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In queste settimane sono occupato, insieme a un ristretto gruppo di colleghi, a progettare un nuovo percorso formativo dottorale incardinato nel Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze insieme alla Fondazione "Futuro delle Città", con direttore scientifico Stefano Mancuso, che lo ha integralmente finanziato. La titolazione del nuovo dottorato sarà Urban Future Studies. Tra le varie letture, e riletture, che stanno riempiendo gran parte delle mie giornate in questo periodo, spicca il volume di Maurizio Carta, Futuro. Politiche per un diverso presente (Rubbettino Editore, 2019). Libro che avevo letto e poi presentato il 20 maggio 2020 all’interno di un ciclo di attività formative dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Livorno.
Rileggendo il testo di Carta, e comparandolo con altri sul mio tavolo di lavoro, mi è parso un libro seminale e anticipatore, con una forte carica innovativa, che qui voglio richiamare. Per farlo utilizzerò due lemmi che, a mio avviso, riescono a racchiudere la densità e, si potrebbe dire, quasi la corporalità dell’intero volume: 378 pagine complessive, molto intense, senza immagini, tabelle e grafici che, in genere, servono a prendere fiato o a far fare letture multiple, cioè delle deviazioni discorsive temporanee: un testo di parole, quindi. Ne è pianamente cosciente l’Autore che «ha una grande opinione della forza delle parole e dei libri» (p. 370).
Considero i due lemmi come proposizioni preliminari, che non hanno bisogno di dimostrazione, perché autoesplicativi essi stessi, o al più rimandano ad altri concetti chiave che accostati definiscono le cosiddette “frasi bandiera”. Un po’ come gli appunti che noi mettiamo al margine di un testo, che stiamo leggendo, e che servono a riassumere e a mettere in evidenza l’argomento trattato: così facendo esse sono per noi delle chiodature mentali e chiavi per accedere allo scrigno della memoria quando ci serve sfogliarlo nuovamente. I due lemmi con i quali interpreto il testo di Carta sono: “comorbilità” (o “comorbidità”) e “politica”. Entrambi hanno un robusto significato. Seppur, questo secondo non abbia bisogno di ulteriori spiegazioni in questo contesto, perché largamente conosciuto, mi basta solo ricordare che per politica io qui intendo la scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione di una istituzione e la direzione della vita pubblica. Sul primo lemma, invece, devo spendere qualche parola in più, perché “comorbilità” (o “comorbidità”, sono sinonimi) è un lemma non ancora presente nella letteratura e nella tradizione urbanistica, perché appartenente solo all’ambito medico. Un termine proposto nel 1970 dall’epidemiologo Alvan F. Feinstein per descrivere la compresenza di diverse patologie (autonome le une dalle altre, perché derivanti da cause differenti) coesistenti in uno stesso individuo. Si usa il lemma per valutare il rapporto costi/benefici nel trattamento di una particolare condizione morbosa, perché permette di tenere conto di differenti sintomi che possono manifestarsi a causa di una malattia in relazione alla presenza o meno di altre patologie.
Il lemma “comorbilità”, cioè la presenza di patologie diverse che si accumulano una sull’altra fino a determinare uno stato di crisi, mi è venuto in mente leggendo il Cap. 1 (Futuro) oltre che la prima parte del volume, significativamente titolata Metamorfosi. L’altra parte del volume è titolata Sfide. Il libro è articolato in due parti, per l’appunto, con un capitolo iniziale, ma senza un capitolo conclusivo. Penso per una scelta oculata: le parole del libro sono un continuo incitamento ad azioni proattive che, partendo dall’insoddisfazione del presente, dalle contraddizioni, disuguaglianze generate da un modello economico e sociale fondato sulla dissipazione delle risorse (che l’Autore classifica come «lineare», p. 66), rileggendo e individuando le patologie della contemporaneità, li isolano una per una per ripartire con un «diverso presente» (che poi è anche il sottotitolo del volume). L’unico approccio utile per Carta, infatti, è quello del sogno creativo, che lui chiama prima «Utopia del possibile» (p. 38) e poi «Utopia del reale» (p. 39).
Comorbilità
Comorbilità, nella pratica medica, è un dilemma per scegliere la via più equa per cercare di aiutare il paziente, dosando le giuste terapie e le necessarie medicine, per evitare che la soluzione di una patologia ne pregiudichi un’altra. Nella proposta del libro – almeno così come la interpreto – è quella di dichiarare la fine di un lungo ciclo, quello dell’Antropocene, i cui costi generali non sono più tollerabili, e i cui costi parziali servono solo a mantenere in vita un corpo oramai asfittico. Dice l’Autore: «Non ci si può accontentare di una semplice manutenzione» (p. 121) abbiamo bisogno di «agente mutageno» (p. 121) della società e imporre un cambio di paradigma a chi assume la responsabilità di governo.
Carta propone un diverso Antropocene. Certamente l’Autore non lo poteva prevedere (il libro è stato stampato a novembre 2019) che da lì a qualche mese questo «agente mutageno» effettivamente sarebbe arrivato, il COVID-19, rimettendo in discussione la stessa presenza dell’uomo sul pianeta. Così come le precedenti grandi pandemie nei due secoli precedenti che hanno modificato il modo di organizzare lo spazio nei decenni a venire anche questa avrà lo stesso risultato, con una modificazione “genetica nuova”: il grave stato di crisi ambientale e i cambiamenti climatici in atto che nelle precedenti pandemie non c’erano, e l’attacco del virus che mette in crisi non lo spazio fisico, quanto lo spazio relazione tra le persone.
Questo da un punto di vista della progettazione urbanistica e di quella architettonica cambia tutto. Basta solo pensare alla incertezza delle indicazioni sul cosiddetto distanziamento sociale, che poi non era altro che un distanziamento spaziale in luoghi pubblici o privati ad uso pubblico: 2 metri, 1,80, ed infine 1 metro. Le pandemie, storicamente, sono state grandi occasioni per riscrivere le politiche urbane e per influenzare le visioni future per le città. Ricordo le ondate di colera a cavallo di metà Ottocento che generarono la "rivoluzione batteriologica", che finì per incidere in maniera sostanziale sulle modalità di intervento nelle città, fino ad inaugurare la stagione dei piani di risanamento urbano e dei primi piani regolatori generali, oltre a incrociare la nascita degli Stati moderni in Europa. Uno dei piani più significativi è quello di Barcellona di Cerdà, ma più che il piano quello che interessa sono gli studi scientifici che lo prepararono e l'impostazione argomentativa che lo accompagnò.
Ricordo poi la cosiddetta “grande influenza”, la Spagnola, concentrata in poco più di due anni 1918/1920, che aprì la strada ai progetti razionalisti e alle norme sull'abitare e sull'assetto delle città. La scuola sociologica di Chicago, nata nel 1914 trovò proprio nella pandemia il centroide della riflessione applicativa delle teorie germogliate qualche anno prima; ma aprì la strada ai progetti razionalisti e alle norme sull'abitare e sull'assetto delle città soprattutto negli gli urbanisti americani, a cominciare proprio da Clarence A. Perry – citato nel volume – fino a incrociare il movimento moderno. In Europa queste riflessioni giunsero un po' in ritardo e vennero fissate teoricamente nella Carta di Atene del 1933.
Ora ci troviamo in un nuovo punto di rottura, che il volume anticipa. La riflessione nasce da un retroterra coltivato da tempo, ricordo solo per ampiezza di lavoro la ricerca nazionale Re-Cycle e il bel libro Re-cycling Urbanism. Visioni, paradigmi e progetti per la metamorfosi circolare del 2016, ma anche Augmented City. A Paradigm Shift del 2017. Penso che a questi lavori il libro debba molto.
Politica
Proprio qui entra in gioco il secondo lemma, quello della “politica”, che pervade tutto il volume, dal sottotitolo fino all’ultimo rigo, che finisce così: «perché il miglior modo per reimmaginare il futuro è progettare un diverso presente». Qui siamo all’interno di un uditorio di creativi, di lavoratori intellettuali istruiti ed abituati ad interrogarsi nel presente per delineare e innestare pezzi di futuro, dopo aver definito comunque immagini, visioni, spazi sociali cui tendere. Per me fare urbanistica non è altro che una decisione politica tecnicamente assistita, dove l’avverbio è un rafforzativo del ruolo della cultura tecnica rispetto all’input di partenza che è politico. Tre gli assunti su cui poggia questa mia interpretazione: perché il lavoro prende corpo “all’interno di una azione di livello istituzionale”; perché è una professione esercitata “esclusivamente nel dominio pubblico”; e perché le sue scelte e quindi la sua principale responsabilità è quella di costruire un diverso presente, cioè il presente prossimo delle generazioni future.
Se mi si accetta questa lettura, per la proprietà transitiva, anche fare progetti d’architettura (che si inscrivono nel sistema delle regole pubbliche), anche i più piccoli o quelli solo “ordinari”, come progettare un edificio, ristrutturare uno stabile, riprogettare uno spazio pubblico o ad uso pubblico, è una azione politica che si svolge nello spazio esistente per delinearne uno nuovo. La città come noi la conosciamo è l’esito di diverse stratificazioni di decisioni politiche che si sono adagiate a terra strutturandosi in spazio fisico.
Il libro su questo argomento, particolarmente il capitolo 6 (politica abilitante), ci esorta a prendere coscienza e ad agire di conseguenza, e lo fa lungo due registri: uno domestico e locale; l’altro strategico ed esterno. Su quello domestico la proposta dell’Autore è radicale, perché presuppone una «cittadinanza attiva», chiedendo a tutti gli individui ad avere un comportamento proattivo, “scendendo da cavallo” a cominciare dalla cosiddetta Accademia: è indispensabile che «gli urbanisti mettano piede fuori dalle università e prendano posizione nella sfera pubblica. [Dobbiamo recuperare] il ruolo cruciale dell’urbanista come intellettuale pubblico, perché se manca la volontà politica tutti i nostri grandiosi progetti urbanistici restano lettera morta» (p. 64); fino all’autorganizzazione pulviscolare di «comunità multiple» (…) composte «da attivisti, makers, contadini urbani, artigiani digitali, creativi, smart citizens, co-workers, prosumers ecc., protagonisti della città contemporanea, ma soprattutto nuovi attori della politica come impegno verso il bene comune, verso una realizzata democrazia sussidiaria» (p. 162), come aiuto alle istituzioni e alla politica istituzionale. Alcune di queste esperienze praticate direttamente sono descritte nella seconda parte. Su quello esterno, altrettanto radicale, ma penso lungimirante: propone un cambio di prospettiva per volgere lo sguardo al Mediterraneo, a quello spartiacque di culture e di storie, da sempre cerniera di trasmissione dei saperi e delle conoscenze fino a divenire «fabbrica di civilizzazione» (p. 30), ma che dalla rivoluzione industriale in poi è rimasto ai margini del grande centro continentale, fino a ripudiarlo.
Quello di Maurizio Carta, per me, è non solo messaggio politico, quanto costruzione politica di una diversa vision di riferimento entro cui far «germogliare una nuova era che superi l’Antropocene erosivo e predatorio in cui ci dibattiamo» (p. 45). E per questo conia un nuovo termine d’azione: Futuredesign. Termine polisemico e in apparenza coprente di più campi disciplinari negli studi urbani e nell’azione nell’urbano, ma molto evocativo. Termine che, tuttavia, entra in conflitto linguistico con il modello insediativo che l’Autore immagina per il nostro Paese, quello di un’Italia iper-metropolitana. Una realtà socio-economica e territoriale «formata da sistemi di sistemi insediativi in grado di interpretare le varie forme di agglomerazione urbana» (p. 216). Su questo l’uscita dalla pandemia da Covid-19 sta delineando una visione diversa e il concetto sembra contraddire i connotati di partenza del volume che riscopre le identità locali e le tradizioni mediterranee come risorse cui attingere.
Giuseppe De Luca
N.d.C. Giuseppe De Luca è professore ordinario di Urbanistica all’Università di Firenze dove dirige il Dipartimento di Architettura (DiDA). Membro della giunta esecutiva della Società Italiana degli Urbanisti (SIU), è stato segretario generale dell’Istituto nazionale di Urbanistica (INU) dal 2011 al 2016 e presidente di INU Edizioni dopo aver ricoperto le cariche di direttore della Fondazione Giovanni Astengo (2008-2011), segretario dell’INU Toscana (2000-2005); vicepresidente dell’Associazione nazionale urbanisti e pianificatori territoriali e ambientali (2000-2011). Ha ideato e dirige la collana «Pianificazione territoriale, urbanistica ed ambientale» della Casa editrice ALINEA di Firenze.
È stato responsabile tecnico e scientifico del Quadro strategico della Regione Toscana, 2007 e degli Studi per l’adeguamento del Piano di indirizzo territoriale 2005-2010 della Regione Toscana, 2005, e poi del gruppo di lavoro che ha redatto il Piano di indirizzo territoriale 2005-2010 della Regione Toscana, 2007; del Piano di indirizzo territoriale regionale della Toscana 2000-2005, 2000; del Primo schema quadro del Quadro Regionale di Coordinamento Territoriale della Toscana, 1996. Ha inoltre fatto parte dei gruppi di lavoro per il Piano strategico della Città metropolitana di Firenze, 2017; il Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Pistoia, 2009; lo Schema Strutturale per l’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia, 1990.
Tra i suoi libri: a cura di, La pianificazione regionale in Toscana: 1984-1990 (Iter, 1991); con Lando Bortolotti, Fascismo e autostrade. Un caso di sintesi: la Firenze-mare (Angeli, 1994); con Renato Fuccella e Piergiuseppe Pontrandolfi, Legislazione urbanistica. Strumento-guida per gli studenti universitari (Alinea, 1994); con Lando Bortolotti, Come nasce un'area metropolitana. Firenze Prato Pistoia: 1848-2000 (Alinea, 2000); Pianificazione e programmazione. La questione urbanistica in Toscana: 1970-1995 (Alinea, 2001); a cura di, Discutendo intorno alla città del liberalismo attivo (Alinea, 2008); con Valeria Lingua, a cura di, Arcipelago mediterraneo. Strategie di riqualificazione e sviluppo nelle città-porto delle isole (Alinea, 2012); con Francesco Sbetti, a cura di, Le eredità di Astengo (INU, 2012); con Valeria Lingua, Pianificazione regionale cooperativa (Alinea, 2012);con Visco Gilardi e Ferdinanda Sisa, La scialuppa della cooperazione. Esperienze e buone pratiche (Carocci, 2015); con Francesco Domenico Moccia, a cura di, Immagini di territori metropolitani (Inu Edizioni, 2015); con Francesco Domenico Moccia, a cura di, Pianificare le città metropolitane in Italia. Interpretazioni, approcci, prospettive (Inu Edizioni, 2017);con Daniele Rallo, a cura di, Cosa pensano gli urbanisti (Inu edizioni, 2018).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 07 APRILE 2023 |