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Ci sono guerre lampo che si chiudono nello spazio di pochi giorni: era quello che si augurava Putin all’inizio dell’ “operazione speciale” in Ucraina, sbagliando però i calcoli in modo clamoroso. E ci sono quelle che si trascinano per anni, con fasi altalenanti e con lunghi periodi di “sordina”: sono le guerre di logoramento, ed è quello che non possiamo sicuramente augurarci.
Questa guerra ha dei contorni strani. Partita con l’assalto delle truppe russe, ha visto una immediata e inaspettata resistenza Ucraina, che ha presto costretto Putin al piano B: concentrare tutte le forze nel Donbass per assestare almeno li un colpo alle forze di terra ucraine. A Mariupol, città martire per eccellenza, lo scontro si è ormai risolto a vantaggio dei russi, con la resa degli armati della brigata Azov che presidiavano l’acciaieria. Altrove si assiste a un tentativo dell’esercito ucraino, grazie all’invio di armi più sofisticate dall’Occidente (USA in testa), di recuperare posizioni.
La guerra, nonostante le nuove tecnologie in campo (dai razzi ipersonici, ai droni, alle nuove tecniche di avvistamento del nemico) appare sempre più una guerra del ‘900, e molto più simile alla prima che alla seconda guerra mondiale: sia perché sempre più spesso si vedono costruire trincee e sempre meno si vede in campo l’aviazione, sia ucraina che russa.
Siamo di fronte a una sorta di impantanamento del conflitto, a una fase di stallo: è proprio questo il momento in cui la diplomazia, finalmente, può e deve rientrare in campo, visto che la sua voce, finora, è stata troppo flebile.
Ma chi può prendere autorevolmente l’iniziativa? Sarà in grado l’Europa di assumere una propria posizione autonoma? Sperarlo è lecito, ma dubitarlo ancora di più. È verosimile che l’Europa, da sola, non ce la faccia, anche se un piano in quattro punti è stato posto dall’Italia sul tavolo dell’Onu. Sostanzialmente si parla di cessate il fuoco immediato; neutralità dell’Ucraina (niente NATO) e ingresso nella UE; piena autonomia delle zone contese, ma sovranità di Kiev; un accordo multilaterale sulla sicurezza in Europa, che preveda il ritiro progressivo dell’esercito russo e il contemporaneo alleggerimento delle sanzioni.
È un primo passo. Ma basterà? Sicuramente no. Fonti diplomatiche rusee l’hanno già sprezzantemente rigettato. E allora è necessario che una mossa la faccia Biden, in prima persona, deponendo una intransigenza che non può portare molto lontano, come tra le righe gli deve avere chiesto Draghi nell’incontro alla Casa Bianca.
Con tutta l’avversione che Putin ha per l’Occidente, USA in testa, una discesa in campo di Biden darebbe all’autocrate quanto meno l’idea di un riconoscimento dell’importanza della Russia nello scacchiere internazionale. E Zelensky, a sua volta, sarebbe costretto a silenziare le posizioni più velleitarie di “vittoria finale”. Biden dovrebbe chiedere innanzitutto un cessate il fuoco; e, in seconda battuta, potrebbe proporre uno scambio di prigionieri. Se così fosse, ci sarebbe poi il tempo per ricomporre un tavolo di confronto, che dovrà vedere, ovviamente, ucraini e russi al centro, ma garantiti, rispettivamente, da paesi che possano tutelarne gli interessi: Turchia e forse Cina dal lato russo; una rappresentanza autorevole europea, con una eventuale presenza USA sul fronte ucraino.
È ora che finalmente tacciano le armi. Dopodiché tutto è possibile. Perfino che una guerra sanguinosa, crudele, e dalle conseguenze finora imprevedibili, possa porre le basi di un nuovo ordine internazionale.
Voglio un’altra volta richiamare il paradosso di Von Clausewitz, “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, soprattutto per quello che diceva dopo: “Dal momento che la guerra è controllata dal suo scopo politico, lo scopo politico e il suo valore devono servire di misura alla grandezza dei sacrifici a cui siamo disposti ad assoggettarci, applicabile sia all’estensione che alla durata di essi. Appena il dispendio di forze diviene così grande che il valore dello scopo politico non lo compensi più, tale scopo deve essere abbandonato, e deve conseguire la pace”. Che siamo giunti a questa fase? Per quanto non sia facile ipotizzarlo, il realismo cinico di Von Clausewitz ce lo fa almeno sperare.
Pino Landonio Nato nel 1949, padre di due figli e nonno di 5 nipoti. Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1973, e specializzato in Ematologia (1978) e in Oncologia (1986). Ha lavorato come ematologo e poi come oncologo all’Ospedale Niguarda, dal 1975 al 2006. Dal 2005 al 2010 è stato Consigliere Comunale a Milano. Dal 2011 collabora con l’Assessorato al Welfare del Comune di Milano e coordina, a Palazzo Marino, l’iniziativa “Area P” (incontri mensili di poesia). Ha pubblicato, per Ancora, tre raccolte di “Dialoghi immaginari” con poeti di tutti i tempi e paesi (2015, 2017 e 2019) e “Guarda il cielo”(30 racconti, 2016). Ha inoltre pubblicato "Modello Milano " (Laurana, 2019); "Modello Lombardia?" (Ornitorinco, 2020); "E la gente rimase a casa" (La mano, 2021). (ndr)
© RIPRODUZIONE RISERVATA 30 MAGGIO 2022 |