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Con Rappresentare mondi di vita. Radici storiche e prospettive per il progetto di territorio (Mimesis, 2019), Daniela Poli conferma il proprio interesse per il dispositivo ‘carta’. Come è noto, nello studio della carta, considerata negli aspetti relativi alla sua produzione – committenza, istituzioni, autori, evoluzione delle tecniche di costruzione del canovaccio geometrico e del paesaggio topografico – e presa in esame come risultato di una concezione del mondo e di una cultura, i più attivi in Italia sono stati in primo luogo i geografi. Ma sappiamo anche come la riflessione sulla carta abbia coinvolto autori delle più varie estrazioni: semiologi, filosofi, storici, archivisti, letterati, storici dell’arte e artisti stessi… Paradossalmente, mi pare assai meno ampio il panorama degli interventi da parte di coloro per i quali la carta è strumento quotidiano di lavoro: architetti e urbanisti professionisti. Non sono molti i casi di tali specialisti che, utilizzando carte del passato in funzione dei piani – dunque in funzione di carte da loro stessi prodotte – hanno affrontato la carta dal punto di vista epistemologico, si sono interessati dei processi culturali che storicamente hanno riguardato l’evoluzione della cartografia o si sono interrogati sulle questioni ‘dietro’ la carta, a cominciare dalle intenzioni che ne hanno motivato la realizzazione. E non è raro trovare, anche in ambiente scientifico, pubblicate a scopo puramente esornativo le magnifiche figure realizzate in Antico Regime quando l’astrazione e l’uniformazione dei segni non avevano ancora pienamente investito la carta e il topografo trasferiva nel disegno cartografico il linguaggio imitativo, trasparente, dell’arte (pittoresque). L’apporto innovativo di Daniela Poli in tema di carte è di aver innestato nella propria attività di urbanista la riflessione, che ha attraversato il secondo Novecento e oltre, e di aver considerato le carte delle epoche passate nell’opportunità conoscitiva che esse offrono a vantaggio di una progettazione incentrata sul territorio come prodotto storico; di più: di essere entrata ‘dentro’ la carta storica per derivarne, senza rifiutare di “‘sporcarsi le mani’ con la polvere delle grafite o con l’inchiostro” (p. 9), nuove metodologie, più capaci, rispetto alla cartografia astratta dell’informatizzazione, di registrare le qualità, il carattere identitario, il contenuto sociale dei luoghi.
Senza pretendere, come precisa, di qualificarsi come storica della cartografia (il suo campo di ricerca non sono tanto i depositi archivistici quanto il territorio stesso), l’autrice si è posta davanti alle carte nella duplice veste dell’architetta e della geografa. Un posizionamento cui è giunta attraverso vaste letture interdisciplinari e i riflessi di un fatto autobiografico: la conoscenza diretta e la collaborazione con Massimo Quaini che di quella stagione rivoluzionaria dal punto di vista epistemologico è stato protagonista. E difatti è a lui che l’autrice dedica il libro. Entrando dunque pienamente nel dibattito teorico che dagli anni Settanta-Ottanta del Novecento, con Brian Harley, si è sviluppato a scala internazionale intorno alla carta, Daniela Poli riflette sul primo dispositivo di visualizzazione dello spazio geografico inserendosi nel solco delle teorie decostruzioniste che hanno scardinato l’ottica positivista: la carta non è specchio fedele del mondo; in quanto rappresentazione essa riflette, certo, la realtà, ma una realtà filtrata dalle intenzioni del committente, dalle tecniche di rilevamento di una data epoca, dalle capacità e dallo ‘sguardo’ del soggetto che la realizza. Dall’interno del quadro di pensiero qui sinteticamente richiamato, Daniela Poli rivolge la propria attenzione alla cartografia storica rileggendola alla luce del contesto che l’ha prodotta al fine di trarne preziose indicazioni per gli interventi dell’oggi; ciò che le interessa non sono soltanto i dati realistici attraverso i quali riavvolgere il filo delle trasformazioni materiali dello spazio geografico, ma le “vite” che la carta lascia trapelare: pratiche, intenzioni, memorie di coloro che quei luoghi hanno abitato.
Attestandosi su quest’ultima prospettiva l’autrice imposta il volume come lunga e articolata risposta all’interrogativo che Quaini si era posto:
Massimo si chiedeva costantemente se il cartografo storico, figura formatasi fra luci e ombre durante la modernità, avesse un ruolo ancora adesso, dopo così tanto tempo. Questa domanda è stata per me un pungolo costante che mi ha fatto inoltre percepire come il processo di modernizzazione della scienza avesse reciso quel filo che naturalmente avrebbe dovuto legare l’attività degli urbanisti e dei pianificatori del territorio a quella degli antichi cartografi. I cartografi provenivano infatti da professioni varie (artisti, pittori, ingegneri, architetti, incisori, ecc.) ed erano impegnati anche nella redazione di carte ricognitive, conoscitive, progettuali alle varie scale. Si tratta di un cono d’ombra che è rimasto inesplorato per lungo tempo e che a mio avviso andava rischiarato per comprendere quanto di quel passato potesse essere oggi messo a frutto per tornare a rappresentare la complessità dei luoghi (p. 9).
Ragionare sulla competenza e professionalità dei cartografi del passato, sulla «funzione rilevante del cartografo come mediatore di saperi fra la comunità locale e il governo centrale che la carta con mille sfumature ha registrato nel corso della storia», entrare nel merito dei modi in cui egli lavorava nell’“affrontare le questioni tecniche ma anche nel dirimere i conflitti locali e nel trasporre sulla carta, con tecnica e maestria, i caratteri e le fattezze del luogo” (p. 105) non è per Daniela Poli semplice curiosità intellettuale sul modus operandi di coloro che al sevizio di un sovrano o di un generale producevano disegni utili a governare/dominare lo spazio geografico, ma la maniera per riproporre, oggi, la possibilità di rappresentare i luoghi nella profondità dei loro contenuti sociali: la mappa piena piuttosto che la mappa vuota; lo spazio odologico, vissuto, “del viandante”, piuttosto che lo spazio euclideo del geometra.
Come anticipato nell’introduzione, il volume si fonda su “quattro orizzonti di ricerca” (la capacità performativa della rappresentazione visiva, la rappresentazione come sistema di potere, le forme e le tecniche della cartografia storica, la rappresentazione patrimoniale del territorio) che l’autrice ha maturato, come si è detto, attraverso il confronto con la migliore tradizione recente di studi sulla carta: sia studi teorici sia analisi di documenti specifici. Su queste basi il libro si articola in otto capitoli. Se il primo porta nel titolo La concezione dello spazio nelle società premoderne e il settimo (Sulla rappresentazione urbanistica) è evidentemente riferito alle cartografie prodotte in seno a questa nuova disciplina che “solo con il Novecento inizia a consolidare strumenti e modalità di intervento”, non si pensi che l’autrice tratti in modo cronologico-evolutivo quanto in fatto di rappresentazioni cartografiche è sortito nel lunghissimo tempo considerato. Un tale approccio non avrebbe forse suscitato particolare interesse dal momento che di certo non mancano le storie generali della cartografia – più o meno critiche, più o meno riassuntive – dalla mappa di Bedolina o dalle ‘mappe’ ‘mitiche’ degli aborigeni australiani, attraverso le mappae mundi del mondo sacralizzato del lungo Medioevo (non di rado parallele alle più funzionali mappe portolaniche), quindi all’opera di Ortelio e via dicendo. La prospettiva in cui mi pare di poter iscrivere il lavoro di Daniela Poli è la restituzione della vicenda cartografica per capitoli che, certo, nell’insieme disegnano una traiettoria dal più lontano passato al presente ma che dalla concezione descrittivo-evolutiva si discosta nettamente. Ogni capitolo sviluppa una tematica ‘mescolando le carte’, vale a dire richiamando con approccio diacronico saperi, tecniche (variamente tributarie nel corso dei secoli dell’arte e della geometria), pratiche che consentono all’autrice di costruire il proprio discorso sulle connessioni fra una data categoria analitica (il paesaggio, la città), una data disciplina (e sono in primo luogo l’urbanistica e la geografia essere esplicitamente prese in considerazione), una data prospettiva interpretativa (positivismo, determinismo, possibilismo, funzionalismo ecc.) e le rappresentazioni del mondo e dei luoghi (e scale intermedie). Così ogni capitolo funziona un po’ come un ipertesto che compie la promessa contenuta nel suo titolo consentendo al lettore di creare un autonomo percorso di lettura, beninteso all’interno della tesi fondamentale, presente in tutto il lavoro ma definitivamente sviscerata nelle pagine finali. Qui, abbandonate le ben documentate incursioni in diverse discipline – ma senza tralasciare la lezione dei geografi che hanno dato il migliore contributo di riflessione quando non di vero e proprio impegno in campo urbanistico – Daniela Poli si riposiziona nella propria, l’urbanistica appunto (capitolo 7).
La rilettura, sintetizzata in tre tappe, della nascita e dell’evolversi del pensiero e dell’azione urbanistici viene effettuata dall’autrice puntando il fuoco sui piani che da quel pensiero e da quell’azione sono derivati: una pagina di storia della cartografia non troppo indagata nella letteratura storico-geografica disciplinare. Troviamo qui presentati i caratteri della cartografia conseguente all’affermazione dell’urbanistica ottocentesca da cui deriva quella che Daniela Poli definisce la “città disegnata”. “Filosofia” della pianificazione e figure che la esprimono riflettono l’intento di armonizzare nuove esigenze economiche, interesse pubblico e interessi privati. Si tratta di un’urbanistica che, nella sostanza del piano come nel ricorso a forme di visualizzazione non compiutamente astratte, non è ancora disancorata dalla storia dei luoghi. La rottura avviene nel Novecento con l’affermarsi dell’urbanistica razionalista-funzionalista: sullo spazio bianco, senza ostacoli, della carta si decide e ridisegna lo spazio geografico ignorandone le preesistenze. È la logica della zonizzazione e delle planimetrie che “hanno il compito di raccogliere i dati regolativi di natura quantitativa” e nelle quali è spinto al massimo il processo di astrazione e di abolizione di tutti i particolari descrittivi (p. 151).
I limiti dell’urbanistica funzionalista e le ragioni di quella che da qualche anno tenta di frenarne la pervasività concettuale e spaziale – l’urbanistica post-razionalista – costituiscono l’argomento delle pagine dense e chiarificatrici dell’ultima parte del libro. Impegnata in prima persona nel processo di rottura di quella “gabbia d’acciaio” che è stata, ed è ancora, dell’urbanistica quantitativa, Daniela Poli ci trascina nell’orizzonte, non solo teorico, di una nuova urbanistica e di una nuova cartografia capaci di recuperare il metodo di lavoro del cartografo storico (capitolo 8). Gli antichi topografi che calcavano ogni strada e sentiero, guadavano torrenti, attraversavano boschi, campi, villaggi, parlavano con gli abitanti – riversando nelle loro memorie scritte e infine nelle loro mappe misure ma anche qualità dei luoghi – ispirano modelli di rappresentazioni correlati a scelte urbanistiche innovative e inclusive. Atlanti del territorio e del paesaggio, carte del patrimonio territoriale, mappe di comunità, piani paesaggistici fondati sull’interazione dei saperi (esperti e vernacolari) – sui quali Daniela Poli argomenta con lucido ottimismo – sono chiamati in causa al fine di riempire i vuoti di quella “cartografia senza cartografo” che, da oltre un secolo, priva le popolazioni dei loro “mondi di vita”.
Luisa Rossi
N.d.C. - Luisa Rossi, già professore associato di Geografia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Parma dove ha insegnato Geografia e Storia della geografia e delle esplorazioni, ha fatto parte del collegio dei docenti del dottorato di ricerca in Geografia storica per la valorizzazione del Patrimonio Storico Ambientale dell’Università degli Studi di Genova. Ha partecipato a numerosi progetti di ricerca nazionali, curato mostre e convegni e preso parte con comunicazioni scientifiche a seminari, convegni e congressi nazionali e internazionali. Ha inoltre collaborato con istituzioni scientifiche italiane e francesi ed è membro della Société de Géographie di Parigi e del Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici, incaricata del CISGE dei rapporti con enti scientifici stranieri.
Tra i suoi libri: (a cura di) Dora d’Istria, I bagni di mare. Una principessa europea alla scoperta della Riviera (Sagep, 1998); (a cura di) Dora d’Istria, Autunno a Rapallo. I bagni marini di una principessa in Liguria (Sagep, 2000); con Pia Spagiari (a cura di), Il pellegrino e la sua ombra. Il castello di Lerici e il territorio spezzino nel viaggio devozionale (Agorà, 2000); Lo specchio del Golfo. Paesaggio e anima della provincia spezzina (Agorà, 2003); L’altra mappa. Esploratrici viaggiatrici geografe (Diabasis, 2005; 2011); con Giorgio Mangani, Gli emblemi delle regioni italiane di Cesare Ripa (1603) (inFolio, 2006); con Davide Papotti (a cura di), Alla fine del viaggio (Diabasis, 2006); con Massimo Quaini (a cura di), Cartografi in Liguria (sec. XIV-XIX), Dizionario Storico dei Cartografi Italiani (Brigati, 2007); con David Bellatalla e Carlo A Gemignani (a cura di), Eugenio Ghersi, un marinaio ligure in Tibet (Sagep, 2008); con Raffaella Rizzo (a cura di), Ricamare il mondo. Le donne e le carte geografiche (Società Geografica Italiana, 2008); Napoleone e il Golfo della Spezia. Topografi francesi in Liguria tra il 1809 e il 1811 (Silvana Ed., 2008); con Luca E. Cerretti (a cura di), Mediterranei (Diabasis, 2010); con Massimo Quaini (a cura di), Paesaggi agrari. L'irrinunciabile eredità scientifica di Emilio Sereni (Silvana Ed., 2011); con Federica Frediani e Ricciarda Ricorda (a cura di), Spazi segni parole. Percorsi di viaggiatrici italiane (Franco Angeli, 2012); (a cura di), Geografie in gioco. Massimo Quaini, pagine scelte e bibliografia (Apm, 2012); (a cura di), W.C. Trafford, La vista del mondo (Il Melangolo, 2013); (a cura di), Dietrich Lueckoff, Friedrich Nerly a Porto Venere. Estate 1828 (Il nuovo Melangolo, 2014); Le Alpi delle donne. Pagine dalla montagna (Unicopli, 2020); con Roberta Cevasco, Carlo A. Gemignani e Daniela Poli (a cura di), Il pensiero critico fra geografia e scienza del territorio. Scritti su Massimo Quaini (Firenze University Press, 2021); La misura del paesaggio. Il viaggio topografico di Pierre-Antoine Clerc, capitano del Genio napoleonico (1770-1843) (Istituto Geografico Militare, in corso di pubblicazione).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 24 GIUGNO 2022 |
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M. Barzi, Indagare i margini, ovunque si trovino, commento a: J. L. Faccini, A. Ranzini, L’ultima Milano (Milano, Fondazione G. Feltrinelli, 2021)
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R. Pavia, Il porto come soglia del mondo, commento a: B. Moretti, Beyond the Port City (Jovis, 2020)
S. Sacchi, Lo spazio urbano è necessario, commento a L. Bottini, Lo spazio necessario (Ledizioni, 2020)
D. Calabi, La "costituzione" degli ebrei di Roma, commento a: A. Yaakov Lattes, Una società dentro le mura (Gangemi, 2021)
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