivò a riconoscere espressamente - come ha ricordato Giangiacomo Schiavi sul "Corriere della Sera" - che egli non si era in alcun modo "arricchito" con la politica, e come fosse perciò «lontano anni luce dai ladri e dai profittatori».
La sua carriera politica era però di fatto stroncata. Tognoli non avrebbe infatti più ricoperto cariche elettive, anche se il prestigio personale e la sua fama di serietà non erano in realtà venuti meno, e gli valsero anche, negli anni successivi, alcuni incarichi significativi: un ruolo in Mediobanca nel 1995; la presidenza del museo della Scienza e della Tecnologia dal 2003 al 2005; quella della Fondazione dell'Ospedale Maggiore dal 2005 al 2009; e quella dell'ISAP (l'Istituto per lo Studio dell'Amministrazione Pubblica) dal 2009 al 2011. E a parte questo, pur da una posizione ormai volutamente defilata sul piano politico, egli ha continuato fino alla fine a manifestare il suo legame profondo con la città (per esempio tramite l'associazione "Amare Milano"), e a seguire con interesse l'evoluzione del dibattito pubblico nazionale e cittadino, non trascurando, in virtù di una passione storica da sempre molto viva, anche studi e ricerche sulla storia milanese e su quella del movimento operaio e socialista, con una particolare predilezione per le luminose figure di Filippo Turati e Anna Kuliscioff (non a caso Filippo ed Anna furono del resto i nomi che lui e la moglie Dorina avevano scelto di dare ai loro figli). L'amico Giovanni Scirocco ha ad esempio ricordato in questi giorni, sulla mailign list del "Rosselli", come egli avesse voluto di recente donare il suo archivio e la sua biblioteca all'Istituto Nazionale Ferruccio Parri, il che mi pare un altro ragguardevole segno di sensibilità culturale.
Non voglio però chiudere questo breve profilo senza dire qualcosa di ciò che Carlo Tognoli ha rappresentato in particolare per me. Non posso certo dire di avere avuto con lui rapporti particolarmente stretti e intensi, anche se l'ho conosciuto, frequentato e soprattutto stimato. In ogni caso io sono stato a suo tempo un giovane socialista "tognoliano". Mi avvicinai al PSI sin da ragazzo, sotto l'influenza di mio padre, e sulla spinta delle letture (Rosselli, Salvemini, Turati) che mi capitò di poter fare, grazie ai libri che avevamo in casa. Ma una volta avvicinatomi alla militanza attiva, mi legai praticamente da subito ad un gruppo di giovani compagni di orientamento autonomista che seguivano in particolare proprio Tognoli. Erano appunto gli anni Ottanta, e ci sembrava - o almeno così a me pareva - che il "tognolismo" (se così si può dire) fosse in qualche modo un po' meno soggetto ai processi degenerativi che pure percepivamo farsi strada nel resto del partito. In realtà il PSI craxiano, che io personalmente apprezzavo con convinzione per le sua scelte di fondo (e al quale tuttora riconosco molti meriti, pur senza indulgere nell'esaltazione a volte del tutto acritica di alcuni), non mancava come noto di alcuni difetti, in qualche caso anche gravi, e che col tempo vennero anche fin troppo platealmente alla luce. Ma figure come lo stesso Tognoli, o come Ugo Finetti, o come il compianto Guido Turrini (giovane segretario cittadino del partito negli anni Ottanta, morto peraltro in giovanissima età) ci sembravano incarnare uno stile politico sobrio, serio, a tratti perfino austero, che a molti di noi giovani socialisti di allora (o almeno a me) sembravano particolarmente attrattivi. C'era forse anche una buona dose di ingenuità in quella nostra (o mia) percezione, così come negli atteggiamenti, a tratti anche un po' settari, che ne derivavano. Era cioè in parte illusorio pensare che quel gruppo fosse davvero, come in fondo tendevamo a pensare, "la parte sana del partito" e che fosse sostanzialmente estraneo alle dinamiche che erano in realtà proprie della politica di quegli anni. Non era esattamente così. E in parte, chi prima chi dopo, ce ne dovemmo anche ben rendere conto (per alcuni senza particolari problemi, e magari anche con una sorta di compiaciuto e un po' cinico realismo, per altri non senza un certo senso di amarezza e delusione). Eppure, valutando le cose con la distanza del tempo, io resto convinto che non si trattasse nemmeno di qualcosa di completamente ingannevole. Sul piano della serietà, della compostezza e delle qualità non soltanto intellettuali e politiche, ma anche morali ed umane di alcuni di qui compagni, e in primis, indubbiamente, di Carlo Tognoli, quella sorta di investimento emotivo che avevo compiuto nei loro confronti non era cioè mal riposto. Tognoli in particolare, era davvero una persona speciale di spessore: non solo per la capacità di saper unire sguardo lungo e visioni profonde ad una grande concretezza e praticità operativa, ma anche per le sue doti di persona garbata, gentile (al di là dei modi a volti un po' bruschi), e soprattutto, direi, di uomo buono e onesto. Per me è stato una figura di riferimento importante, che voglio ricordare con affetto e con stima. Ciao Carlo.
Francesco Somaini
Presidente del Circolo Rosselli - Milano © RIPRODUZIONE RISERVATA 08 MARZO 2021 |