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Il libro di Paola Pucci e di Giovanni Vecchio – Enabling mobilities. Planning tools for people and their mobility (Springer, 2019) – invita, già dal titolo, a leggere il tema della mobilità in modo originale rispetto alla tradizione degli studi e della ricerca nazionali sui mezzi e sulle infrastrutture di trasporto. Lo fa, a partire dall’introduzione, ricordando che la mobilità rinvia ad una pluralità di dimensioni che attengono, prima ancora che ai mezzi e al territorio, alla capacità dei soggetti di muoversi per accedere alle opportunità idonee a rispondere ai loro bisogni. Il lettore viene, in tal modo, posto subito di fronte alla decisione di affrontare l’argomento da una prospettiva diversa da quella utilitaristica, tradizionalmente centrata sulla lettura della domanda piuttosto che su quella dei bisogni degli attori. Il riferimento, del titolo, alla dimensione abilitante della mobilità trova, in tal senso, spiegazione nella scelta di trattare la mobilità come una condizione innanzitutto individuale e nella conseguente proposta di affrontare le politiche dei trasporti con attenzione alla loro capacità di rispondere ai bisogni di interazione, partecipazione e inclusione sociale degli attori.
Tradizionalmente poco trattata negli studi nazionali su mobilità e trasporti, la relazione tra mobilità e rischi di esclusione sociale rinvia ad una ricca tradizione di studi e ricerche internazionali, puntualmente presentata dagli autori sin dalle prime pagine del saggio. Innanzitutto agli studi anglosassoni dei decenni a cavallo del nuovo secolo di autori come Kenyon, Lucas e Sheller che per primi hanno posto attenzione alla mobilità e alla sua relazione con l’accessibilità, la partecipazione e la giustizia socio-territoriale. Un’attenzione all’inclusione sociale che rinvia anche agli studi più recenti di Martens sulla mobilità potenziale e di Kaufmann sulla motilità, nel suo significato originale di insieme delle opzioni e condizioni di accesso e delle capacità e abilità di movimento dei soggetti.
Le considerazioni sulla difficoltà della ricerca di operativizzare concetti complessi come quelli di accessibilità, giustizia spaziale e motilità e della politica di dar loro applicazione nella pianificazione dei trasporti, introduce le argomentazioni dei capitoli del saggio dedicati rispettivamente all’accessibilità, alle mobilità emergenti, ai big data, alle infrastrutture dei trasporti e alle politiche per la mobilità. Una pluralità di temi, come vedremo, uniti da una comune attenzione alla possibilità di pianificare per le persone e per la loro mobilità, come recita il sottotitolo del libro.
Il tema dell’accessibilità è, a ragione, posto agli inizi dello studio, considerata la sua centralità in qualità di dimensione valoriale della mobilità. Gli autori ne ripercorrono la storia dai primi studi di Hansen della fine degli anni sessanta, agli studi contemporanei nei quali la crescente attenzione al tema ha segnato il passaggio dalla tradizionale infrastructure-based analysis alla accessibility-based analysis. Già definita, nelle pagine introduttive del saggio, come la capacità di raggiungere beni, servizi, attività e destinazioni (le cosiddette opportunità di cui parla Dijst nei suoi saggi), dell’accessibilità viene messo in evidenza il valore di bene sociale primario e, con riferimento ancora a Martens, di oggetto prioritario delle politiche distributive. Il rischio di cadere in una spiegazione meramente comportamentale e quantitativa dell’oggetto, viene scongiurato ricordando gli studi di Lucas sull’accessibilità di base, nel loro significato di accesso alle opportunità più idonee a rispondere ai bisogni dei soggetti. La necessità di offrire qualche evidenza operativa dell’attenzione alla accessibilità nelle politiche urbane e dei trasporti trova risposta nella presentazione del caso studio della città di Bogotà in America Latina. Oggetto di una ricerca condotta dagli autori negli anni precedenti la crisi pandemica, le politiche per l’accessibilità della città sudamericana sono analizzate con il fine di mostrarne l’efficacia in termini di offerta di nuovi mezzi, tempi e luoghi di trasporto e di ricollocazione spaziale delle opportunità per ridurre i rischi di esclusione delle popolazioni più fragili.
Il tema dei nuovi bisogni di mobilità, e delle conseguenti politiche di supporto, viene ripreso nel capitolo successivo dedicato alle nuove pratiche di mobilità associate alle trasformazioni del mondo del lavoro e del sistema dei trasporti. Prestando attenzione agli studi e ai risultati delle ricerche realizzate nei Paesi del centro Europa da autori attivi in diversi settori disciplinari - urbanistica, geografia, economia e sociologia urbana (tra i quali Vincent-Geslin, Viry, Bissell e Kaufmann) - viene dagli autori approfondito il tema dei profili atipici di mobilità, quali il pendolarismo sui lunghi percorsi, e della progressiva reversibilità dei tempi e dei luoghi degli spostamenti. Resi possibili dalla presenza di ritmi e condizioni di lavoro più flessibili e da mezzi di trasporto più veloci e economici (in particolare nel settore aereo low cost), i nuovi profili di mobilità vengono analizzati con attenzione non solo ai tempi, luoghi e mezzi degli spostamenti ma anche agli stili di vita delle persone mobili.
L’intenzione di superare la lettura utilitaristica, già esplicitata nella premessa del volume, è qui ribadita ricordando che la scelta modale non è solo guidata dalla volontà di minimizzare i costi di viaggio ma di utilizzare il tempo di viaggio per lavorare, mantenere le relazioni con familiari e amici e riposare. Attività quest’ultime, rese possibili dall’ulteriore radicale trasformazione che ha interessato le società contemporanee riguardante l’uso diffuso e pervasivo degli strumenti e delle tecnologie della comunicazione. La pratica di muoversi velocemente su lunghe distanze è spiegata non solo dalla presenza di ritmi di lavoro più flessibili ma anche dalla scelta di conservare le relazioni all’interno delle complesse strategie di gestione delle presenze e delle assenze che caratterizzano lo stile di vita multi-locale di quote crescenti di persone altamente mobili. Dedicando attenzione ai più recenti lavori di Ralph, Ohman e Lindgren, vengono dagli autori descritti i fattori soggettivi e oggettivi che sottendono le scelte dei long distance commuters, le loro caratteristiche individuali (la composizione familiare e le condizioni di lavoro ma anche i valori, gli atteggiamenti e le preferenze) e le condizioni del mercato del lavoro e del sistema dei trasporti. Un’attenzione alla dimensione analitica che, come nel capitolo precedente, viene alla fine supportata da evidenze empiriche tratte da una ricerca effettuata sul tema del pendolarismo di lunga e di breve portata in Italia. Come negli studi internazionali succitati, l’interpretazione dell’oggetto è facilitata dalla proposta di classificare i soggetti altamente mobili in differenti categorie e dall’invito ad approcciare il tema al di fuori degli stereotipi tradizionalmente associati alla lettura del fenomeno.
L’attenzione alla metodologia e alle tecniche di analisi della mobilità è confermata dalla scelta di Pucci e Vecchio di dedicare un capitolo del volume al tema dei big-data. Finalizzato ad informare il lettore sulla pluralità delle fonti dei big data e sulle loro caratteristiche tecniche, il capitolo fornisce indicazioni utili ed aggiornate sui pregi e i limiti dei dati attualmente disponibili per analizzare i flussi di mobilità. Coerentemente con l’approccio proposto nel volume più in generale, attenzione è dedicata non solo alle informazioni sugli spostamenti ma anche sui luoghi connessi dai flussi al fine di avere una lettura più completa degli spazi e delle infrastrutture della mobilità. Un’attenzione al tema delle infrastrutture che premette l’argomento affrontato nel capitolo successivo sulle stazioni.
Il sottotitolo del capitolo, nodi e luoghi della vita quotidiana, informa subito il lettore sul tipo di lettura proposta dagli autori per parlare di stazioni. Nodi del sistema complesso della mobilità, ancor più che della rete del trasporto ferroviario, delle stazioni vengono analizzate la pluralità di funzioni in relazione ai diversi piani di azione. Innanzitutto, e con attenzione ai lavori di Dupuy, le stazioni come elementi nodali delle reti dei trasporti e dei sistemi urbani, laddove la loro centralità per il buon funzionamento dei sistemi territoriali rinvia alla ricca e proficua tradizione degli studi e delle politiche francesi e anglosassoni del secolo passato. Ma anche le stazioni come spazi urbani sui generis, potenzialmente idonee a promuovere pratiche d’uso e a rispondere a bisogni diversificati delle popolazioni sempre più mobili che si muovono e abitano temporaneamente i luoghi della mobilità contemporanei. Prestando attenzione ai lavori di Tillous, Joseph e Kokoreff viene descritta la pluridimensionalità della stazione, variamente definita “pick up station”, “market and station” e “work and station” in relazione alle funzioni che vi trovano spazio prioritario e alla localizzazione delle opportunità che rispondono ai bisogni dei viaggiatori e dei quartieri in cui sono poste. Infine, la stazione come “transit node”, punto di accesso alle opportunità del territorio a sua volta foriera della mobilitazione di capitale spaziale e sociale.
Dedicando attenzione al tema del “land-use transport feedback cycle”, viene dagli autori ricordata l’interconnessione tra sistema territoriale e sistema dei trasporti e la conseguente necessità di promuovere politiche integrate di pianificazione territoriale e dei trasporti centrate sui nodi della mobilità, in qualità di punti di accessibilità e di interazione spaziale. L’attenzione all’oggetto rinvia alla disamina della vasta produzione scientifica prodotta sul tema dei programmi internazionali più avanzati in tema di analisi e di pianificazione integrata: il programma TOD introdotto da Calthorpe negli Stati Uniti, ABC del Ministero per le abitazioni, la pianificazione e l’ambiente in Olanda e, sempre nei Paesi Bassi, il piano di intervento Vinex. Successivamente alla rassegna delle principali argomentazioni sulla definizione e applicazione dei suddetti programmi, in particolare della TOD, gli autori si soffermano sulla loro operativizzazione approfondendo, da un lato, il “node-place model” di Bertolini e la costruzione dell’indice TOD proposto da Evans e Pratt nel 2007 e dal Centre for transit-oriented development al fine di sviluppare tipologie di applicazione del metodo TOD negli Stati Uniti.
Fornisce una rara applicazione nazionale del metodo TOD la sezione conclusiva del capitolo nella quale gli autori presentano i risultati di una ricerca finalizzata a classificare le stazioni ferroviarie lombarde e a proporre interventi per migliorarne l’efficacia nel sistema dei trasporti e delle aree urbane regionali. La considerazione di premessa che il raddoppiamento delle tratte e la costruzione di nuove stazioni non abbia portato ad un incremento significativo del riparto modale ferroviario (fermo al 10%), fornisce la premessa per indagare le stazioni con attenzione ad una pluralità di indicatori di nodo (riferiti al sistema di trasporto generale) e di indicatori di luogo (concernenti il contesto demografico, produttivo e territoriale). Il fatto che i problemi evidenziati non rinviino solo ai limiti diretti del sistema ferroviario (tipicamente alle basse frequenze e ai lunghi tempi di percorrenza) ma anche a quelli indiretti (la scarsa integrazione con le altre modalità del sistema della mobilità) e alle caratteristiche del sistema territoriale che gravita attorno ai nodi ferroviari, suggerisce di promuovere misure idonee ad intervenire sulle dimensioni trasportistiche e territoriali dell’accessibilità dei nodi ferroviari. Dedicando attenzione ad esperienze internazionali di successo quali gli interventi della SNCF nella regione dell’Ile de France, viene infine posta attenzione alle politiche per migliorare l’offerta dei servizi nelle stazioni che servono popolazioni con specifici bisogni di mobilità, come quelle turistiche o pendolari di lunga distanza, che ne utilizzano gli spazi per svolgere attività di co-working o per accedere a servizi urbani altrimenti inaccessibili.
La sezione conclusiva del testo Pucci e Vecchio è dedicata a un tema, quello delle politiche, che in realtà accompagna il discorso portato aventi nell’intero saggio. È ancor più chiara in quest’ultimo passaggio del testo l’intenzione di parlare di politica nel suo significato originale di sistema di valori che muove gli interventi per la mobilità delle persone. Valori che rinviano all’accessibilità alle opportunità urbane e, quindi, al fine di rispondere ai bisogni di interazione e di inclusione spaziale e sociale degli attori (come nelle politiche delle città sud-americane descritte nel volume o in quelle sui processi partecipativi della città di Montreal in Canada). O i nuovi valori che sottendono le politiche per la mobilità sostenibile e che rinviano ai principi di preservazione delle risorse ambientali in un’ottica di equità intra e intergenerazionale.
Gli autori che più hanno accompagnato la lettura del testo, soprattutto Martens e Sheller, vengono qui citati con attenzione ai principi etici dell’equità e della giustizia alla base degli interventi per meglio distribuire i costi e i benefici, per garantire a tutti i membri della società un sufficiente livello di accesso e a quelli più bisognosi un’attenzione specifica (nel rispetto del principio “positive discrimination” che, in condizioni di limitatezza delle risorse, suggerisce di sacrificare l’approccio universalistico a vantaggio di quello selettivo). La difficoltà, più volte ricordata, di promuovere politiche della mobilità attente a questi valori, suggerisce di dedicare l’ultimo passaggio del libro al tema della progettazione delle politiche nelle tre fasi che le compongono, quella di definizione dei problemi (design), delle misure (implementation) e dei risultati (evaluation). Una lettura delle politiche nella quale la pluralità degli attori, degli scambi, degli interessi e dei risultati è considerata un elemento strutturale del processo decisionale circolare e in cui, come si legge nelle righe conclusive del volume, la sperimentazione può rappresentare un valore delle politiche centrate sulla dimensione abilitante della mobilità.
Matteo Colleoni
N.d.C. Matteo Colleoni è professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio dell’Università degli Studi di Milano Bicocca e Delegato della Rettrice per la Sostenibilità. Insegna Sociologia del turismo nel corso di laurea triennale in Scienze del Turismo e Comunità locale, Politiche urbane nel corso di laurea magistrale in Analisi dei processi sociali e Mobility and Urban Changes nel dottorato di ricerca Urbeur-Urban Studies. Ha inoltre svolto attività didattica presso l’Université Joseph Fourier - Science, Technologie et Santé di Grenoble, il Luxembourg Institute of Socio-Economic Research, la Shanghai University in Cina e la Libre Université di Bruxelles in Belgio.
Tra i suoi libri: I tempi sociali, Teorie e strumenti di analisi (Carocci, 2004); a cura di, Per-correre la vita. Autonomia e mobilità delle persone disabili (F. Angeli, 2008); a cura di, La ricerca sociale sulla mobilità urbana. Metodo e risultati di indagine (Cortina, 2008); con Maurizio Bergamaschi e Franco Martinelli, a cura di, La città. Bisogni, desideri, diritti. Dimensioni spazio-temporali dell'esclusione urbana (Angeli, 2009); a cura di, La mobilità territoriale nelle società contemporanee (Angeli, 2011); con Marco Castrignanò e Cristina Pronello, a cura di, Muoversi in città. Accessibilità e mobilità nella metropoli contemporanea (Angeli, 2012); con Francesca Guerisoli, La città attraente. Luoghi urbani e arte contemporanea (Egea, 2014); con Paola Pucci, a cura di, Understanding mobilities for designing contemporary cities (Springer, 2016); Mobilità e trasformazioni urbane. La morfologia della metropoli contemporanea (Angeli, 2019); con Massimiliano Rossetti, a cura di, Università e governance della mobilità sostenibile (Angeli, 2019).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
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