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Quanto lavoro servirà per ricostruire, dopo una guerra come questa? Le devastazioni di Mariupol, città martire per eccellenza, ma anche quelle di tutte le città ucraine colpite dalle bombe, dai missili, dagli obici e dai tanks. Serviranno anni, molti anni. E poi ci dovrà essere la ricostruzione “morale”: quanto tempo ci vorrà per eliminare le scorie del dolore, dei lutti, dell’astio e dell’odio seguito all’invasione, ai massacri, alle ritorsioni? Ci vorranno generazioni.
Ce lo dice, con lucida analisi, come solo un poeta riesce a fare, Wislawa Szymborska, polacca, premio Nobel nel 1996. E con una punta di amaro sarcasmo, che non manca mai nelle sue poesie:
“Dopo ogni guerra / c’è chi deve ripulire. / In fondo un po’ di ordine / da solo non si fa. / C’è chi deve spingere le macerie / ai bordi delle strade / per far passare / i carri pieni di cadaveri. / C’è chi deve sprofondare / nella melma e nella cenere, / tra le molle dei divani letto, / le schegge di vetro / e gli stracci insanguinati. / C’è chi deve trascinare una trave / per puntellare il muro, / c’è chi deve mettere i vetri alla finestra / e montare la porta sui cardini”
Fin qui la descrizione, cruda, dei lavori necessari. Ma le considerazioni che seguono sono anche più amare. A partire dal tempo necessario:
“Non è fotogenico / e ci vogliono anni. / Tutte le telecamere sono già partite / per un’altra guerra. / Bisogna ricostruire i ponti e anche le stazioni. / Le maniche saranno a brandelli / a forza di rimboccarle. / C’è chi con la scopa in mano / ricorda ancora com’era. / C’è chi ascolta / annuendo con la testa non mozzata. / Ma presto / gli gireranno intorno altri / che ne saranno annoiati”
Dovremo fare i conti, dunque, con l’assuefazione, con il disincanto. E anche, ci dice la Szymborska, con la voglia di riscrivere la storia, magari per il solo gusto di rimuovere:
“C’è chi talvolta / dissotterrerà da sotto un cespuglio / argomenti corrosi dalla ruggine / e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti. / Chi sapeva / di che si trattava, / deve far posto a quelli / che ne sanno poco. / E meno di poco. / E infine assolutamente nulla”.
I vecchi e nuovi revisionismi, nemici della verità, e forieri sempre di rinnovate tragedie.
Infine:
“Sull’erba che ha ricoperto / le cause e gli effetti, / c’è chi deve starsene disteso / con la spiga tra i denti, / perso a fissare le nuvole”
Sarcasmo? Non solo. Di quante guerre ci siamo ormai dimenticati? La rimozione della storia (magistra vitae, ricordiamolo ) è rimozione della ragione stessa della vita. Non si può ricostruire davvero senza fare tutti i conti col passato. Il primo maggio, festa universale del lavoro, ci deve ricordare anche questo: guardare a fondo dentro noi stessi e non dimenticare.
Pino Landonio Nato nel 1949, padre di due figli e nonno di 5 nipoti. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1973, e specializzato in Ematologia (1978) e in Oncologia (1986). Ha lavorato come ematologo e poi come oncologo all’Ospedale Niguarda, dal 1975 al 2006. Dal 2005 al 2010 è stato Consigliere Comunale a Milano. Dal 2011 collabora con l’Assessorato al Welfare del Comune di Milano e coordina, a Palazzo Marino, l’iniziativa “Area P” (incontri mensili di poesia). Ha pubblicato, per Ancora, tre raccolte di “Dialoghi immaginari” con poeti di tutti i tempi e paesi (2015, 2017 e 2019) e “Guarda il cielo”(30 racconti, 2016). Ha inoltre pubblicato "Modello Milano " (Laurana, 2019); "Modello Lombardia?" (Ornitorinco, 2020); "E la gente rimase a casa" (La mano, 2021). (ndr)
© RIPRODUZIONE RISERVATA 06 MAGGIO 2022 |