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È il meno che si possa dire di questo 2021. In cui le luci si sono accavallate alle ombre: ma queste ultime, forse, hanno finito per prevalere.
Partiamo dalle luci: i vaccini, innanzitutto. Che hanno certamente influito sulla storia naturale della pandemia. E anche se non ci hanno preservato dal possibile contagio, hanno però attenuato in modo sostanziale gli effetti dell’infezione. I numeri parlano chiaro. Se un limite dobbiamo trovare è nella loro diffusione non massiva e, soprattutto, non ubiquitaria. Ci sono squilibri tra Paesi ricchi e Paesi poveri che si sono, se possibile, accentuati.
Il secondo dato positivo è quello della ripresa economica, vigorosa soprattutto in Italia. Segno che alla pandemia si è saputo reagire, che il lavoro è ripreso, che si è tornati a una certa “normailità”. E tuttavia le preoccupazioni esistono, e la disoccupazione e la precarietà, al pari dell’inflazione, non accennano certo a decrescere.
Aggiungo anche i successi che in molti campi (sportivi, musicali, di immagine…) l’Italia ha conosciuto: al punto da essere premiata come “Paese dell’anno” e con lei Mario Draghi, la cui stima internazionale è andata indubbiamente crescendo.
Fin qui i lati positivi. Ma poi dobbiamo mettere in conto le criticità, tutt’altro che marginali. A cominciare dal persistere della pandemia, con le sue varianti (la delta prima, ora la omicron) e con la terza, e ora la quarta ondata. E insieme l’assurda impennata dei no-vax, che si sono fatti, non solo nel nostro paese, sempre più tenaci e irriducibili: col risultato di favorire, nonostante i vaccini, il propagarsi del virus, con un danno per loro stessi, in primis, ma con una ricaduta negativa anche su tutti gli altri. Il green pass ha fatto quello che ha potuto. O forse sarebbe stato meglio l’obbligo vaccinale?
In secondo luogo le morti sul lavoro, non a caso richiamate da papa Francesco nel suo sermone di Natale. Oltre 1000 nel corso dell’anno, non sono un bel segnale. E reclamano responsabilità e prevenzione: due ingredienti che sembrano scemare invece che rafforzarsi, col passare del tempo.
Poi le incertezze sul piano politico, cui il governo Draghi, pur con la sua ampia maggioranza, ha potuto solo in parte mettere una pezza. E il fatto che la prossima elezione del capo dello stato, vista l’indisponibilità di Sergio Mattarella a sobbarcarsi un secondo mandato, susciti al momento quasi un moto di panico, la dice lunga sulla maturità, la compattezza e il senso di responsabilità dell’attuale quadro politico. Possiamo solo augurarci che la buona stella ci conforti con una designazione magari al femminile che, oltre a rappresentare una novità, darebbe forse garanzia di concretezza e buon senso.
E ancora il troppo bla bla (sacrosanto lo sfogo di Greta Thumberg) rispetto al disastro annunciato del cambiamento climatico e alle misure che sarebbero necessarie per ridurre quanto meno il danno, e che tardano ad essere prese per insipienza, egoismi, cecità.
Infine le tensioni e i venti di guerra in molte, troppe aree del mondo. Abbiamo assistito all’incredibile assalto al Parlamento americano, al conflitto israelo-palestinese, alla disgregazione del progetto democratico in Afghanistan, alla vergognosa tensione al confine tra Bielorussia e Polonia sulla pelle dei migranti. Senza contare la vicenda, tuttora incombente, tra Russia e Ucraina, e quella non meno minacciosa tra Cina e Taiwan.
Più ombre che luci, insomma. Eppure non dobbiamo, e non possiamo, rinunciare alla speranza. Mi piace concludere quest’anno con la poesia di un grande artista che ci ha lasciato, un anno fa, e che tutti ricordiamo con grande nostalgia: Ezio Bosso. Il suo commiato fa così:
“Io li conosco i domani che non arrivano mai / Conosco la stanza stretta / E la luce che manca da cercare dentro / Io li conosco i giorni che passano uguali / Fatti di sonno e dolore e sonno per dimenticare il dolore / Conosco la paura di quei domani lontani / Che sembra il binocolo non basti / Ma questi giorni sono quelli per ricordare / Le cose belle fatte / Le fortune vissute / I sorrisi scambiati che valgono baci e abbracci / Questi sono i giorni per ricordare / Per correggere e giocare / Si, giocare a immaginare domani / Perché il domani quello col sole vero arriva / E dovremo immaginarlo migliore / Per costruirlo / Perché domani non dovremo ricostruire / Ma costruire e costruendo sognare / Perché rinascere vuole dire costruire / Insieme uno per uno / Adesso però state a casa pensando a domani / E costruire è bellissimo / Il gioco più bello / Cominciamo…”.
Non parla forse al cuore di ciascuno di noi?
Pino Landonio Nato nel 1949, padre di due figli e nonno di 5 nipoti. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1973, e specializzato in Ematologia (1978) e in Oncologia (1986). Ha lavorato come ematologo e poi come oncologo all’Ospedale Niguarda, dal 1975 al 2006. Dal 2005 al 2010 è stato Consigliere Comunale a Milano. Dal 2011 collabora con l’Assessorato al Welfare del Comune di Milano e coordina, a Palazzo Marino, l’iniziativa “Area P” (incontri mensili di poesia). Ha pubblicato, per Ancora, tre raccolte di “Dialoghi immaginari” con poeti di tutti i tempi e paesi (2015, 2017 e 2019) e “Guarda il cielo”(30 racconti, 2016). Ha inoltre pubblicato "Modello Milano " (Laurana, 2019); "Modello Lombardia?" (Ornitorinco, 2020); "E la gente rimase a casa" (La mano, 2021). (ndr) © RIPRODUZIONE RISERVATA 07 GENNAIO 2022 |