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Ha destato scalpore, negli ultimi giorni, la notizia degli oltre 300 mila casi di contagio registrati in India in un solo giorno. Dato sicuramente approssimato per difetto: per la difficoltà di praticare più tamponi, si può stimare che i casi positivi non siano meno di mezzo milione/die. Certo, su una popolazione di 1,3 miliardi di abitanti: sarebbe come dire tra i 15 e i 20 mila nuovi casi nel nostro paese, che è il dato attuale, cui ci siamo pressoché abituati.
Questo per ricordare che il virus è vivo e vegeto, e lotta in mezzo a noi (altro che clinicamente morto!...). Non c’è paese che ne sia davvero esente (nemmeno la “virtuosa” Cina). E continua a mietere vittime: i morti stimati a livello mondiale sono ormai più di 3 milioni. 570mila nei soli USA, 380mila in Brasile, quasi 200mila in India, 118 mila in Italia.
E i vaccinati? Israele ha completato la vaccinazione nel 58% della popolazione; gli USA nel 26%; la Gran Bretagna nel 15%; l’Italia nel 7.7%. Mentre l’India è “solo” all’1,2% della popolazione, e il Brasile al 4,2%. In sostanza, sugli oltre 500milioni di persone vaccinate nel mondo, la stragrande maggioranza abita nei paesi più ricchi, e solo un decimo nei paesi a basso reddito, dove la popolazione è nettamente più numerosa.
Il rischio del persistere di una situazione simile è molto alto. Lasciare intere popolazioni sguarnite di vaccinazioni vuol dire consentire al virus di mutare e di produrre varianti che, potenzialmente, potrebbero non essere contrastate dagli attuali vaccini. Abbiamo, secondo i virologi più ottimisti, un anno di tempo per vincere la battaglia sul virus: ma questo vorrebbe dire, entro un anno, aver vaccinato almeno i due terzi della popolazione mondiale. Obiettivo possibile?
No, con l’attuale ordinamento e con i costi attuali dei vaccini (Pfizer si appresta ad aumenti fino a 20 dollari/dose). E dunque? La strada possibile è una sola: liberalizzare i brevetti e intensificare, con uno sforzo straordinario, la produzione dei vaccini in ogni parte del mondo (l’India ha, ad esempio, la maggior fabbrica mondiale di vaccini, purchè sia autorizzata a produrli). Le resistenze di BigPharma sono enormi, legate agli interessi macroeconomici nella produzione, nella vendita e nella distribuzione: ma vanno superate dalla volontà comune di tutti i governi di fronte a una sfida così epocale e delicata. Deve essere la politica a battere un colpo, nell’interesse dell’umanità intera.
C’è almeno un precedente virtuoso che andrebbe richiamato. Ricordate negli anni ’50 il dramma planetario della poliomielite? Centinaia di migliaia di bimbi colpiti da un virus mielolesivo che colpiva soprattutto il midollo spinale causando paralisi agli arti inferiori. 5000 casi l’anno solo in Italia. Fu nel 1952 che Jonas Salk mise a punto un vaccino ottenuto uccidendo il virus con la formalina, ma conservando i suoi determinanti antigenici e promuovendo quindi la produzione di anticorpi. Il vaccino si confermò efficace e non lesivo: tuttavia un incidente drammatico (“l’incidente di Cutter”) dovuto alla non completa neutralizzazione del virus nei laboratori californiani, determinò la comparsa di decine di casi di poliomielite in bambini vaccinati.
Di lì a poco un altro ricercatore, Albert Sabin, mise a punto una strategia alternativa: un vaccino costituito da un virus vivo e attenuato in luogo di un virus virulento e ucciso. Oltretutto nella sua strategia il vaccino poteva essere assunto per bocca, su una zolletta di zucchero, invece che iniettato come il “Salk”. Non fu facile per Sabin ottenere il via libera. Gli USA erano in quegli anni decisamente orientati verso il primo vaccino. E, pur in un periodo di guerra fredda, Sabin (un ebreo nato nella Polonia orientale, allora sovietica) potè ottenere il via libera dopo averlo testato sui bambini russi, grazie alla collaborazione di uno scienziato come Mikhail Chumakov, favorevole a quella sperimentazione.
L’OMS potè così confermare, nel 1960, che entrambi i vaccini erano efficaci e sicuri. Ed ecco il fatto straordinario: tanto Salk quanto Sabin rinunciarono al brevetto, consentendo la realizzazione di vaccinazioni di massa in ogni parte del mondo. In Italia si cominciò a vaccinare a tappeto nel 1964 col vaccino Sabin, e nel ’67 la vaccinazione fu stabilita per legge. Tanto che il nostro paese è stato definito dall’OMS “area polio-free” dall’anno 2002. Devo questa ricostruzione accurata a un bell’articolo di un collega medico, Carlo Patriarca, pubblicato on-line col titolo “Vaccini anziché bombe durante la Guerra fredda”.
Sapranno le grandi case farmaceutiche manifestare la stessa generosità di Salk e di Sabin (che dissero: il vaccino non è “nostro”, ma di tutti)? E sapranno i governi di tutto il mondo cooperare in una battaglia che è per tutti, al di là delle nostre guerre sia calde che fredde?. Anche se sperarlo può apparire ingenuo, non farlo è comunque da pusillanimi.
Pino Landonio Nato nel 1949, padre di due figli e nonno di 5 nipoti. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1973, e specializzato in Ematologia (1978) e in Oncologia (1986). Ha lavorato come ematologo e poi come oncologo all’Ospedale Niguarda, dal 1975 al 2006. Dal 2005 al 2010 è stato Consigliere Comunale a Milano. Dal 2011 collabora con l’Assessorato al Welfare del Comune di Milano e coordina, a Palazzo Marino, l’iniziativa “Area P” (incontri mensili di poesia). Ha pubblicato, per Ancora, tre raccolte di “Dialoghi immaginari” con poeti di tutti i tempi e paesi (2015, 2017 e 2019) e “Guarda il cielo”(30 racconti, 2016). Ha inoltre pubblicato "Modello Milano " (Laurana, 2019); "Modello Lombardia?" (Ornitorinco, 2020); "E la gente rimase a casa" (La mano, 2021). (ndr) © RIPRODUZIONE RISERVATA 27 APRILE 2021 |