Francesco Ventura  
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RIABITARE I PAESI SI PUÒ


Considerazioni a partire dalla proposta di Franco Arminio



Francesco Ventura


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«…Ecco i tre punti su cui agire: servizi, sviluppo locale, desiderio. Per ripopolare i paesi devono funzionare queste tre cose. Vivere in un posto dove non ci sono aspettative sentimentali è una cosa che ti impoverisce e ti fa affiliare alla schiera degli scoraggiatori militanti, degli accidiosi…».

(Franco Arminio, Salvare i paesi, «L’Espresso», 29 novembre 2021)

 

 

Sviluppo (globale)

L’emigrazione è lo sradicamento da un luogo per tentare di radicarsi in altro, aspirando a una vita migliore. Le comunità erano chiuse nei loro luoghi. Per la gran parte degli abitanti erano società della miseria. L’emigrazione, unica via per tentare di uscirne, le ha dissolte, innescando l’inesorabile spopolamento dei paesi. Le società mutano, difficile pensare di restaurarle nel luogo dove avevano formato la loro identità svanita. Non si tratta tanto di mirare a uno nuovo «sviluppo locale», inteso come base economica lì radicata – e ormai perduta – intorno alla quale si radunavano uomini e donne in società. Le società arroccate nei luoghi del mondo vanno disfacendosi per riarticolarsi in una miriade di relazioni globali, molto più dinamiche. L’emigrazione che taglia le radici da un luogo per radicarsi in un altro, lascerà il posto alla libertà di movimento tra i più diversi luoghi del mondo: abitare in un luogo e svolgere attività in qualsiasi altro. La società globale non è omologazione, è il riconoscimento che l’identità non è assoluta – è impossibile che lo sia – ma relazionale. L’identità è tale proprio perché è in intreccio indissolubile con il proprio altro. Il limite in cui il luogo consiste non separa, ma relaziona gli altri luoghi abitati, ed è perenne contaminazione di identità.

 

Desiderio (di riabitare le case dei paesi)

Laddove le comunità tradizionali sono un passato compiuto, presenti sono i paesi quali loro tracce che ne mantengono viva la memoria. I muri sono più resistenti alle ingiurie del tempo di coloro che li hanno edificati. Abbiamo imparato a restaurare le case ereditate, ad apprezzare il loro adattarsi all’abitare del nostro tempo. Una duttilità che le case moderne non hanno. I paesi di pietra suscitano di per sé un crescente «desiderio» di riabitarli, di rivivere una configurazione dello spazio testimonianza della nostra storia. Hanno il fascino dell’antico, proprio perché hanno resistito a quel tenace distruttore che è il tempo. Sono un patrimonio dell’umanità, perché si aggiungono al nuovo che costruiamo, arricchendo di molto la scelta sul quando, sul come, sul dove abitare e sul suo significato. È necessario prendere atto che i paesi di antica formazione si offrono a noi contemporanei come quartieri residenziali dell’immensa megalopoli mondiale: una vasta rete di nuclei abitativi ricchi di narrazioni e di sensi, che nessun progetto di nuova configurazione spaziale potrà mai esprimere.

 

Servizi (alla residenza nei paesi della megalopoli mondiale)

L’abitare non è più solo mura e focolare domestici, ma «servizi» di base alla residenza. Quelli strettamente e necessariamente locali sono per lo più gli abitanti a svilupparli. La forza dello sviluppo dipende dalla volontà, dalla capacità e dal numero di persone che vi abita. Un numero che è necessariamente proporzionato alle dimensioni del patrimonio di abitazioni che ciascun paese ha edificato nella sua storia. E va evitato che se ne aggiungano scriteriatamente altre; oltre che snaturare la configurazione dello spazio con i suoi preziosi e desiderabili significati si implementerebbe il consumo di suolo. In molti di essi prevalgono le case vuote esito delle emigrazioni. I paesi delle aree con notevoli difficoltà di accesso sono come cellule morenti per carenza di ossigeno. Il flusso sanguigno sempre più flebile affluisce copioso nei grandi agglomerati urbani. Per passare dall’emigrazione alla mobilità occorre implementare la capillarità dei «sevizi» a rete: flussi delle comunicazioni e flussi dei trasporti di persone e cose. La potenza di queste due tecnologie cresce enormemente; ma finora a discapito della loro ramificazione capace di raggiungere i luoghi più remoti di antico popolamento. Dare ossigeno ai paesi in abbandono significa collegarli a queste due reti globali di interazione sociale. In particolare, andrebbero messe in campo azioni su:

- La rete diffusa dell’informazione e della comunicazione. La pratica dell’interazione sociale implica la condivisione del tempo. La tecnologia dell’informazione e della comunicazione (nota con l’acronimo inglese ICT, Information Communication Technology), permette di condividere il tempo senza la necessità di condividere il luogo. È un potenziamento inaudito di un buon numero di interazioni sociali che una volta implicavano il radunarsi nel medesimo luogo per poterle praticare. È una tecnologia che ha contributo a far tramontare ai confini di luogo il senso separante e far emergere il loro senso relazionale. L’investimento privato in questo settore è massiccio, perché enormemente profittevole; di qui la sua rapida diffusione. Se dal punto di vista di chi lo usa è un apparato di comunicazione e informazione, dal punto di vista di chi investe è un apparato di registrazione di dati. I dati, opportunamente elaborati, sono oro dall’elevato valore venale. Gli utenti sono i produttori di questo valore di mercato. Una produzione di profitto privato in cui la forza lavoro costa poco o nulla a chi sa sfruttarla. Occorre che chi investe paghi alla collettività questa produzione diffusa e per lo più inconsapevole. Il ricavato va impiegato nella diffusione della rete nelle aree cosiddette a “fallimento di mercato”. Ogni paese deve essere collegato alla rete e ogni suo abitante deve essere messo in grado di accedere al servizio con prezzi agevolati rispetto a quelli delle arre metropolitane e con gli opportuni addestramenti per poter operare.

- La capillarità della rete dei trasporti. È evidente che la pratica dell’interazione sociale non potrà mai esaurirsi nella condivisione del tempo senza quella del luogo. Per quanto la potenza della tecnologia dei trasporti vada crescendo come non mai, la capillarità della rete va drammaticamente contraendosi. È ormai sovrabbondante, soprattutto nelle ex campagne dei paesi, il numero di strade per il trasporto privato individuale costruite negli ultimi decenni, per lo più sottoutilizzate e lasciate in preda a frane. Non abbiamo più bisogno di questo sperpero e di questo scempio del territorio. Occorre investire in mezzi di trasporto di persone e cose, pubblici, collettivi, condivisi su poche vie idonee e sicure che colleghino tutti i paesi. Un obbiettivo minimo e iniziale è di dotare ogni paese di almeno un trasporto pubblico giornaliero a prezzo agevolato, condiviso o a domanda, anche in futuro a guida automatica, che lo colleghi con il centro più prossimo dotato di servizi superiori e di trasporti a più largo raggio.

- L’energia rinnovabile e non inquinante. Entrambe le tecnologie richiedono enormi quantità di energia, attualmente è per larga parte prodotta da fonti non rinnovabili e fortemente inquinanti. L’allaccio alle due reti tecnologiche dei paesi è un’occasione di sperimentare forme di energie alternative e non inquinanti (sole, vento, terra ed altre) su base locale e al servizio dei paesani.

- L’accesso alla proprietà delle case. Sono tre le fondamentali accessibilità ai paesi da implementare. Oltre a quelle costituite dalle due reti di comunicazione e di trasporti, la terza è l’accessibilità alla proprietà delle case. L’art. 42 della Costituzione Italiana riconosce la proprietà privata e affida alla legge di «garantirla» anche allo «scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». È evidente che per i beni immobili la funzione sociale implica i loro utilizzo. Solo ed esclusivamente chi ne ha il diritto di proprietà può goderne e disporne. Nei paesi spopolati, con le loro case dalle porte chiuse, la funzione sociale della proprietà è completamente azzerata. Case che non hanno valore d’uso né venale. Case abbandonate all’ingiuria del tempo. L’immobilità del diritto di proprietà, che non circola sul mercato, è uno dei più grossi impedimenti all’accessibilità abitativa dei paesi. Qui le politiche possono essere varie, oltre all’utilizzo dello strumento della espropriazione per pubblica utilità; ma in questo caso bisogna che l’ente pubblico sappia cosa farsene di questo patrimonio, il che non si verifica quasi mai. Occorre suscitare il mercato immobiliare nei paesi, inducendo chi ha il diritto di proprietà e non interesse a godere l’immobile ad offrirlo sul mercato e insieme stimolando la domanda di chi desidera riabitare quelle antiche case. Uno degli strumenti è la leva fiscale in tutte le sue ramificazioni, aumentando la pressione al proprietario che non svolge la funzione sociale e riducendola a chi la svolge. Forti agevolazioni fiscali e finanziamenti ad hoc a chi investe nel restauro e adeguamento abitativo del patrimonio immobiliare dei paesi.

 

Conclusioni

Qualsiasi strategia si intenda agire, l’azione conseguente va monitorata nei suoi effetti. Piani e strategie sono fallibili, vanno sperimentati. Entro un tempo ragionevole, ci saranno sempre effetti collaterali indesiderati e parziali o totali fallimenti, che possono far apprendere le correzioni più opportune.

Francesco Ventura

 


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17 DICEMBRE 2021