|
|
Nel libro La città racconta le sue storie. Architettura, paesaggi e politiche urbane. Roma 1870-2020 (Quodlibet 2021), Piero Ostilio Rossi, studioso di Roma moderna e contemporanea, ha raccolto tredici saggi (uno per capitolo), scritti fra il 1996 e il 2021, diversi per tema e per ampiezza, volti a commentare e ad approfondire, con una vasta documentazione, importanti episodi dell’architettura e dell’urbanistica capitolina dall’Unità a oggi.
Il mare come destino di Roma. Una storia di lunga durata è il primo capitolo dedicato ai territori e alle vicende di Roma extra moenia, di solito trascurati. Comincia con la disastrosa esondazione del Tevere del 28 dicembre 1870, a poco più di tre mesi dalla Breccia di Porta Pia, quando mezza Roma finì sott’acqua, dal colonnato del Bernini a piazza del Popolo, fino a piazza Colonna, e non pochi videro nella catastrofe una vendetta divina per l’oltraggio inflitto alla città del papa. Le commissioni subito istituite misero in luce le terribili condizioni di vita degli abitanti dell’Agro, alcuni ancora nomadi, destando l’interesse di uomini politici e di studiosi anche fuori d’Italia. Fu posta in luce l’anomalia della capitale rispetto alle altre città italiane inserite in realtà territoriali complesse, con centri abitati situati a breve distanza uno dall’altro: Roma era invece attorniata per molti chilometri dal latifondo di proprietà di nobili e di “mercanti di campagna”, com’erano chiamati gli affittuari e gli esponenti dei primi ceti borghesi che fin dal XVI secolo fornivano servizi e prestiti al clero e all’aristocrazia. Un desolato paesaggio, attraversato dai resti degli acquedotti, che era stato floridissimo in età imperiale, poi afflitto da stagni e malaria soprattutto in prossimità della costa e della foce del Tevere.
Solo con l’Unità d’Italia ripresero l’interesse e le politiche per l’Agro romano, il Tevere e il porto di Roma. Si susseguirono le proposte di bonifica e di recupero; negli anni del fascismo prese forza l’idea di portare Roma al mare e nel 1923 una delibera del Consiglio comunale approvò il progetto del nuovo quartiere di Ostia (che poi diventò Lido di Ostia). Da allora ha inizio la rinascita del territorio costiero le cui tappe essenziali furono: nel 1924, la linea ferroviaria Roma-Ostia; nel 1925, lo spettacolare stabilimento balneare “Roma”, una sorta di residuo della Bella Époque, fatto saltare dai tedeschi nel 1943; nel 1928, la via del Mare (seconda autostrada realizzata in Italia dopo la Milano-Laghi del 1924); nel 1949, il noto trampolino per tuffi a forma circolare progettato da Pier Luigi Nervi per lo stabilimento Kursaal.
Oggi, il porto di Traiano è un’oasi di uccelli acquatici che sostano fra le rovine di età romana e una rigogliosa vegetazione spontanea. Lido di Ostia è una popolosa frazione litoranea di Roma Capitale e una frequentata stazione balneare.
I successivi capitoli (= saggi) del libro affrontano altre storie e altri problemi, dalle tipologie edilizie che hanno caratterizzato la crescita della capitale alla realizzazione della via dell’Impero (poi Cristoforo Colombo), all’E42 (poi Eur), al Foro Mussolini (poi Foro Italico) dove si era pensato di organizzare i giochi olimpici del 1936 (quelli che si svolsero invece a Berlino). Il libro di Piero Ostilio Rossi conferma che nell’urbanistica romana il passaggio dalla democrazia al fascismo non è segnato da memorabili discontinuità. Basta ricordare che l’importante ruolo pubblico svolto da personalità come Luigi Piccinato, Virgilio Testa, Cesare Valle e altri si è sviluppato senza problemi prima e dopo il 25 luglio del 1943.
Nel dopoguerra, l’espansione di Roma è vertiginosa. Nei quarant’anni dal 1931 al 1971 è quasi triplicata la popolazione, da poco più di 900 mila a circa due milioni 740 mila residenti ed è stata quindi convulsa l’attività edilizia e intensa anche la costruzione di case popolari. Le Olimpiadi del 1960 furono un trionfo e parte del merito è certamente dei nuovi impianti sportivi, quelli del quartiere Flaminio (villaggio olimpico, palazzetto dello sport, stadio Flaminio, viadotto del corso di Francia) e quelli all’Eur (palazzo dello sport, piscina delle rose, velodromo, quest’ultimo insensatamente demolito nel 2008). Piero Ostilio Rossi ci ricorda che anche Le Corbusier venne a Roma, ospite di Pier Luigi Nervi, per approfondire la conoscenza delle nuove architetture olimpiche. E probabilmente si deve alle Olimpiadi del 1960 la “promozione” dell’Eur – liberata dalla pesante eredità di essere opera del regime fascista – fra i quartieri importanti di Roma.
Un capitolo del libro (il nono) è dedicato a Saverio Muratori, architetto, progettista di nuovi quartieri di Roma (Ina-Casa al Valco San Paolo, Tuscolano e altri) ma soprattutto il più originale studioso dei fenomeni evolutivi della città, in particolare dei caratteri tipologici degli insediamenti.
L’ultimo capitolo, d’indiscutibile attualità (Roma 2025. Appunti per la città che verrà), scritto nel 2021, si occupa del futuro di Roma. È il resoconto di una consultazione internazionale (Roma 20-25. Nuovi cicli di vita della metropoli) svolta nel 2015 per iniziativa di Giovanni Caudo, assessore all’urbanistica del sindaco Ignazio Marino. La consultazione fu in verità un workshop di progettazione che impegnò per alcuni mesi venticinque scuole di architettura di tutto il mondo con l’obiettivo di raccogliere idee e riflessioni in vista del Giubileo 2025. Il programma dell’amministrazione comunale era di mettere a confronto le strategie proposte per la città che sarebbero scaturite da Roma 20-25 con le conferenze urbanistiche dei quindici municipi (che si erano svolte nel 2014) e con il progetto “Roma resiliente” avviato dalla Fondazione Rockefeller nel 2014.
Piero Ostilio Rossi parte dagli esiti del workshop del 2015 rivedendoli non solo con “la necessaria distanza critica”, ma soprattutto alla luce dell’emergenza sanitaria che ci tormenta dalla primavera 2020. Ritiene che alcune delle indicazioni allora emerse siano tuttora di particolare importanza se assunte con “lo sguardo inquieto e problematico” che la pandemia ha imposto al nostro Paese e in tutto il mondo. Non ci sono certezze, e in una situazione “nella quale si è rinunciato a una cospicua parte delle libertà personali a favore della solidarietà sociale”, si affollano le domande. Come sarà il futuro del lavoro? Che ne sarà del trasporto pubblico? I negozi di quartiere continueranno a svolgere il servizio che hanno assicurato durante l’emergenza o riprenderà il modello di progressiva concentrazione dei punti vendita? E che ne sarà dello spazio pubblico urbano?
Sono solo alcune delle domande che pone Piero Ostilio Rossi. Alle quali contrappone come opportunità positiva (sempre che “la città riesca a dotarsi di un efficiente sistema integrato e sostenibile di infrastrutture di trasporto”) il fatto che Roma si sia storicamente ampliata in un vasto spazio deserto. Ma se lo sviluppo è avvenuto finora con la schiena rivolta al territorio circostante e “lo sguardo ben saldo verso il centro”, adesso lo sguardo deve volgere verso l’esterno, verso lo spazio aperto, e in questo senso Rossi apprezza le diciotto centralità del nuovo piano regolatore.
In effetti, le diciotto centralità urbane e metropolitane sono la scelta fondamentale del nuovo piano regolatore nelle cui pagine si legge: “tutte lontane dal centro, tutte servite da trasporto pubblico su ferro, tutte qualificate da funzioni pregiate [in esse] vive l’organizzazione policentrica della città. Un sistema che pone le basi per lo sviluppo autonomo dei futuri municipi metropolitani e per la valorizzazione delle risorse locali esistenti”. Benissimo, ma non nascondo una perplessità derivante dalle tristi vicende del piano regolatore del 1965 che, come sappiamo, era costruito su tre sole centralità: il centro storico, l’Eur e l’Asse attrezzato (che in seguito cambiò nome e diventò il famoso Sistema direzionale orientale, Sdo). Ma sappiamo anche che la filosofia del piano del 1962 fu travolta da un ingiustificato sovradimensionamento e, più ancora, da un’azione politica che ha rinunciato a fermare l’abusivismo (tema cruciale dell’urbanistica di Roma) e ha consentito l’infinito disordine che ancora affligge la nostra città. Se questo è stato l’esito di una scelta urbanistica fondata su presupposti razionali e convincenti (le tre centralità), che avrebbero dovuto delimitare e “specializzare” lo sviluppo, non può non preoccupare l’esito del piano del 2018 caratterizzato invece dalla disseminazione in periferia di ben diciotto centralità, troppe per essere efficaci focolai di rigenerazione.
Secondo me, sarebbe utile e importante tenere aperta la discussione sull’attuazione delle centralità. Da qualche tempo è in sonno il dibattito sull’urbanistica della capitale che in altre stagioni era al centro della vita politica e culturale, e non solo di Roma: il libro di Piero Ostilio ha la qualità e gli argomenti per consentirci di ricominciare.
Vezio De Lucia
N.d.C. - Vezio De Lucia, urbanista, è stato presidente dell'Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, segretario generale dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, consigliere nazionale di Italia Nostra, consigliere della Regione Lazio e assessore all'Urbanistica del Comune di Napoli.
Tra i suoi libri: con Edoardo Salzano e Francesco Strobbe, Riforma urbanistica 1973 (Edizioni della Lega per le autonomie e i poteri locali, 1973); con Vincenzo Cabianca e Giovanna Censi, Sulla regolamentazione del regime del regime dei suoli (Ceres, 1975); Se questa è una città (Editori Riuniti, 1989; 1992; Donzelli, 2006); Peccato capitale. Storia urbanistica di Roma, da Argan a Carraro (il manifesto, 1993); Napoli. Cronache urbanistiche 1994-1997, a cura di Antonio Pastore (Baldini & Castoldi, 1998); Di mestiere urbanista. Scritti per Il Messaggero (Maggioli, 2008); Le opinioni di un urbanista. Scritti per Eddyburg (Maggioli, 2008); Le mie città. Mezzo secolo di urbanistica in Italia (Diabasis, 2010); con Maria Pia Gueramandi, a cura di, Paesaggio: la tutela negata. Primo rapporto nazionale sulla pianificazione paesaggistica (Italia Nostra, 2010); con Ella Baffoni, La Roma di Petroselli. Il sindaco più amato e il sogno spezzato di una città per tutti (Castelvecchi, 2011); Nella città dolente. Mezzo secolo di scempi, condoni e signori del cemento dalla sconfitta di Fiorentino Sullo a Silvio Berlusconi (Castelvecchi, 2013); con Francesco Erbani, Roma disfatta. Perché la capitale non è più una città e cosa fare per ridarle una dimensione pubblica (Castelvecchi, 2016); Napoli, promemoria. Storia e futuro di un progetto per la città (Donzelli, 2018).
Sul libro Roma disfatta, v. in questa rubrica i commenti di Sergio Brenna (Roma, ennesimo caso di fallimento urbanistico, 10 marzo 2017) e Federico Oliva ("Roma disfatta": può darsi, ma da prima del 2008, 17 marzo 2017).
Per Città Bene Comune, De Lucia ha scritto: Crisi dell’urbanistica, crisi di civiltà, commento al libro di Giancarlo Consonni (18 maggio 2017).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 04 MARZO 2022 |