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Ho letto con piacere e interesse il libro di Paolo Pileri, Cristina Renzoni e Paola Savoldi Piazze scolastiche. Reinventare il dialogo tra scuola e città (Corraini, 2022). Suddiviso in quattro capitoli intitolati rispettivamente argomentare (le ragioni per fare piazze scolastiche), riconoscere (elementi, materiali e tipi di piazze scolastiche), immaginare (possibili azioni per trasformarle) e imparare (da casi internazionali), il volume spiega in maniera comprensibile a un pubblico vasto alcuni concetti cruciali sul valore della scuola, una delle istituzioni più bistrattate della nostra società. Con l’intento di estendere tale valore allo spazio pubblico prospiciente che viene denominato dagli autori “piazza scolastica” anche quando non ne ha affatto le caratteristiche. Il libro è uno degli esiti di percorsi di ricerca e didattica delle autrici e dell’autore che qui si incontrano sul tema del rapporto tra scuola, città e abitare svolto in occasione dei progetti Habitat@scuola e La città va a scuola con una rete di giovani tirocinanti e studiosi, alcune delle quali - Federica Bianchi, Anna Evangelisti e Silvia Lanteri - coautrici dei testi del libro.
Quella di Pileri, Renzoni e Savoldi è una operazione culturale prima ancora che tecnica estremamente utile e necessaria. Da questo punto di vista, a mio parere, il libro ha tre meriti principali:
- smaschera i limiti e i rischi di una certa “normalità”,
- rimarca il ruolo fondamentale della scuola nella nostra società;
- soprattutto dà un nome a una tipologia di spazi pubblici spesso ignorati o maltrattati.
Provo di seguito a dire perché.
Per comprendere il valore di certi spazi occorre partire dall’osservazione delle pratiche che accolgono, consentono o negano, e in questa osservazione sta il fondamento di ogni azione trasformativa efficace. Per fare questo, gli autori, aprono il libro con la descrizione di alcune scene di vita vissuta. Queste mostrano nella loro quotidianità abitudini assodate, familiari, e che per questo appaiono immodificabili. Quello che gli autori descrivono davanti alle scuole, infatti, per molti è “normale”: gli ingorghi di auto all’ingresso e all’uscita dalle lezioni con l’autogiustificazione e la minimizzazione degli effetti di abitudini comuni come la sosta in doppia fila per “5 minuti”; l’incontro di ragazze e ragazzi in spazi residuali, muretti, scale vicine alla scuola, perché non esistono spazi prossimi altrettanto significativi per loro; la mancanza di immaginazione per altri usi dei cortili delle scuole, se non a parcheggio. “Smascherare” questi fatti minimi e quotidiani, nel senso di riconoscere e disvelare, significa comprenderne gli effetti (che si ripetono nel tempo) e la portata urbana (ovvero la loro diffusione). Riconoscere gli effetti perversi di certa normalità significa anche richiamare alle proprie rispettive responsabilità i diversi attori di queste scene: i genitori che non rinunciano o non possono rinunciare all’auto, le istituzioni che non si occupano della manutenzione, la società tutta che dimentica il valore della scuola. Gli autori lo fanno con garbo ma con chiaro intento educativo e pedagogico, sottintendendo che non basta il solo progetto di spazi ma serve anche un cambiamento radicale dei comportamenti e, più in generale, di tipo culturale che si traduce nel modo di dare valore – o meno – a questi luoghi e istituzioni.
La scuola è un luogo fondativo in cui si imparano le materie scolastiche e in cui si può fare esperienza di “comunanza e differenza” con compagni e compagne con cui si condividono le attività: questo, in sostanza, rimarcano gli autori nella accalorata difesa del valore educativo, civico, sociale e anche urbano della scuola. Questa istituzione, infatti, è anche e tradizionalmente una “unità di misura” della città, servizio principale intorno a cui si strutturano l’ossatura dei quartieri e i ritmi della vita quotidiana delle comunità che li abitano. Il risalto che il libro dà a questa doppia valenza della scuola, sociale e civica da una parte, e urbana dall’altra, mi pare di particolare interesse, soprattutto oggi. In certi contesti la scarsità di servizi di prossimità e comunità – dai presidi sanitari agli oratori, ai centri sociali, ai consultori – rischia di lasciare il territorio privo di punti di incontro tra le differenti anime del corpo sociale che hanno esigenze simili. La scuola mantiene ancora questo ruolo e – questa è la tesi di fondo degli autori – ha un potenziale enorme come infrastruttura del territorio che può aprirsi ad altri usi. L’emergere di progetti, programmi e iniziative che sperimentano l’apertura delle scuole mi pare un segnale incoraggiante che libri come questo possono alimentare e sostenere.
Per trasformare efficacemente uno spazio, serve riconoscerlo e renderlo “dicibile”. Questo è forse il principale merito del libro che mi piace sottolineare: l’aver dato un nome a spazi che spesso nelle nostre città sono privi di qualità e identità. Poche di quelle che gli autori chiamano “piazze scolastiche” sono riconoscibili, se non per l’architettura degli edifici e le bandiere. Chiamare, quegli spazi “piazze” e “piazze scolastiche” in particolare, a prescindere quindi dalla loro qualità formale, significa non solo riconoscerne ruolo e dignità ma costruire le condizioni per la loro organizzazione. Denominare i luoghi è uno dei principali atti “territorializzanti”, insegna Angelo Turco (1988). Dare dei nomi – argomenta il geografo – significa operare un controllo simbolico sull’ambiente, conferire al mondo una complessità che prima non esisteva dotandolo di attributi nuovi e, al contempo, ridurre la complessità poiché la imbriglia in una definizione circoscritta. L’atto di dare nomi alle cose è, dunque, un lavoro sociale: il dato di natura diventa un dato della cultura e la spazialità acquista valore antropologico. Ma soprattutto, dare un nome permette di elaborare informazioni, operazione necessaria ad appropriarsi di un luogo, a renderlo comunicabile e quindi funzionale alla possibilità di organizzarlo. Parlare di “piazze scolastiche” è quindi un modo potente di dare dignità agli spazi pubblici di fronte alle scuole, di poterne parlare in quanto tipologia di spazi e facilitare in questo modo le operazioni della loro riorganizzazione. Gli autori attribuiscono valore civico e educativo dello spazio pubblico di fronte alle scuole in virtù della relazione di contiguità. Ma questo è possibile proprio se lo si identifica come luogo con una sua riconoscibilità anche comunicativa.
Accanto al riconoscimento della categoria delle “piazze scolastiche”, il libro richiama la necessità di valorizzale con interventi non episodici nel tempo e nello spazio, e di considerarle parte di un sistema urbano ampio per cui auspicano opportune politiche urbane a sostegno. A questo fine, il libro dà alcuni suggerimenti per il loro trattamento a partire da una tipizzazione di situazioni ricorrenti.
Dal punto di vista tecnico e operativo, dunque, attraverso alcune linee guida, esplorazioni progettuali e casi, il libro propone una serie di azioni: modifiche della sezione stradale, depavimentazioni e piantumazioni, riorganizzazioni degli elementi di arredo e decorazione temporanea che gli autori assimilano a operazioni di urbanistica tattica (con un’accezione a mio parere un po’ riduttiva del termine). Si tratta di azioni improntate a sensibilità che si stanno diffondendo – quantomeno sulla carta e nelle dichiarazioni – nel trattamento in generale degli spazi pubblici e presenti in diversi documenti di indirizzo di amministrazioni pubbliche anche nel nostro paese: una crescente attenzione a temi ambientali, alla mobilità lenta e alla sicurezza stradale. La differenza tra le piazze scolastiche e altri spazi pubblici, però, è proprio la presenza nelle prime di effettive comunità di pratiche che già le “abitano”, nonostante tutto. Sono le prime destinatarie di una attenzione rinnovata che possa rendere degni quegli spazi di relazione tra scuola e città e immaginando la loro trasformazione con ruoli altri dalla mera fruizione. Da questo punto di vista, quindi, non solo il “cosa” si fa in termini di azioni progettuali ma anche il “come si fa il progetto” delle piazze scolastiche può avere un valore civico di cittadinanza e di attivazione di comunità straordinario.
La piazza scolastica – a mio avviso – è tanto più capace di funzionare come riferimento per la comunità nelle sue molteplici declinazioni se il suo riconoscimento parte dai principali anche se non unici fruitori. Il coinvolgimento della comunità scolastica, delle associazioni di genitori, di studenti, nel ridefinire esigenze e priorità, anche a costo del conflitto, è utile allora per costruire senso in comune. Complicato da praticare, faticoso, non sempre possibile ed efficace ma importante. Alcuni progetti realizzati con il programma Piazze aperte a Milano, che ho avuto la possibilità di seguire da vicino, avevano proprio questi obiettivi. Ovverosia avviare percorsi per coinvolgere le comunità scolastiche e locali a partire dalle loro proposte da far verificare e rendere tecnicamente fattibili dagli uffici tecnici dell’amministrazione comunale. I progetti “tattici” e temporanei, realizzabili in tempi brevi grazie alla collaborazione degli stessi utenti e in grado di testare soluzioni – in questi contesti, allora, non hanno valenza solo decorativa. Hanno valore soprattutto per la dimensione processuale che attivano, sia in termini di coinvolgimento e di condivisione di forme di appropriazione pur non esclusiva, sia di possibilità di testare le soluzioni (di fronte a contesti conflittuali). La stesura poi di Patti di collaborazione tra amministrazioni, associazioni e comunità che queste iniziative implicano, sottolinea attraverso la presa in carico il riconoscimento di quel valore che il libro rivendica con calore. Il fatto che la nuova edizione del programma milanese si sia chiamata Piazze aperte in ogni scuola mostra una crescente sensibilità al tema. Che occorre monitorare perché tali politiche e progetti siano sviluppati al meglio delle loro possibilità e sia garantita la trasformazione definitiva dopo quella “tattica”, sia presidiata la dimensione “di sistema” e il ruolo che queste piazze possono avere nel contesto del quartiere e della città. E si faccia una valutazione attenta di dove è possibile e opportuno operare con certe modalità di intervento, e dove no, evitando inutili meccanicismi e soprattutto di non includere scuole e relative piazze nei territori più fragili.
Allora il mio auspicio è che contributi come quello offerto da questo libro consolidino il dibattito e il modo di valutare gli interventi intorno a questi speciali spazi pubblici che finalmente possiamo chiamare “piazze scolastiche”. E che la discussione si estenda dalle azioni progettuali ai processi di gestione, senza dimenticare come favorire e migliorare anche la dimensione collaborativa del fare progetto di spazio pubblico e progetto di piazze scolastiche.
Antonella Bruzzese
Riferimenti A. Turco, Verso una teoria geografica della complessità, Unicopli, Milano 1988
N.d.C. - Antonella Bruzzese è professore associato di Urbanistica al Politecnico di Milano. Insegna Urbanistica e Urban design nella Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni, è membro del collegio di dottorato in Urban Planning Design and Policy e svolge attività di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani indagando le strategie di trasformazione della città alla scala locale e le intersezioni tra progetto, politiche urbane e forme di partecipazione, , con una particolare attenzione per lo spazio pubblico nelle sue diverse declinazioni.
Da sempre affianca l’attività didattica e di ricerca alla pratica professionale e al lavoro sul campo: è stata membro fondatore del collettivo di architetti gruppo A12 (www.gruppoa12.org) e assessora all’Urbanistica e Spazio Pubblico del Municipio 3 di Milano (2016- 2021).
Tra i suoi libri: con Luca Tamini, Servizi commerciali e produzioni creative. Sei itinerari nella Milano che cambia (Bruno Mondadori 2014); con contributi di Claudia Botti e Ilaria Giuliani, Addensamenti creativi, trasformazioni urbane e Fuorisalone. Casi milanesi tra riqualificazione fisica e ricostruzione di immagine (Maggioli, 2015); con Maddalena De Ferrari e Gabriele Pasqui, a cura di, Unicredit Pavilion e il suo contesto. Rilievi, racconti e interpretazioni (Unicredit, 2015); con Giulia Gerosa, Luca Tamini, Spazio pubblico e attrattività urbana. L'Isola e le sue piazze (Bruno Mondadori, 2016); con Jens Kaae Fisker, Letizia Chiappini e Lee Pugalis, a cura di, Enabling Urban Alternatives. Crises, Contestation, and Cooperation (Palgrave Mcmillian, 2019) e The Production of Alternative Urban Spaces: An International Dialogue (Routledge, London - New York 2019).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 21 APRILE 2023 |
CITTÀ BENE COMUNE
Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali
ideato e diretto da Renzo Riboldazzi
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in redazione: Elena Bertani Luca Bottini Oriana Codispoti
cittabenecomune@casadellacultura.it
iniziativa sostenuta da:
Conferenze & dialoghi
2017: Salvatore Settis locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2018: Cesare de Seta locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
2019: G. Pasqui | C. Sini locandina/presentazione sintesi video/testo integrale
Gli incontri
Gli autoritratti
2017: Edoardo Salzano 2018: Silvano Tintori 2019: Alberto Magnaghi 2022: Pier Luigi Cervellati
Le letture
2015: online/pubblicazione 2016: online/pubblicazione 2017: online/pubblicazione 2018: online/pubblicazione 2019: online/pubblicazione 2020: online/pubblicazione 2021: online/pubblicazione 2022: online/pubblicazione 2023:
C. Sini, Più che l'ingegnere, ci vuole il bricoleur, commento a: G. Pasqui, Gli irregolari (FrancoAngeli, 2022)
G. De Luca, L'urbanistica tra politica e comorbilità, commento a: M. Carta, Futuro (Rubbettino, 2019)
F. Erbani, Una linea rossa per il consumo di suolo, commento a: V. De Lucia, L’Italia era bellissima (DeriveApprodi, 2022)
F. Ventura, L'urbanistica fatta coi piedi, commento a: G. Biondillo, Sentieri metropolitani (Bollati Boringhieri, 2022)
E. Battisti, La regia pubblica fa più bella la città, commento a: P. Sacerdoti, Via Dante a Milano (Gangemi, 2020)
G. Nuvolati, Emanciparsi (e partecipare camminando), commento a: L. Carrera, La flâneuse (Franco Angeli, 2022)
P. O. Rossi, Zevi: cinquant'annidi urbanistica italiana, commento a: R. Pavia, Bruno Zevi (2022)
C. Olmo, La memoria come progetto, commento a: L. Parola, Giù i monumenti? (Einaudi, 2022); B. Pedretti, Il culto dell’autore (Quodlibet, 2022); F. Barbera, D. Cersosimo, A. De Rossi (a cura di), Contro i borghi (Donzelli, 2022)
A. Calafati, La costruzione sociale di un disastro, commento a: A. Horowitz, Katrina. A History, 1915-2015 (Harvard University Press, 2020)
B. Bottero, Città vs cittadini? No grazie, commento a: M. Bernardi, F. Cognetti e A. Delera, Di-stanza. La casa a Milano (LetteraVentidue, 2021)
F. Indovina, La città è un desiderio, commento a: G. Amendola, Desideri di città (Progedit, 2022)
A. Mazzette, La cura come principio regolatore, F. C. Nigrelli (a cura di), Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid-19 (Quodlibet Studio, 2021)
P. Pileri, La sostenibilità tradita ancora, commento a: L. Casanova, Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026 (Altreconomia, 2022)
A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi, 2020)
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