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Ci sono libri che si leggono per curiosità, altri per un premeditato dissenso, altri ancora per provare ad allargare il proprio sempre troppo ristretto campo di conoscenze. Questo libro di Cristina Bianchetti – Le mura di Troia. Lo spazio ricompone i corpi (Donzelli 2023) – completa un suo percorso di studio (è dichiaratamente un testo frutto di un pluriennale lavoro di ricerca), ma genera anche uno spaesamento per chi è ormai abituato a leggere l’urbanistica come una tecnica, una politica, un racconto.
L’Autrice muove da letture che hanno padri nobili: Foucault, Deleuze, Basaglia (Franco e Franca Ongaro), Sebald… Proprio da quest’ultimo vorrei partire. Winfried Sebald pubblica una Storia naturale della distruzione (tr.it. Adelphi 2004) muovendo da una domanda: sappiamo davvero che cosa hanno prodotto i grandi bombardamenti (degli alleati in Germania, dei tedeschi a Londra o in tante città alleate) durante il secondo conflitto mondiale? La sua risposta è, ancora oggi – oggi che il bombardamento delle città è di nuovo di drammatica attualità –, urticante: hanno indotto una paralisi della capacità razionale ed emotiva di quanti si sono trovati coinvolti e la “protezione” – se così possiamo chiamarla – di quanti si sono salvati. Due nodi, a ben guardare, ancor oggi irrisolti se davvero si vuole affrontare il tema dei modi con cui abbiamo praticato la ricostruzione, almeno in Europa, e presumibilmente la praticheremo.
Bianchetti lo fa non partendo dalle rovine, dai lutti – a cui pure dedica un capitolo tra i più convincenti, quello sulla “cartografia del lutto” (p. 39 sgg.) –, o dalle ideologie funzionaliste su cui la ricostruzione si è fondata (p. 80 sg.). Usa Sebald per proporci un punto di vista che, soprattutto l’urbanistica funzionalista e postfunzionalista ha rigidamente evitato: il corpo, la sua materialità, i suoi desideri, facendoci ripiombare in una città tardo settecentesca, quando, a iniziare dall’espulsione della morte e del lutto, vengono allontanati dalla città la follia, la colpa, la malattia.
Giovanni Castorp – in uno dei passaggi più convincenti de La montagna incantata di Thomas Mann (l’ottavo paragrafo del V capitolo, La danza macabra) – ci offre forse una chiave interpretativa adatta anche per entrare nel testo di Cristina Bianchetti. Corpo, malattia, morte, persino suicidio, lutto non sono solo forme del nostro essere al mondo: sono essi stessi portatori di un punto di vista (p. 53); sono forme per riconsiderare la riduzione, quasi nominalista, del nostro essere, come scriverebbe Condilllac, statue senza vita cui iniziare a riconoscere, sensazione per sensazione, un’esistenza e un significato.
Vorrei però proporre un’altra lettura del testo, prendendo ispirazione da un saggio dimenticato di Luc Boltanski, “Les usages sociaux du corps”, in: Annales. Économies, Sociétés, Civilisations, a. XXVI, n. 1, 1971, pp. 205-233) e dalle meditazioni che ancora oggi induce. La prima riflessione è che quasi tutto il libro è una riflessione non solo sul corpo ma anche sul rapporto che gli individui intrattengono con il proprio corpo (quasi tutta la seconda parte del testo è quasi illeggibile senza questa chiave) nello spazio. Le osservazioni di Boltanski sulla riduzione a tecniche di molte osservazioni sul corpo – che si alimenta, che si muove, che comunica in maniera non verbale (pp. 207-208) – arricchiscono di significato le “cartografie” ad esempio dell’intimità o dello spaesamento (pp. 29-38) che Bianchetti ci propone. Perché è un usage inattendue de l’espace quello cui ci troviamo davanti, con tutte le sue ovvie ricadute sugli strumenti disciplinari che oggi utilizziamo per renderlo astratto. Ma tutta la lettura di quel saggio, che qui posso solo richiamare, aiuta a non leggere “alla lettera” il lavoro di Cristina Bianchetti. Come ci aiuta la riflessione che Bianchetti conduce sul corpo morto se noi lo leggiamo – come l’autrice per altro ci suggerisce – attraverso L’elaborazione del lutto di Sigmund Freud.
Tutta la vita contemporanea – questa è la seconda riflessione –, la sua esaltazione del presentismo, non è che una rimozione di un corpo che vive in un tempo – forse, più correttamente, in più tempi (François Hartog, Chronos. L’Occidente alle prese con il tempo, trad. Valeria Zini, Einaudi 2022, p. VII e sgg.) – con un atteggiamento che poi produce assenza, dolore, mancanza. A cominciare da una delle componenti fondamentali del corpo: la voce. Se posso permettermelo, Bianchetti resta ancora dentro il dialogo corpo spazio, persino quando dedica un bellissimo capitolo al “Progetto di negazione” (pp. 65-89) cogliendo, nell’ultimo paragrafo, proprio “il nemico” del saggio di Boltansky, ovvero una interdisciplinarità sempre invocata e quasi mai praticata. Il corpo senza organi è davvero restituito alla sua libertà – come Bianchetti suggerisce citando da Antonin Artaud – perché una panchina, un tram, una cucina funzionalista, un letto alla svedese, sono tutti costruiti in funzione di un organo, non del corpo. Perché quelle mura di Troia che troviamo nel titolo del libro sono quelle stesse di Michel Foucault, quelle cioè in cui non ci sono corpi, ma braccia alzate, petti coraggiosi, gambe agili... Foucault e Artaud, tuttavia, dimenticano che la prima presenza di un corpo – e il suo primo legame con lo spazio e l’alterità (qui forse varrebbe la pena di riprendere Jacques Lacan e il suo Il seminario. Libro VII. L'etica della psicoanalisi. 1959-1960, Einaudi 2008) – è la voce.
Quasi nessun elemento di nessuna teoria urbanistica tiene conto della voce e della sua assenza. È l’unico appunto che posso fare a un libro che va letto tenendo ben presente che Cristina Bianchetti mette sul “chi va là” il lettore. Il corpo senza organi ci invita a guardare il progetto sotto forma dell’anatomia fondamentale. Ma tra corpo e spazio ci sono relazioni che inevitabilmente ci portano a un altro dei grandi temi che, soprattutto negli anni sessanta e settanta, hanno davvero mutato il nostro punto di vista sul mondo: la malattia. Bianchetti propone una rivisitazione de L’istituzione negata, uno dei “livre de chevet” per almeno tre generazioni (L'istituzione negata, a cura di Franco Basaglia, Einaudi 1968). L’Autrice coglie come uno dei fondamenti del libro sia la negazione del mandato sociale che ci richiederebbe di considerare il malato non come uomo, ma solo come un corpo malato. Forse la “giusta” questione non sta nella riflessione sull’ermeneutica della malattia. Basaglia e Franca Ongaro, a Trieste, probabilmente più che a Gorizia, utilizzano ogni strumento, sino a riprendere il significato che Epidauro, Asclepio e i suoi riti (il teatro e la forza della rappresentazione) connettevano. È in questa connessione che Basaglia trova la cura della malattia e il riconoscimento dell’alterità. Ed è attraverso questo nesso che il corpo da malato, rappresentando il suo punto di vista e i suoi misteri, torna a riappropriarsi del pensiero, e prima ancora dei gesti, del movimento, della sua diversità, senza che questa diventi una topologia clinica. In questo Basaglia è distante da Ronald Laing e da Erving Goffman, perché il corpo liberato e in grado di espressione è la negazione della malattia come alterità quasi rituale. Quel corpo e le sue rappresentazioni ricuciono i legami tra la malattia e un mandato sociale che diventa allora quasi quello del riconoscimento quasi ricoeriano, la via per poter tornare al dialogo tra “i malati” e una società che non ha più bisogno delle mura che racchiudevano il manicomio.
Per concludere, il libro di Cristina Bianchetti credo resterà davvero ostico per un’urbanistica non solo dei retini o di una theory sempre più afona, ma anche per una progettazione urbanistica che non voglia ricominciare a ragionare anche sulla materialità e sul suo silenzio, oggi che tutto sembra virtuale, misurabile, incredibilmente prosaico.
Carlo Olmo
N.d.C. - Carlo Olmo, professore emerito di Storia dell'Architettura del Politecnico di Torino, è stato preside della Facoltà di Architettura e ha coordinato il dottorato di ricerca in Storia dell'Architettura e dell'Urbanistica. Ha insegnato all'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in numerose università straniere. Ha inoltre curato mostre di architettura a Torino, Venezia, Roma, Parigi, Bruxelles e New York.
Tra i suoi libri: Politica e forma (Vallecchi, 1971); Architettura edilizia. Ipotesi di una storia (Torino, 1975), con Roberto Gabetti, Le Corbusier e L'Esprit Nouveau (Einaudi, 1975); con Riccardo Roscelli, Produzione edilizia e gestione del territorio (Stampatori, 1979); La città industriale. Protagonisti e scenari (Einaudi, 1980); Aldo Rossi attraverso i testi (Mazzotta 1986): tr. ing. in "Assemblage", 5, 1988: Turin et des Miroirs feles, in "Annales", 3, 1989; con Roberto Gabetti, Alle radici dell'architettura contemporanea. Il cantiere e la parola (Einaudi, 1989); con Linda Aimone, Le esposizioni universali, 1851-1900. Il progresso in scena (Allemandi, 1990; ed. fr. Belin 1993); con Luigi Mazza (a cura di), Architettura e urbanistica a Torino, 1945-1990 (Allemandi, 1991); (a cura di), Cantieri e disegni. Architetture e piani per Torino, 1945-1990 (Allemandi, 1992); Urbanistica e società civile. Esperienza e conoscenza, 1945-1960 (Bollati Boringhieri, 1992); Gabetti e Isola. Architetture (Allemandi, 1993); (a cura di), La ricostruzione in Europa nel secondo dopoguerra (Cipia, 1993); (a cura di), Il Lingotto: 1915-1939. L'architettura, l'immagine, il lavoro (Allemandi, 1994); (a cura di) con Bernard Lepetit, La città e le sue storie (Einaudi, 1995); (a cura di), con Alessandro De Magistris, Jakov Cernihov: documenti e riproduzioni dall'archivio di Aleksej e Dimitri Cernihov (Allemandi, 1995; ed. fr. Somogy editions d'art, 1995; ed. ted. Arnoldsche, 1995); Le nuvole di Patte. Quattro lezioni di storia urbana (FrancoAngeli, 1995); (a cura di), Mirafiori (Allemandi, 1997); (a cura di) con Lorenzo Capellini e Vera Comoli, Torino (Allemandi, 1999); (a cura di), Dizionario dell'architettura del XX secolo (Allemandi, 2000-2001, 5 vol.; ed. Enciclopedia Treccani, 2002); Costruire la città dell'uomo. Adriano Olivetti e l'urbanistica (Edizioni di Comunità, 2001); (a cura di) con Walter Santagata, Sergio Scamuzzi, Tre modelli per produrre e diffondere cultura a Torino (Fondazione Istituto piemontese Antonio Gramsci, 2001); con Michela Comba, Marcella Beraudo di Pralormo, Le metafore e il cantiere. Lingotto 1982-2003 (Allemandi, 2003); (a cura di) con Michela Comba e Manfredo di Robilant, Un grattacielo per la Spina. Torino, 6 progetti su una centralità urbana, catalogo della mostra (Allemandi, 2007); Morfologie urbane (il Mulino, 2007); (a cura di), Giedion, Sigfried, Breviario di architettura (Bollati Boringhieri, 2008); (a cura di) con Arnaldo Bagnasco, Torino 011: biografia di una città. Saggi (Mondadori Electa, 2008); Architettura e Novecento. Diritti, conflitti, valori (Donzelli, 2010); (a cura di), con Cristiana Chiorino, Pier Luigi Nervi. Architettura come sfida (Silvana ed., 2010, 2012); Architecture and the 20. Century: Rights, conflicts, values (List Lab, 2013); Architettura e storia. Paradigmi della discontinuità (Donzelli, 2013); con Susanna Caccia Gherardini, Le Corbusier e il fantasma patrimoniale (Il Mulino 2015) e Metamorfosi americane. Destruction throught neglect: Villa Savoye tra mito e patrimonio (Quodlibet, 2016); con Susanna Caccia, La villa Savoye. Icona, rovina e restauro (1948-1968) (Donzelli, 2016); con Patrizia Bonifazio e Luca Lazzarini, Le Case Olivetti a Ivrea (Il Mulino, 2018); con postfazione con Antonio De Rossi, Urbanistica e società civile (Edizioni di Comunità, 2018); Città e democrazia. Per una critica delle parole e delle cose (Donzelli, 2018); Progetto e racconto. L’architettura e le sue storie (Donzelli, 2020); Storia contro storie. Elogio del fatto architettonico (Donzelli, 2023).
Per Città Bene Comune ha scritto: Spazio e utopia nel progetto di architettura (15 febbraio 2019); La città tra corpo malato e corpo perfetto (3 luglio 2020); La diversità come statuto di una società (19 febbraio 2021); Biografia (e morfologia) di una strada (22 ottobre 2021); Gli intellettuali e la storia, oggi (4 febbraio 2022); Per una nuova Progressive Age (10 settembre 2022); La memoria come progetto (24 febbraio 2023).
Sui libri di Carlo Olmo, v. i commenti di: Cristina Bianchetti, Lo spazio in cui ci si rende visibili… E la cerbiatta di Cuarón (5 ottobre 2018); Giampaolo Nuvolati, Scoprire l’inatteso negli interstizi delle città (20 settembre 2019); Carlo Magnani, L’architettura tra progetto e racconto (11 settembre 2020); Piero Ostilio Rossi, Modi (e nodi) del fare storia in architettura (2 ottobre 2020); Gabriele Pasqui, La storia tra critica al presente e progetto (23 ottobre 2020).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 30 GIUGNO 2023 |
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A. Muntoni, L'urbanistica, sociologia che si fa forma, commento a: V. Lupo, Marcello Vittorini, ingegnere urbanista (Gangemi, 2020)
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