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Il PNRR dell’Italia ha due dimensioni – le ha come progetto, intenzionalmente. È un piano di spesa su un arco di alcuni anni, di cui si è enfatizzata la portata, ritenuta ingente (non da tutti, però); è un piano di riforma dei fondamenti giuridici del capitalismo italiano, un piano di ‘riforme strutturali’. Sono due dimensioni presentate nella narrazione corrente come interconnesse: l’efficacia del piano di spesa dipende dall’attuazione delle riforme strutturali. Un piano ‘perfetto’ e ‘trasparente’ come un orologio meccanico, progettato e costruito insieme alla Commissione Europea.
Ora che è stato approvato, il PNRR dovrà essere attuato e sono necessari due dispositivi amministrativi: il primo realizza il processo di allocazione delle risorse, la loro distribuzione tra i diversi usi che il PNRR prevede o permette; il secondo progetta e attua i cambiamenti dell’ordinamento istituzionale nelle sfere che il PNRR ha stabilito. Sono dispositivi che svolgono una funzione identica: entrambi devono dare un ‘nome alle cose’. Come piano di spesa, il PNRR si articola in una matrice di categorie di spesa e attuarlo significherà scegliere quali specifici progetti di investimento o incentivazione finanziare; come piano di riforma dell’ordinamento istituzionale, definisce gli ambiti normativi da modificare e come modificarli, e attuarlo significherà scrivere e approvare nuove leggi e nuovi regolamenti.
Il PNRR è stato approvato dal Parlamento italiano accettando all’unanimità la sua struttura – e anche le ‘condizionalità generali’, ovvero il modello di ordinamento istituzionale che contiene. Nella struttura si esprime la dimensione politica del PNRR, il suo chiaro ed esibito orientamento neoliberale. Una struttura che non potrà essere cambiata nella sincopata fase di attuazione, segnata dall’urgenza di usare le risorse finanziarie e dalla necessità di fare le riforme strutturali per disporre di quelle risorse.
L’élite intellettuale di sinistra – gli economisti, in particolare – non si è mobilitata mentre si definiva e poi approvava il PNRR, benché esso avesse un orientamento neoliberale evidente e rivendicato. D’altro canto, tra i suoi membri sono in molti a credere che il ‘liberismo sia di sinistra’ e a essere a favore di un PNRR con quella struttura. Ma gli altri? Gli altri, in genere, credono che il ‘keynesianismo sia di sinistra’, in tutte le sue varianti, e del PNRR hanno visto solo la dimensione macroeconomica: le risorse disponibili per una politica di bilancio espansiva e il suo effetto positivo sulla traiettoria di crescita del Pil. Dopo averci liberato dal tabù della politica monetaria espansiva come Presidente della BCE, Draghi ci stava liberando anche dal tabù della politica di bilancio espansiva come Presidente del Consiglio.
Il ‘vizio keynesiano’ – porre al centro dell’agenda teorica e politica la regolazione macroeconomica dell’economia – segna ancora oggi la Sinistra italiana. Da questo vizio ha avuto origine l’incapacità di contrastare l’ideologia neoliberale sul terreno che è decisivo per dare forma al capitalismo: quello del progetto dell’ordinamento istituzionale. Per combattere su questo terreno, i neoliberali avevano iniziato a prepararsi da molto tempo, negli anni Venti del Novecento, tra Europa e Stati Uniti. Ma è negli anni Settanta che viene lanciata sul terreno dell’ordinamento istituzionale l’offensiva contro la forma di capitalismo che si era affermata in gran parte dei Paesi europei nel Secondo dopoguerra. Un terreno che la Sinistra non presidiava, ancora convinta di poter utilizzare il paradigma keynesiano per governare l’evoluzione del sistema economico, nonostante l’evidenza empirica mostrasse il contrario. Poi è arrivato il 1989, la Caduta del Muro Berlino, l’ampliamento a Est dell’Unione Europea, la ‘fine della storia’. E il modello neoliberale di capitalismo ha dilagato.
Era il ‘mercato sociale’ di cui ci si voleva liberare. Era il compromesso social-democratico, sia nella variante progressista che in quella conservatrice, che si voleva disfare. Era il ‘progetto europeo’ che prendeva forma negli anni Ottanta che si intendeva de-costruire. Di quanto importasse ai sostenitori del paradigma neoliberale dei tabù delle politiche espansive, che tanta parte dell’élite intellettuale di sinistra considerava il tema economico e politico decisivo, lo si è visto nel governo degli effetti della crisi economico-finanziaria del 2007-2008: per salvare il modello di capitalismo che si stava realizzando si doveva creare moneta o approvare bilanci pubblici in disavanzo e lo si è fatto. Non erano certo questi i caratteri identitari del paradigma neoliberale. La posta in gioco era un’altra: la modifica dell’ordinamento istituzionale del capitalismo europeo. Passo dopo passo, sono stati modificati i fondamenti giuridici dei ‘mercati’ del lavoro, del suolo, della moneta; sono stati modificati i dispositivi normativi che in un’economia capitalistica regolano l’accumulazione della ricchezza, la distribuzione del reddito, del potere economico e delle esternalità. L’obiettivo era la de-costruzione del modello europeo di capitalismo che si era affermato dopo le tragedie della Seconda guerra mondiale.
Il processo di costruzione dell’ordinamento istituzionale di una società è un processo lento che procede per tasselli. È simile alla composizione di un mosaico: devi avere un progetto, la pazienza necessaria e la modestia di misurarti con un’attività prosaica. Mentre l’élite intellettuale di sinistra si divideva tra chi indulgeva nel ‘vizio keynesiano’ e chi si convertiva al credo liberista, l’egemonia del paradigma neoliberale sul terreno della costruzione di un nuovo ordinamento istituzionale per il capitalismo italiano è diventata indiscussa. Tassello dopo tassello, le modifiche sono state profonde ed estese.
Di tasselli a completamento del mosaico il PNRR ne inserisce ora molti e molto importanti. E la “Direzione generale per il sostegno alle riforme strutturali”, creata con una riforma molto recente (2020) nell’organizzazione della Commissione Europea e passata in secondo piano nel dibattito pubblico italiano, è al fianco dell’Italia. Ma ‘a sinistra’ gli economisti si mobilitano su larga scala per mettere in discussione non la struttura del PNRR bensì il profilo professionale degli esperti chiamati a partecipare, con ruoli marginali, alla sua attuazione – all’attuazione di un progetto neoliberale.
Copyright © Antonio Calafati 2021 © RIPRODUZIONE RISERVATA 20 LUGLIO 2021 |