Francesco Erbani  
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UNA LINEA ROSSA PER IL CONSUMO DI SUOLO


Commento al libro di Vezio De Lucia



Francesco Erbani


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L’Italia era bellissima. Città e paesaggio nell’Italia repubblicana di Vezio De Lucia (DeriveApprodi, 2022) – con prefazione di Enzo Scandurra e un’appendice di fotografie di Italo Insolera – è un libro agile, dalla scrittura fluida, affabile sebbene si proponga uno scopo ambizioso: portare in evidenza come le questioni relative al territorio siano state tra degli elementi che hanno definito il profilo complessivo delle classi dirigenti, politiche e non solo, e permettano oggi di leggere più accuratamente e in profondità le tensioni e i conflitti che attraversano la società italiana nel suo complesso. Con il dono della sintesi, ma senza riduzione in pillole, il libro stimola una serie di riflessioni su alcuni passaggi di storia italiana di buona parte del Novecento e oltre, lo fa in maniera essenziale e documentata, adottando insieme alla visione a distanza, necessaria per cogliere il senso delle vicende narrate, anche la prospettiva della testimonianza diretta. Detto in termini semplici, è un libro di analisi storica e un libro dall’andatura autobiografica.

È un libro che con poche parole - quelle che ci vogliono e che molti, non solo gli addetti ai lavori, possono capire - fornisce un affresco a tinte evidenti di che cosa sia accaduto, e perché, alle nostre città, al nostro paesaggio. In qualche modo ricorda la capacità che aveva Leonardo Benevolo di stringere questioni complesse, anche storicamente, in una sintassi misurata che nel suo nucleo conteneva quello che andava evidenziato senza decori retorici. In più De Lucia procede quasi prendendo per mano il lettore, mostrandogli senza supponenza di che cosa è fatta la sua quotidianità, quali sono i diritti che può e deve esigere come cittadino, quali le battaglie che può intraprendere nella sua qualità di abitante. E al tempo stesso L’Italia era bellissima si sforza di chiarire il perché e quali vicende storiche consentano il persistere di un regime che privilegia quello che De Lucia chiama “lo strapotere della rendita” e come questo influisca sul fatto, per esempio, che molte città storiche siano palcoscenici per i turisti, che tanti quartieri vedano mutare drasticamente le loro componenti sociali a vantaggio di quelle ad alto reddito, che si possa ritenere connesso alla proprietà di un suolo il diritto a costruirvi quello che si vuole.

È un libro, si diceva, che prova ad andare all’origine delle cose. E che contiene anche i presupposti per agire. Non è un libro pessimista, a dispetto di quanto potrebbe indurre una superficiale interpretazione del titolo. Il capitolo finale, intitolato “La linea rossa”, può essere letto - almeno chi scrive queste note l’ha letto così - come un saggio di realismo, se per realismo s’intende quel che effettivamente va fatto, e può essere fatto, una volta analizzate le condizioni date. In poche ed esaurienti battute, De Lucia invita a lavorare dentro i confini di ciò che è stato realizzato, a praticare “una sorta di conservazione critica dell’urbanistica esistente”. È qui, secondo l’autore, quanto di più concretamente radicale si può realizzare, appunto, nelle condizioni date.

Fondamentale, scrive De Lucia, “è una mappa - approvata con deliberazione del consiglio comunale - con una linea rossa (il corsivo è nel testo, n.d.r.) che segna l’insormontabile confine fra lo spazio edificato e quello rurale e aperto. Una linea che rappresenta nuove e invalicabili mura urbane, all’interno delle quali convivono quasi ovunque le due principali componenti della città contemporanea: il centro storico e l’espansione moderna”. Vale a dire, rispettivamente, grosso modo il 10 e il 90 per cento della superficie totale delle nostre città. Il centro storico, insiste De Lucia, “è la porzione più piccola e preziosa dello spazio urbano e perciò da tutelare rigorosamente”, considerando, si può aggiungere, che al rischio di improvvide manipolazioni negli ultimi anni si sono sommati il progressivo spopolamento e la loro mercificazione turistica.

Nell’espansione moderna c’è di tutto. A Roma, per esempio, ci sono edilizia residenziale privata, edilizia pubblica, insediamenti abusivi e poi piccolo e grande commercio, produzione di beni e servizi, parchi, giardini, logistica, caserme, attrezzature sportive e tanto altro, compresa “la sterminata disseminazione edilizia degli ultimi tempi”, realizzata dalla seconda metà degli anni novanta in poi. È qui che è possibile, anzi che occorre intervenire, per riparare e per aggiungere ciò che è necessario e che è nelle aspettative di chi ci vive, soddisfacendo bisogni nuovi e bisogni antichi, ma inevasi. E infatti “gli spazi necessari possono essere agevolmente reperiti nell’ambito delle aree già compromesse, sottoutilizzate o dismesse”. Evitando, però, che a decidere che cosa fare e come intervenire siano i consueti attori indotti a ripiegare nel già costruito dall’impossibilità di agire in campo aperto.

Procedere in questa direzione non è velleitario: “quello che sto proponendo”, scrive De Lucia, “è un percorso molto meno drammatico di come può sembrare e non mancano gli esempi di recenti strumenti urbanistici a zero consumo di suolo”. Niente di più naturale, per De Lucia, che andare con la memoria autobiografica agli anni fra il 1993 e il 1997 quando, assessore nella prima amministrazione napoletana guidata da Antonio Bassolino, avviò l’elaborazione del piano regolatore del capoluogo campano, poi approvato nel 2004. La linea rossa era lì tracciata e da allora regge le sorti urbanistiche della città. Dunque, avverte l’autore, va percorsa una strada per azzerare il consumo di suolo e non solo per contenerlo, come invece si propone in alcuni ambienti.

La parte più corposa del libro può essere letta come un cammino di avvicinamento alla formulazione della linea rossa. L’incipit, però, poco più di una pagina, è dedicato a Eddy Salzano, l’ingegner Edoardo Salzano, “il più dotato, ancorché comunista, fra i giovani urbanisti”, come lo descrisse al giovane funzionario De Lucia l’allora direttore generale del ministero dei Lavori pubblici, Michele Martuscelli, invitandolo a contattarlo quando si trattò di scrivere il decreto sugli standard (era un periodo a cavallo fra il 1967 e il 1968). Da allora Eddy, poi diventato assessore a Venezia, sarebbe stato per tutta la vita qualcosa di più di una guida e di un amico: un giorno “mi donò una sua foto dedicata ‘a Vezio, che solo per colpa dei nostri genitori non è mio fratello’”.

Il capitolo centrale, Egemonia e declino dell’urbanistica, è una cronaca, abbraccia settant’anni di storia dei fenomeni urbani e territoriali facendo emergere, come si diceva, le vicende essenziali, quelle che hanno marcato i decenni dal dopoguerra in poi e che, messe in ordine in una gerarchia d’importanza, non vanno dimenticate oppure confuse in una piatta lettura del recente passato. Ecco, dunque, la “furente ricostruzione” (copyright Antonio Cederna), il rito ambrosiano, la Società generale immobiliare e la speculazione a Roma, il sacco di Napoli e di Palermo. E però poi la speranza, la carta di Gubbio sui centri storici, le battaglie di Italia Nostra e il rilancio dell’Inu voluto da Adriano Olivetti, i piani di Firenze (sindaco Giorgio La Pira, assessore Edoardo Detti), dei comuni della Maremma livornese (progettisti Lando Bortolotti, Leonardo Benevolo, Tommaso Giura Longo, Italo Insolera e Carlo Melograni), la strategia bolognese di Giuseppe Campos Venuti e Pierluigi Cervellati, il parco urbano di Ferrara (sindaco Roberto Soffritti, grande artefice l’avvocato Paolo Ravenna), i Sassi di Matera e il borgo La Martella (Ludovico Quaroni). Quindi le riforme, quelle condotte in porto - i già ricordati standard - e quelle fatte naufragare - la legge sul regime dei suoli di Fiorentino Sullo.

Sono anni di grandi fermenti. L’urbanistica entra con tutti i suoi titoli fra le materie all’attenzione di una politica lungimirante e realmente riformista, alla quale non sfugge come sulle sorti delle città e del territorio si confrontino diverse visioni del mondo, una orientata in direzione degli interessi generali, un’altra in rappresentanza di quelli particolari. Si ragiona di città e territorio usando parametri adottati per altre materie, la scuola, la sanità, i diritti civili. Ecco perché, come si diceva, l’urbanistica serviva a rendere più chiaro il profilo di una classe dirigente e del ceto politico, come apparve nettamente per il ruolo attribuito alla pianificazione territoriale e urbana nella stagione della programmazione economica.

Ancora una volta, fra quelle rivelatrici di quel discrimine figurano, nel racconto di De Lucia, le vicende romane. E in primo luogo, tra la fine degli anni settanta e i primi ottanta, il Progetto Fori, vale a dire la demolizione della via dei Fori imperiali e la ricomposizione dell’area archeologica centrale, concepito come opera per tutelare al meglio un patrimonio culturale e anche per realizzare un sistema di piazze antiche a disposizione della città contemporanea, “un sublime spazio pubblico”, l’avrebbe definito Benevolo, uno dei promotori insieme a Insolera, Cederna, al soprintendente Adriano La Regina e al sindaco della capitale, Luigi Petroselli.

De Lucia enumera altri episodi di buona pianificazione. Di Napoli si è detto, ma l’autore ricorda anche l’ambizioso piano di recupero delle periferie cittadine dell’aprile 1980, sulla base del quale poi s’intervenne nella ricostruzione post terremoto. E poi c’è il centro storico di Palermo, che il sindaco Leoluca Orlando affidò a Benevolo, Insolera e Cervellati, segno di quanto un’amministrazione dell’urbanistica alternativa rispetto al passato fosse funzionale al progetto di una Palermo che si svincolava dal dominio mafioso. E quindi, venendo ai tempi più recenti, la legge urbanistica della Toscana, voluta dall’assessora Anna Marson.

La parte finale del capitolo è sintetizzabile nel titolo del paragrafo La deroga come regola. È l’Italia del pentapartito, del meno Stato più mercato, dell’etica individualista che, su città e territorio, cala il precetto della negoziazione al posto della pianificazione. Una negoziazione che non viene praticata in stato di necessità, dopo le sentenze della Corte costituzionale che minano il primato dell’autorità pubblica, ma che anzi viene elevata a un rango ideologico, di scelta auspicata e consapevole. Comincia così il declino dell’urbanistica, raccontata come una disciplina autoritaria, impositiva e, usando in modo strumentale le malversazioni accadute dal dopoguerra in poi, sostanzialmente fallimentare. La porta è così spalancata per l’irruzione del berlusconismo, per le grandi opere, per i piani-casa (che non vanno ascritti solo al centrodestra), per la ricostruzione dell’Aquila…

L’Italia era bellissima prosegue con un capitolo dedicato ad Antonio Cederna, del quale l’autore rimette in sesto l’immagine deformata da quanti lo assimilano al più ingenuo dei passatisti, un nostalgico conservatore, un laudator temporis acti. Nel libro invece emerge il Cederna, frequentato da De Lucia per decenni, che ha sempre di mira l’obiettivo di una città giusta, alla portata di tutti, che a tutti garantisce diritti. Una città per niente imbalsamata. Della vera natura del Progetto Fori, si è detto. E va aggiunto (lo aggiunge De Lucia) come Cederna lo collegasse alla realizzazione dello Sdo (Sistema direzionale orientale), il polo tutto da costruire, e mai costruito, nel quale trasferire ministeri e altri uffici pubblici e privati, facendo respirare il centro storico. E, ancora, la battaglia condotta da Cederna in consiglio comunale per realizzare l’Auditorium, la più significativa architettura della Roma contemporanea, laddove l’ha poi realizzato Renzo Piano.

Un’ultima annotazione riguarda il modo in cui L’Italia era bellissima morde l’attualità. Anzi l’anticipa. Cito da pag.104: “I piani paesistici, negli anni del fascismo e dell’Italia repubblicana, sono stati sempre trascurati; a eccezione del piano paesistico dell’isola d’Ischia, progettista Alberto Calza Bini, approvato nel 1943 negli ultimi mesi del fascismo, che imponeva l’inedificabilità lungo quasi tutta la costa e nel nucleo interno dell’isola. (…) È appena il caso di ricordare che quel piano è stato del tutto disatteso, e l’isola d’Ischia, dopo la seconda guerra mondiale, è stata massacrata dalla speculazione edilizia legale e abusiva, nel sostanziale disinteresse delle amministrazioni comunali, regionali e statali”. Il libro di Vezio De Lucia è stato stampato ad agosto del 2022, ed è giunto in libreria a settembre. A Ischia, nella notte fra il 25 e il 26 novembre del 2022, una frana ha ucciso 12 persone e ne ha ferite 5.

Francesco Erbani

 

 

 

N.d.C. - Francesco Erbani, giornalista, ha lavorato per venticinque anni nella redazione culturale de «la Repubblica» e attualmente collabora al sito web di “Internazionale” e de ““L’Essenziale” occupandosi, in particolare, di paesaggio e patrimonio culturale. Ha vinto il premio Cederna e il premio Bassani.

Tra i suoi ultimi libri: Roma. Il tramonto della città pubblica (Laterza 2013), Pompei, Italia (Feltrinelli 2015) e Non è triste Venezia (Manni 2018); L'Italia che non ci sta. Viaggio in un paese diverso (Einaudi 2019); Dove ricomincia la città. L’Italia delle periferie. reportage dai luoghi in cui si costruisce un paese diverso (Manni 2021).

Per Città Bene Comune ha scritto: Casa e urbanità. Elementi del diritto alla città (15 gennaio 2021).

Sui libri di Francesco Erbani, v. in questa rubrica i commenti di: Sergio Brenna (10 marzo 2017), Federico Oliva (17 marzo 2017), Giancarlo Consonni (25 luglio 2019), Giovanni Laino (14 gennaio 2022).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA

31 MARZO 2023

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
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Conferenze & dialoghi

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locandina/presentazione
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Gli incontri

2021: programma/1,2,3,4
2022: programma/1,2,3,4
 
 

 

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2018: Silvano Tintori
2019: Alberto Magnaghi
2022: Pier Luigi Cervellati

 

 

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2015: online/pubblicazione
2016: online/pubblicazione
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2018: online/pubblicazione
2019: online/pubblicazione
2020: online/pubblicazione
2021: online/pubblicazione
2022: online/pubblicazione
2023:

F.Ventura, L'urbanistica fatta coi piedi, commento a: G. Biondillo, Sentieri metropolitani (Bollati Boringhieri, 2022)

E. Battisti, La regia pubblica fa più bella la città, commento a: P. Sacerdoti, Via Dante a Milano (Gangemi, 2020)

G. Nuvolati, Emanciparsi (e partecipare camminando), commento a: L. Carrera, La flâneuse (Franco Angeli, 2022)

P. O. Rossi, Zevi: cinquant'annidi urbanistica italiana, commento a: R. Pavia, Bruno Zevi (2022)

C. Olmo, La memoria come progetto, commento a: L. Parola, Giù i monumenti? (Einaudi, 2022); B. Pedretti, Il culto dell’autore (Quodlibet, 2022); F. Barbera, D. Cersosimo, A. De Rossi (a cura di), Contro i borghi (Donzelli, 2022)

A. Calafati, La costruzione sociale di un disastro, commento a: A. Horowitz, Katrina. A History, 1915-2015 (Harvard University Press, 2020)

B. Bottero, Città vs cittadini? No grazie, commento a: M. Bernardi, F. Cognetti e A. Delera, Di-stanza. La casa a Milano (LetteraVentidue, 2021)

F. Indovina, La città è un desiderio, commento a: G. Amendola, Desideri di città (Progedit, 2022)

A. Mazzette, La cura come principio regolatore, F. C. Nigrelli (a cura di), Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid-19 (Quodlibet Studio, 2021)

P. Pileri, La sostenibilità tradita ancora, commento a: L. Casanova, Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026 (Altreconomia, 2022)

A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi, 2020)