Heleni Porfyriou  
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L'URBANISTICA TRA IGIENE, SALUTE E POTERE


Commento al libro di Guido Zucconi



Heleni Porfyriou


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Contestualizzando la storia dell’urbanistica italiana rispetto ai suoi albori igienisti, nel suo La città degli igienisti. Riforme e utopie sanitarie nell’Italia umbertina (Carocci 2022), Guido Zucconi indaga l’impatto che medici, militari ed ingegneri – col supporto della statistica, delle scoperte scientifiche (da Pasteur a Koch) e delle relative inchieste sulla salute pubblica – hanno avuto sulla formazione di un apparato normativo, di un sistema amministrativo e perfino di uno statuto disciplinare capaci di regolare lo sviluppo urbano a partire dall’igiene pubblica. Dal corpo umano al corpo sociale, dalla prevenzione individuale alla “prevenzione collettiva”, dalla igiene militare in tempo di pace all’ingegnere igienista (p. 44), dalla scienza dei flussi all’idraulica (p. 54), al sistema fognario (1): si pensi al "sistema arterioso-venoso” di Edwin Chadwick (2). È la stessa terminologia che registra il passaggio dalle competenze di medici, biologi, militari e ingegneri civili ad un nuovo corpus scientifico. Il binomio crescita demografica-concentrazione urbana che contraddistinse l’Ottocento, si rivelò sconvolgente per le sue dirette conseguenze sulle città europee, in termini di congestione e sovraffollamento. Conseguenze che porteranno, per la prima volta, all’analisi ed al monitoraggio scientifico dell’ambiente urbano e delle malattie ambientali.

Contestualmente, a partire dall’età napoleonica, il sistema sanitario ed assistenziale – fino ad allora largamente gestito dalle istituzioni religiose e la beneficienza privata – passerà nelle mani dello Stato accelerando così lo sviluppo della scienza medica improntata sulla cultura positivista (p. 50). Oltre all’eredità degli igienisti, Guido Zucconi ci ricorda – nella prima parte del suo libro – gli elementi essenziali dell’eredità positivista: i termini nuovi e i concetti chiave (come ambiente, contesto, corpo umano, corpo sociale, malattia ambientale, rendere visibile l’invisibile col microscopio, illuminare con l’elettricità), gli approcci analitici (evoluzionista, conoscenza visiva e con il microscopio) e metodologici (quantitativi, statistici, fotografici, di inchiesta sulla povertà, sulla mortalità e morbilità) e le relative discipline di riferimento (medicina in primis, ingegneria, ma anche chimica, biologia). Tutti elementi che costituiranno gli strumenti che l’igienista, come un vero “direttore d’orchestra” utilizzerà per portare a compimento il programma di “sanificazione urbana” (p. 217). Non dovrebbe sorprendere, allora, l’uso dell’espressione “Risorgimento sanitario” per descrivere la costruzione “dal nulla di una struttura tecnico-amministrativa” capace di coprire negli anni Ottanta dell’Ottocento l’intero territorio nazionale – le “cento città d’Italia” (p. 47) – mettendo in chiara luce la valenza politica, urbana e simbolica degli avvenimenti di quegli anni (di cui si occupa la parte centrale del libro).

 

Il Risorgimento sanitario

Charles Dickens tornò frastornato dal suo viaggio in Italia. Affascinato dalla magnificenza del patrimonio artistico ma disgustato dalle condizioni di vita della massa della popolazione (Dickens 1846). E Carlo Maggiorani, medico bolognese, nel 1873 riferiva così al Senato le condizioni di salute della popolazione: “cere pallide, tempre di carne morbidamente impastate, macchine gracili e frolle costituzioni” risultato della “caterva di mali” (Della Peruta 1980, 720). Mali riassunti dalle inchieste sulla povertà e sulla salute pubblica (come quelle parlamentari avviate dopo l’Unità d’Italia) che “cercheranno non soltanto di raffigurare in modo completo una condizione fino ad allora pressoché sconosciuta, ma anche di ricavare delle direttrici operative per l’iniziativa pubblica” (p. 76). Al momento dell’unificazione, le condizioni di salute della popolazione non erano affatto prospere. L’Italia era in un’avvilente situazione di inferiorità (rispetto agli altri paesi europei) e alla classe dirigente il tema della salute pubblica era ben presente. La “speranza di vita alla nascita” – un indicatore della longevità media – nel 1861 non superava i 29-30 anni (Vecchi 2011, 75). Il primo atto di amministrazione sanitaria porta la data del marzo 1865: in base alla “Legge Rattazzi”, si demandò la tutela della salute pubblica “al ministro dell’Interno e ai suoi rappresentanti periferici (governatori, intendenti e sindaci)” (Vecchi 2011, 109). Ad un ventennio di distanza, la Legge per il risanamento di Napoli (1885) (3), l’istituzione nel 1887 della direzione generale della sanità pubblica per volontà del ministro dell’interno Francesco Crispi e, infine, nel 1988 il Codice d’igiene pubblica – una legge che tutte le nazioni civili ci invidiano, come scrisse Zannoni nel 1896 (4) - avrebbero fatto il resto (p.180).

Oggi – a oltre centosessant’anni da quel momento – l’Italia è fra i paesi più longevi del mondo con una vita media attesa di 82 anni. Quarta in una lista di 200 paesi e alle spalle di Giappone (Vecchi 2011, 75). Questo salto di qualità trova le sue radici soprattutto nel citato Codice d’igiene pubblica (5) varato dal Governo Crispi nel 1888. Una legge che va annoverata fra i fatti memorabili della “vita politica e morale” italiana agli esordi del Regno, come scrive Benedetto Croce nella sua “Storia d’Italia dal 1871 al 1915” (Vecchi 2011, 110). Con essa, nel rinnovato contesto tecnico-amministrativo dello Stato sanitario, si fece del Comune il perno fondamentale del nuovo apparato pubblico destinato alla prevenzione e al controllo dell’ambiente urbano (p. 181). Non fu, quello italiano, un percorso isolato. Così come in Inghilterra e, più in generale, in Europa e negli Stati Uniti, si antepose la conoscenza – l’analisi statistica delle condizioni pregresse (riguardanti le cifre e le cause di mortalità in relazione alle malattie più diffuse), l’analisi delle acque potabili delle caratteristiche del suolo e del sottosuolo – alla prevenzione, mettendosi al passo delle grandi nazioni del tempo già con la Legge per il risanamento di Napoli (1885). Ma diversamente da quanto accadde altrove, in Italia la realizzazione delle reti idriche (fognatura e acquedotto) fu strettamente collegata al trattamento delle superfici stradali con adeguati sistemi di pavimentazione e drenaggio e questo permise di tracciare il palinsesto della città futura (cioè, la trama viaria, la scansione tra vuoti e pieni definita con l’ausilio del regolamento edilizio e le caratteristiche distributive di mattatoi, scuole, ospedali, abitazioni), come ci racconta Zucconi (pp. 240-41) a proposito del piano di Catania di Filadelfo Fichera del 1887 (che segue alla lettera la traccia indicata dalla Legge di Napoli).

Al contrario, secondo Jon Peterson, negli Stati Uniti gli interventi degli ingegneri igienisti – “health planners by design and … urban planners by historical necessity” (Peterson 1979, 91) – furono settoriali e di respiro limitato. Unica eccezione: il piano per Memphis (Tennessee) del 1878, proposto dal National Board of Health, un organismo creato ad hoc dal Congresso per rispondere alla richiesta della città e fermare il panico creato da una devastante epidemia di febbre gialla in cui persero la vita oltre 5.000 persone su una popolazione di circa 45.000 (6). Secondo il Board, "Proper sanitation …based upon a thorough and complete sanitary survey… can only be accomplished through the means of a thoroughly systematized and comprehensive plan” (Peterson 1979, 90). L’esperienza di Memphis Tennessee rappresenta peraltro solo un caso isolato. Ponendosi la domanda su come il piano di Memphis avesse inciso sulla città fisica, Peterson risponde: semplicemente sull’uso del suolo urbano (Peterson 1979, 95). Ben diversa è la situazione nel caso italiano dove tanto la Legge di risanamento di Napoli quanto il Codice di igiene pubblica in quegli stessi anni avrebbero creato, rispettivamente, un paradigma operativo, modello per una campagna di interventi igienisti da estendere alle cento città d’Italia, e un apparato amministrativo locale, schierato a favore dei progetti di risanamento. Interventi (piani o progetti che fossero) capaci di incidere profondamente sulla forma fisica delle città. Tanto da far nascere una nuova consapevolezza e dare l’avvio a politiche di tutela a scala urbana (7).

È difficile non domandarsi se il diverso impatto del movimento igienista – in Italia e negli USA – sia riconducibile alla insita diffidenza statunitense nei confronti dell’intervento dello Stato e alla convinta difesa delle libertà individuali che contraddistinguono quel mondo. O piuttosto al coincidere, in Italia, della nascita dello Stato unitario con lo Stato sanitario. E cioè al coincidere della definizione degli apparati comunali con le riforme crispine e le esigenze igieniste a cominciare dall’affidamento all’ente municipale (fornito di nuove figure di tecnici) delle funzioni sia di controllo che di intervento sulla città nel contesto dei piani di risanamento. Ma il confronto con gli Stati Uniti mette in evidenza, anche, un altro aspetto che sicuramente ha contribuito a limitare l’apporto degli igienisti americani: l’assenza di una visione di piano complessiva. Nel dibattito internazionale – animato dai convegni di ingegneria sanitaria – si riscontra un accordo generale sul “rapporto tra indagine e diagnosi” e sulla “terapia” da adottare; e cioè sulla parte analitica e le soluzioni tecniche che il movimento promuoveva. Manca l’accordo, invece, fra medici e ingegneri sul ruolo dell’igiene pubblica e sui suoi obbiettivi e ancora di più sui soggetti che avrebbero dovuto gestire gli interventi o il sistema sanitario nel suo complesso. In questo senso, secondo Peterson (1979) e Schultz (1978), fra gli altri, l’approccio americano si rivelò settoriale e frammentario perché in assenza di un appropriato apparato municipale, la preoccupazione principale dei medici e degli ingegneri professionisti incaricati degli interventi in tema d’igiene fu l'ambiente sanitario, non quello urbano. Solo con l’arrivo di Frederick Law Olmsted e del City Beautiful Movement (8) (cioè a cavallo fra il XIX ed il XX secolo), fortemente influenzati dalla sanitary reform, si registreranno interventi di più ampio respiro. In Inghilterra, invece, dove la riforma sanitaria ebbe inizio nel 1840 – e l’igiene pubblica fu istituzionalizzata nel 1848 e 1875 con i rispettivi Public Health Acts e superata con l’Housing and Town Planning Act – alle amministrazioni locali fu affidato il compito di pianificare lo sviluppo urbano già nel 1909. A partire dallo stretto rapporto fra rete idrica, fognaria e rete viaria, i contenuti del dibattito darwinista sull’ambiente e l’apporto del Garden City movement avrebbero poi contribuito ad arricchire e rivedere l’approccio al town plan (Hebbert 1999).

Molto diversa era, invece, la situazione nell’Italia alla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, colpita dall’epidemia di colera del 1884-1885. Come Guido Zucconi ci spiega, l’ampio dibattito in riviste, convegni, trattati e manuali avrebbe fatto emergere dispute terminologiche (igiene o sanità pubblica), divergenze dovute al campo disciplinare d’origine (biomedico e di ingegnere), ma soprattutto due distinte visioni dell’igiene pubblica. Una concezione limitativa (che resta all’interno del perimetro della medicina) e una assai più ampia che si estende fino a definire le caratteristiche ottimali dell’ambiente. Una che vede “la sanità pubblica come insieme di norme e precetti capaci di impedire in generale le cause di contagio – sulla scorta delle scoperte di Pasteur” (p. 200), limitandosi ad una serie di efficaci controlli all’interno di un sistema di prevenzione, e l’altra che estende la sua sfera di intervento fino a codificare i caratteri dello spazio salubre in tutte le forme di organizzazione sociale: urbano, residenziale, produttivo, di cura, di istruzione, etc. Questa divergenza di visioni, queste due diverse linee operative non mancarono di riflettersi nel dibattito sull’insegnamento e la formazione del nuovo profilo dell’ingegnere igienista. Da un lato, esperto con una visione onnicomprensiva, capace di agire su tutte le possibili scale di intervento, “dal disegno della “latrina-modello” fino alla configurazione del “piano di ampliamento edilizio” (p. 200). Dall’altro, “due competenze distinte, vigorose di vita propria, quella dell’ingegnere sanitario e del medico-igienista, che una lunga preparazione rende atte alle funzioni a cui le chiamano i nuovi bisogni della Nazione” (Spataro 1890, citato in Zucconi 2022, 201). La Scuola di perfezionamento in igiene pubblica con sede a Roma, fondata da Luigi Pagliani nel 1888, fu chiara espressione della prima visione onnicomprensiva, condivisa da Crispi, e affidava ad “un percorso interamente ministeriale il compito di formare i funzionari destinati a coprire i ranghi del nuovo Stato sanitario” (p. 191). Essa venne ampiamente osteggiata dall’ambiente accademico: “non un medico formerà un ingegnere, come non un ingegnere formerà un medico. Se così non fosse si avrebbe una invasione di attribuzioni in campo altrui; uno sfregio alla legge, che garantisce con diplomi lo esercizio d’una professione” (Spataro 1890, citato in Zucconi 2022, 202).

 

Lo Stato sanitario

La vicenda relativa alla declinazione nel contesto italiano della riforma igienista e che dà il titolo al volume di Zucconi, La città degli igienisti è il fulcro e l’aspetto più interessante del libro. Egli riesce non solo a documentare lo sviluppo scientifico che porta all’affermarsi del movimento igienista, in modo affascinante e con un approccio interdisciplinare e comparativo su scala europea (al quale dedica la prima parte del libro), ma anche a raccontare le riforme sanitarie promosse dal governo Crispi, individuando nel nesso fra scienza e potere, fra Pagliani e Crispi, una chiave di lettura ampia, che permette di illuminare appropriatamente le riforme del 1885-1889, e cioè il momento della formazione di uno Stato sanitario nel contesto delle ambizioni di uno Stato unitario.

Sulla scia delle scoperte scientifiche, mediche e ingegneristiche della seconda metà del Ottocento e della rinnovata attenzione allo stretto rapporto fra condizioni ambientali e salute, i problemi sociali e sanitari legati al sovraffollamento (spesso strettamente legato all’industrializzazione nei paesi più avanzati), assumeranno in Italia una valenza paradigmatica, anche a causa della fortuita coincidenza della costruzione di uno Stato unitario e di uno Stato sanitario. Visto che niente accade per caso, Guido Zucconi ci accompagna lungo questo viaggio che vede la nascita nel 1878 a Milano della Società italiana d’igiene, con finalità di “promuovere gli studi, le istituzioni e le leggi che contribuiscono all’integrità, alla conservazione ed all’incremento delle facoltà fisiche e morali dell’uomo, considerato nell’individuo, nella famiglia e nella sociale convivenza” (Zucchi 1879, citato in Zucconi 2022, 131). Leggi, istituzioni e studi – obbiettivi della Società italiana d’igiene – che in meno di un decennio saranno realtà (9). Questo felice connubio fra scienza e amministrazione e fra potere positivista e potere politico, realizzato nel quinquennio 1885-1889, darà forma allo Stato sanitario in Italia. La descrizione dettagliata di Zucconi della lunga serie di proposte di legge, degli intrecci professionali, dei numerosi contributi scientifici e delle complesse vicende dei piani di risanamento nelle cento città d’Italia daranno sostanza all’ossatura sopra delineata. Uno Stato sanitario che presto vedrà decapitato il suo carattere dirigista (e tecnocratico) ma non per questo disciolto il suo corpo (o la base della piramide secondo la analogia di Zucconi). Una base, quella comunale, alla quale verrà conferito il ruolo di protagonista nella riforma igienista (creando nuove figure, come l’Ufficio d’igiene e non solo) che resterà pressoché intatta fino alla riforma della sanità del 1977 (p. 215).

Obiettivo di Zucconi non è solo documentare e descrivere questa stagione di riforme e utopie sanitarie, ma anche vagliare, giudicare, valutare lo Stato sanitario, nella sua pur breve parabola (1885-1896) e la cultura igienista, più in generale, che dominò per oltre un ventennio il dibattito della scena urbana italiana. “Stabilire se, con i suoi consistenti risvolti amministrativi e sociali (10), la “lunga marcia degli igienisti” possa essere inserita a pieno titolo all’interno di una fase di crescita del paese”(p. 258). La sua risposta è complessa. Il progetto igienista, come espressione della piramide tecnocratica del governo Crispi appare una utopia dirigista. Ma se tale progetto si analizza nel più ampio contesto del movimento igienista, valutando fra l’altro la crescita di una consapevolezza complessiva per l’azione preventiva, il giudizio diventa più articolato. Se si valuta infine “attraverso i risultati raggiunti nel campo della prevenzione e della cura, il bilancio diventa positivo” (p. 258).

Zucconi, individuando le radici prebatteriologiche dell’igiene pubblica nelle esperienze militari settecentesche e nel concetto del génie sanitaire, suggerisce (anche se non esplicitamente) che la rivendicazione da parte degli igienisti di “un forte grado di indipendenza tecnico-amministrativa” trova le proprie basi non solo nelle conoscenze scientifiche che il loro approccio positivista verso l’urbs e civitas offriva (come il core del libro di Zucconi dimostra in grande dettaglio), ma anche nella garanzia offerta da procedure militari collaudate che permettevano agli igienisti di “operare in autonomia senza il consenso o la mediazione della politica” (p. 42). La supremazia tecnicista, la presunta oggettività ed infallibilità positivista, la discendenza militare rappresentano la garanzia e le ragioni del potere che la città degli igienisti riuscì ad esercitare nell’Ottocento e continua ad esercitare in forme meno esplicite ancora oggi.

 

Il lascito della cultura igienista

L’obiettivo ultimo di Guido Zucconi va comunque oltre le vicende ottocentesche per investigare sulle radici igieniste della cultura urbanistica italiana e sul lascito di questa tradizione positivista fino ad oggi. Triplice è l’apporto della cultura igienista alla nascente urbanistica, secondo Zucconi:

i) “la Legge di Napoli avrà un valore esemplare: il suo destino sarà quello di essere utilizzata quasi ovunque, pur senza mai essere riconosciuta nel suo valore innovativo, come reale inizio di un town planning di marca tutta italiana” (p. 230). Il piano regolatore e di risanamento nasce con essa.

ii) La visione onnicomprensiva di Pagliani e ancora di più, quella ideologica consistente nel “definire in assoluto le migliori condizioni ambientali possibili, compatibili con i bilanci pubblici” (p. 252) verrà trasmessa alla nascente figura dell’urbanista. In modo analogo, anche se di segno opposto, Zucconi come Peterson riconosceranno al progetto igienista, frammentario nel caso americano, onnicomprensivo nel caso italiano, la capacità di incidere direttamente sulla nascente disciplina urbanistica.

iii) Il bagaglio conoscitivo positivista, l’approccio “quantitativo legato ad obiettivi previsionali” (p. 202) e la “materializzazione del concetto di spazio salubre” (p. 201) che sono alla base dell’elaborazione igienista di Pagliani daranno origine alla nascente urbanistica.

Molto più ampio e pervasivo è invece il lascito di questa tradizione positivista. La biomedicina, con il microscopio alla base come protagonista, aprirà una strada d’intervento preventivo nel corpo umano e urbano capace di candidarsi al governo e al dominio di ogni aspetto che riguardi la vita collettiva. Questa onnipresenza della medicina e la sua eredità è sotto gli occhi di tutti: dalla latrina, ai vaccini, dalle fogne ai parchi, dall’educazione sessuale ai manicomi. Ma il paradigma igienista associato a quello darwinista, darà – come altre ricerche hanno suggerito (11) – forme diverse in realtà storiche e contesti culturali distinti. Uno dei tratti più pervasivi del paradigma igienista (istituzionalizzato in ambito architettonico con il lavoro di Le Corbusier e dei CIAM) sarà la dissociazione dello spazio urbano dalla storia e dalla cultura. “The utopian narratives of medical origin” which are at the basis of “eugenics as a science provided the means to institutionalize and legitimize a national transformation in Latin America, using architecture and urban planning as economic and political technologies”(Lopez-Duran 2018, 25). Fabiola López-Durán col suo libro Eugenics in the garden. Transatlantic Architecture and the Crafting of Modernity, non-solo rivoluziona la nostra conoscenza storica dell’urbanistica latinoamericana, ma offre ampia evidenza di un altro filone del paradigma igienista: quello dell’eugenismo Lamarckiano collegato al Musée social. Diverse sono le conclusioni di Michael Hebbert (1999) rispetto all’impatto dell’eugenismo nel secondo dopoguerra in Inghilterra.

Il libro di Zucconi colma una lacuna importante nella storiografia e nella genealogia urbanistica italiana, identificando, in accordo con l’opinione internazionale, il movimento igienista degli anni Quaranta dell’Ottocento come radice comune dell’igiene pubblica e dell’urbanistica. Quest’ultime, sono cugine di primo grado, scrive Hebbert riferendosi all’Inghilterra. Entrambe nel tardo Ottocento si svilupperanno come professioni connesse all’amministrazione locale e saranno caratterizzate da una visione olistica che le distinguerà dalle rispettive discipline d’origine, medicina e architettura. Sulla scia del libro di Richard Sennett Flesh and Stone (1995) – che, esplorando l'antica affinità tra la comprensione della salute da parte della società e la forma urbana, dimostra che tutta la storia della costruzione delle città può essere scritta nel linguaggio di una metafora corporea e di una analogia medica – è probabilmente più che legittimo chiederci, dopo questa affascinante lettura de La città degli igienisti, quali sono e saranno le forme che “la salute” prenderà nell’era digitale alla ricerca di resilienza e sostenibilità.

Heleni Porfyriou

 

 

Note

1) Gli igienisti inglesi degli anni Quaranta dell'Ottocento denunciarono i risultati, condannando le fogne esistenti come "pozzi neri allungati". “While the famous sewers of Paris did not remove fecal matter. Edwin Chadwick's conception entailed the coordinated reconstruction of urban places on a citywide scale. Abundant water supply, well-engineered sewers, and carefully designed streetbeds were all involved… Chadwick’s pipe system was not carried out in England until after 1848. …But in 1842 William Lindley, an English engineer, designed for Hamburg a water-carriage system directly based upon Chadwick’s principles-the first such system in modern times. (Peterson 1979, 90 sgg.)
2) Ibid.
3)
Ai sensi della Legge per il risanamento di Napoli, gli ingegneri igienisti avrebbero dovuto definire la rete idrica e quella fognaria, in relazione alla struttura viaria e in modo coerente con le previsioni di crescita, oltre a redigere i piani regolatori e di risanamento; inoltre, avrebbero dovuto definire anche una serie di prototipi edilizi, come la casa salubre, la scuola e l’ospedale modello. Dal microcosmo domestico, ai luoghi di produzione, alle questioni che riguardavano gli insediamenti umani: tutto rappresentava il campo d’azione e d’intervento dell’ingegnere igienista.
4) Le recenti ricerche per il 150tenario della Repubblica lo confermano (vedi Vecchi 73 sgg.)
5) Il Codice d’igiene pubblica imponeva l’istituzione in ogni città d’Italia (più precisamente, nei comuni che superassero la soglia dei 5000 abitanti) di un Ufficio d’igiene con annesso laboratorio, stabiliva che si redigesse un regolamento locale d’igiene e che si avviasse un’inchiesta sulle abitazioni, mantenendo come riferimento la soglia di salubrità sancita. In applicazione della legge e per la realizzazione di queste articolate richieste e dei conseguenti piani preventivi, tre nuove figure tecnico-burocratiche venivano introdotte su scale comunale. L’Ufficiale sanitario (che si avrebbe dovuto occuparsi di indagini e controllo), l’Ingegnere-capo (cui avrebbe fatto capo la progettazione e la gestione delle trasformazioni edili), il Segretario comunale (cui sarebbe spettata l’organizzazione complessiva della macchina comunale). Prova di questo sistema centralizzato ma ben articolato fu il controllo sistematico che avvenne sul piano statistico nei circa 8.200 comuni italiani (Favero 2006 citato in Vecchi 2011, 454).
6)
Da confrontare con le epidemie di colera a Napoli nelle estati del 1884 e del 1885, che registrarono 7.000 decessi su circa 535.000 abitanti. Risultati che dettero il via alla Legge per il risanamento di Napoli del 1885.
7) Su questa questione si veda il libro di Zucconi, La città contesa, di cui il volume che stiamo discutendo costituisce la logica conseguenza.
8) Vedi Peterson 2016.
9) Come si è già sottolineato, la legge di risanamento di Napoli del 1885 e il Codice d’igiene pubblica del 1888, rappresentano gli interventi fondamentali a livello legislativo. Il 12 giugno 1887 a Palazzo Braschi, allora sede del ministero dell’Interno, il Primo ministro, nonché responsabile dell’Interno, Francesco Crispi determinato a “riorganizzare in modo sistematico la difesa della salute pubblica”(Cramarossa 1938, 511) convocò a Roma il giovane, non ancora quarantenne, medico igienista torinese Luigi Pagliani affidandogli due compiti: portare a compimento la bozza della legge che poi diventerà il Codice d’igiene pubblica e creare un’apposita direzione (diventandone capo) amministrativa dedicata ai problemi di “risanamento del suolo e dell’abitato” e con funzioni di Ufficio tecnico. Nel gennaio del 1889 Pagliani con un discorso intitolato “L’igienista nello Stato moderno” avrebbe inaugurato il corso della Scuola di perfezionamento (pp. 175-6).
10) I progressi raggiunti in diversi ambiti – dalla mortalità infantile alla incidenza delle malattie contagiose e altro - sono noti e ampiamente documentati nella letteratura in argomento.
11) Vedi López-Durán 2018 e Hebbert 1999.

 

 

Riferimenti bibliografici

Della Peruta, F. (1980). “Sanità pubblica e legislazione sanitaria dall’Unità a Crispi”, in Studi Storici, vol.21, no.4, pp. 713-759.
Dickens, C. (1846). Pictures from Italy, London; trad.
It. Impressioni d’Italia, Carabba, Lanciano, 2004.
Hebbert, M. (1999). “A City in Good Shape: Town Planning and Public Health”, in The Town Planning Review, vol. 70, no. 4, pp. 433–53.
López-Durán, F. (2018). Eugenics in the garden. Transatlantic Architecture and the Crafting of Modernity, University of Texas Press.
Peterson, J. A. (2016). “The City Beautiful Movement”, in Journal of Urban History. vol 2, issue 4, (1976) First published online 2016 https://doi.org/10.1177/009614427600200402
Peterson, J. A. (1979). “The Impact of Sanitary Reform upon American Urban Planning, 1840-1890”, in Journal of Social History, vol. 13, no. 1, pp. 83-103.
Schultz, S.K and Clay McShane (1978). "To Engineer the Metropolis: Sewers, Sanitation, and City Planning in Late Nineteenth-Century America", in Journal of American History, v.55, pp. 389-411.
Sennett, R. (1995). Flesh and Stone: The Body and the City in Western Civilization, Faber & Faber, London.
Vecchi, G. (2011). In ricchezza e in povertà. Il benessere degli italiani dall’Unità a oggi, Il Mulino, Bologna.
Zucconi, G. (1989). La città contesa. Dagli ingegneri sanitati agli urbanisti (1885-1942), Jaca Book, Milano.

 

 

N.d.C. - Heleni Porfyriou (PhD in storia dell’urbanistica – Bartlett School of Architecture and Planning – University College London - UK) si occupa di storia, conservazione e valorizzazione urbana. Primo Ricercatore CNR (dal 1999), attualmente lavora presso l'Istituto di Scienze del Patrimonio – ISPC di Roma.

Dal 2006 al 2017 è stata Responsabile dell'Unità di Roma del CNR-Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali. È stata visiting scholar della Columbia University-NY (2018, 2022) e visiting researcher della Peking University e della Xian University (2012-2016).

È la fondatrice della rete globale Genealogy of Urban Design – GUDesign network, https://gudesign.org/ lanciata nel maggio 2020. Attualmente coordina il progetto trilaterale su “Cultural Heritage Conservation and Enhancement of urban and rural settlements along the Maritime Silk Road” con l'Università di Xiamen e WHITRAR-UNESCO-Shanghai (2019-2024) ed è partner del progetto vincitore di Grotte di Castro finanziato dal PNRR/MiC/Attrattività dei borghi storici.

Ha pubblicato studi sulle politiche di conservazione, progettazione e valorizzazione urbana in Europa e in Cina e sulla storia dell'urbanistica europea.

Tra i suoi libri: con Cristina Pallini, a cura di, Il passato conteso. Metamorfosi di alcune 'città di confine' nel Mediterraneo orientale tra Ottocento e Novecento (Università Roma Tre-Croma - AISU, 2014); con Gabriele Corsani, a cura di, Borghi rurali e borgate. La tradizione del disegno urbano in Italia negli anni Trenta (Palombi, 2017); con Laura Genovese, a cura di, China and Italy. Sharing cultural heritage expertise (CNR, 2017); con Marichela Sepe, a cura di, Waterfronts revisited. European ports in a historic and global perspective (Routledge, 2017); con Bing Yu, a cura di, China and Italy. Routes of culture, valorisation and management (CNR, 2018); con Marco Folin, a cura di, Controversial heritage and divided memories from the nineteenth through the twentieth centuries (Routledge, 2021).

N.B. I grassetti nel testo sono nostri.

R.R.


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09 GIUGNO 2023

CITTÀ BENE COMUNE

Ambito di riflessione e dibattito sulla città, il territorio, l'ambiente, il paesaggio e le relative culture progettuali

ideato e diretto da
Renzo Riboldazzi

prodotto dalla Casa della Cultura e dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

in redazione:
Elena Bertani
Luca Bottini
Oriana Codispoti

cittabenecomune@casadellacultura.it

iniziativa sostenuta da:
DASTU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano
 

 

 

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2021: V. Magnago Lampugnani | G. Nuvolati
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2022: programma/1,2,3,4
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2018: Silvano Tintori
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2020: online/pubblicazione
2021: online/pubblicazione
2022: online/pubblicazione
2023:

G. Strappa, Ogni ricostruzione è progetto, commento a: E. Bordogna, T. Brighenti, Terremoti e strategie di ricostruzione (LetteraVentidue, 2022)

L. Bifulco, Essere preparati: città, disastri, futuro,
commento a: S. Armondi,
A. Balducci, M. Bovo,
B. Galimberti (a cura di), Cities Learning from a Pandemic: Towards Preparedness, (Routledge 2022)

A. Bruzzese, Una piazza per ogni scuola, commento a: P. Pileri, C. Renzoni, P. Savoldi, Piazze scolastiche (Corraini, 2022)

C. Sini, Più che l'ingegnere, ci vuole il bricoleur, commento a: G. Pasqui, Gli irregolari (FrancoAngeli, 2022)

G. De Luca, L'urbanistica tra politica e comorbilità, commento a: M. Carta, Futuro (Rubbettino, 2019)

F. Erbani, Una linea rossa per il consumo di suolo, commento a: V. De Lucia, L’Italia era bellissima (DeriveApprodi, 2022)

F. Ventura, L'urbanistica fatta coi piedi, commento a: G. Biondillo, Sentieri metropolitani (Bollati Boringhieri, 2022)

E. Battisti, La regia pubblica fa più bella la città, commento a: P. Sacerdoti, Via Dante a Milano (Gangemi, 2020)

G. Nuvolati, Emanciparsi (e partecipare camminando), commento a: L. Carrera, La flâneuse (Franco Angeli, 2022)

P. O. Rossi, Zevi: cinquant'annidi urbanistica italiana, commento a: R. Pavia, Bruno Zevi (2022)

C. Olmo, La memoria come progetto, commento a: L. Parola, Giù i monumenti? (Einaudi, 2022); B. Pedretti, Il culto dell’autore (Quodlibet, 2022); F. Barbera, D. Cersosimo, A. De Rossi (a cura di), Contro i borghi (Donzelli, 2022)

A. Calafati, La costruzione sociale di un disastro, commento a: A. Horowitz, Katrina. A History, 1915-2015 (Harvard University Press, 2020)

B. Bottero, Città vs cittadini? No grazie, commento a: M. Bernardi, F. Cognetti e A. Delera, Di-stanza. La casa a Milano (LetteraVentidue, 2021)

F. Indovina, La città è un desiderio, commento a: G. Amendola, Desideri di città (Progedit, 2022)

A. Mazzette, La cura come principio regolatore, F. C. Nigrelli (a cura di), Come cambieranno le città e i territori dopo il Covid-19 (Quodlibet Studio, 2021)

P. Pileri, La sostenibilità tradita ancora, commento a: L. Casanova, Ombre sulla neve. Milano-Cortina 2026 (Altreconomia, 2022)

A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi, 2020)