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LA DISSOLUZIONE DELL'URBANISTICA SPAGNOLA
Commento al libro di Miguel Fernández Maroto
Federico Camerin
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Il libro di Miguel Fernández Maroto, Urbanismo y evolución urbana de Valladolid (1979-2012). Del proyecto reformista a la hegemonía de lo inmobiliario (Universidad de Valladolid, 2021) – in italiano “Urbanistica ed evoluzione urbana a Valladolid (1979-2012). Dal progetto riformista all’egemonia del settore immobiliare” – fa emergere, anche a partire dal caso di Valladolid, luci e soprattutto ombre dell’evoluzione urbanistica delle città spagnole e degli strumenti di pianificazione di quel paese in un arco temporale di più di trent’anni, ossia dalla fine della dittatura spagnola fino al 2012, l’anno in cui venne avviata la revisione al piano regolatore di Valladolid (il “Plan General de Ordenación Urbana”). Il libro di Maroto è – a giudizio di chi scrive – rilevante anche per il lettore italiano perché, dal confronto con la Spagna, emergono similitudini e differenze con le dinamiche di urbanizzazione e dei cambiamenti nell’urbanistica nel nostro paese che dovrebbero indurre a una seria riflessione sull’impatto che l’indebolimento degli strumenti di pianificazione comporta.
Il testo si compone di due parti principali: la prima, articolata in tre capitoli, affronta tematiche delle trasformazioni urbane e territoriali connesse e conseguenti agli strumenti di pianificazione a livello nazionale. La seconda, suddivisa in quattro capitoli, si focalizza sul caso di Valladolid. In entrambe le parti, l’autore sottolinea un graduale consolidamento di tre tendenze interne al sistema di sviluppo urbano spagnolo che – dimostra puntualmente – condurranno alla rottura di altrettanti equilibri fino al collasso del modello di sviluppo urbano del “desarrollismo” scoppiato con la bolla immobiliare del 2007-2008.
Le tre tendenze che l’autore identifica nella sua analisi riguardano:
- in primo luogo, l’eccessiva crescita delle città spagnole dalla fine degli anni Settanta. Questa è sostanzialmente plasmata dalla corrente riformista dell’urbanistica spagnola, che peraltro si rifà a quella italiana (1), ma finisce col tradire i suoi principi costitutivi ad esclusivo favore delle esigenze del mercato immobiliare. Tra 1987 e 2006 in Spagna il suolo urbanizzato cresce del 52%. Un livello del tutto ingiustificato se si pensa che non sono rari i casi in cui – come a Valladolid – ci si trova di fronte a una lenta ma graduale diminuzione della popolazione urbana;
- in secondo luogo, in omaggio a quelle correnti di pensiero secondo cui la liberalizzazione del mercato avrebbe determinato l’abbassamento del costo della casa, ha luogo in Spagna una sorta di “burocratizzazione” economica dell’urbanistica; ci riferiamo alle riforme della “Legge del Suolo” del 1956 promosse nel 1975, 1990 e 1998 e alla nuova Ley de Suelo del 2007. Tali dispositivi normativi, oltre ad affidare alle comunità autonome spagnole competenze esclusive in materia di urbanistica ed ordinamento del territorio, hanno introdotto strumenti urbanistici, anche strategici, sempre più estranei ai valori culturali correlati alla dimensione spaziale e formale del territorio;
- in terzo luogo, le città spagnole sono state oggetto di uno sviluppo “per frammenti” scollegati l’uno dall’altro e dal corpo principale della città; questo ha contribuito a determinare dinamiche di consumo di suolo e sprechi edilizi, esattamente com’è avvenuto in Italia (2). Tale tendenza ha favorito gli interessi privatistici dei promotori immobiliari i quali, con la complicità delle amministrazioni locali, dagli anni Ottanta del secolo scorso si sono fatti carico di proporre un numero imprecisato di varianti parziali ai piani regolatori generali snaturandone la visione di insieme. Tale dinamica è stata aggravata dai grandi progetti promossi dal settore pubblico e attuati sulle aree dove giacevano gli scheletri del post-fordismo che la globalizzazione ha disseminato ovunque. Tra i più eclatanti citati da Fernández Maroto ci sono quelli di Barcellona e Bilbao tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio anni Novanta. Questa terza dinamica ha trovato ampi riscontri nel dibattito culturale spagnolo senza che ciò, di fatto, contribuisse a un’inversione di rotta. Secondo Rivas Sanz, per citare uno degli autori più critici, “la pianificazione burocratica, con il suo sempre più incomprensibile gergo tecnico, sembra sia stata solamente capace di servire e alimentare la macchina della crescita dell’urbanistica capitalista” (3).
La seconda parte del libro di Fernández Maroto – abbiamo detto – è dedicata al caso di studio di Valladolid, città ubicata nella Comunità Autonoma di Castilla y León, 160 km a nordovest rispetto a Madrid. L’autore mette in rilievo il fatto che qui ritroviamo chiaramente tutti i processi urbani e le tendenze urbanistiche delineate nella prima parte, concretizzati anche in strumenti di pianificazione caratterizzati da un profilo qualitativo riconosciuto a livello nazionale e internazionale. Valladolid è diventata una delle principali città spagnole grazie ad una massiccia industrializzazione a partire dagli anni Cinquanta, favorita dalla dichiarazione, nel 1964, di centro di sviluppo industriale nazionale. In questo periodo ha luogo una rilevante espansione che finisce col coinvolgere il territorio metropolitano. Il numero di abitanti passa da 150.000 nel 1960 a 320.000 nel 1981, periodo in cui la popolazione attiva impiegata nell'industria sale al 40% di quella totale. Nel 2011 si avvertono i primi segnali di crisi. La città registra una perdita di popolazione mentre diversi comuni limitrofi superano la soglia dei 100.000 abitanti. Altri dati: tra il 1981 e il 2011 si costruisce quasi il 45% delle case presenti nell’area urbana, mentre tra il 1987 e il 2006 il suolo urbanizzato passa da meno di 4.000 ettari a più di 8.500 ettari. Un raddoppio che avviene in appena vent’anni.
Nel 1984 Valladolid approva il suo Piano Generale di Sviluppo Urbano, uno strumento che, pur caratterizzato da una chiara previsione espansiva non rinunciava a una logica di controllo della crescita e del legame tra crescita e miglioramento del tessuto urbano e sociale esistente. La sequenza di piani regolatori generali che la città approva da lì in avanti invece (dopo quello del 1984, quelli del 1996 e del 2003) va di pari passo con le riforme introdotte nella legislazione nazionale (1975, 1990 e 1998) e si inserisce, a sua volta, nel processo di assunzione delle competenze in materia di governo del territorio da parte delle comunità autonome (in questo caso, abbiamo detto, Castilla y León). I tre piani contemporanei di Valladolid sono lo specchio delle tre tendenze prima esemplificate: il riformismo degli anni Ottanta (pp. 79-122), la pianificazione strategica e i grandi progetti urbani degli anni Novanta (pp. 123-196) e l’espansione incontrollata dagli anni Duemila (pp. 197-290). Soprattutto, testimoniano la progressiva accentuazione di una volontà espansiva che ha condotto a un deciso abbandono della prospettiva riformista iniziale. Coerentemente con la situazione nazionale, ciò che a Valladolid viene avanti riflette in modo eloquente la dissoluzione della pianificazione comunale, l’incapacità di gestire quella sovracomunale, una caduta della tensione al miglioramento e alla sistemazione della città esistente, della cura dei contenuti formali del piano, del ruolo di controllo della crescita urbana. Tutto ciò in un contesto in cui l’urbanistica rivestiva un significativo ruolo politico e richiamava l’attenzione dell’opinione pubblica (4). Il cambiamento di direzione rilevato nell’azione urbanistica comunale di Valladolid rispondeva a una logica di competizione con la dozzina di comuni dell’area metropolitana circostante e può essere visto come la causa principale del successivo degrado dell’urbanistica comunale per l’appiattimento delle scelte pianficatorie sugli interessi del mercato immobiliare. Un cambiamento legato a sua volta al discorso di liberalizzazione derivante dalla legislazione statale e alla riluttanza del Consiglio Regionale (la cosiddetta “Junta”) di Castilla y León a imporre un controllo più stringente, in un contesto in cui i benefici economici derivanti dalla crescita urbana sostenevano non solo i suoi promotori, ma anche la stessa amministrazione e l’economia nel suo complesso, in particolare il settore bancario.
La progressiva disarticolazione del modello urbano concepito dal piano del 1984 è dimostrata anche dalla perdita di coesione delle sue componenti principali. L’equilibrio tra i frammenti che hanno caratterizzato l’edificazione del territorio metropolitano e la struttura urbana principale si è progressivamente indebolito ed è stato radicalmente spazzato via dal piano del 2003. Le previsioni di questo strumento hanno distrutto il modello spaziale radiocentrico che forniva coesione alla crescita urbana pianificata, dando vita a un piano senza forma, completamente assorbito dalla volontà di offrire suolo al mercato fondiario e immobiliare in una sorta di insana competizione con i comuni limitrofi e ignorando del tutto le condizioni del territorio. Allo stesso modo, la trasformazione, anche indotta, di alcune enclave industriali, militari e ferroviarie interne alla città viene affrontata con un’analoga logica frammentaria, ignorando tanto i possibili effetti sull'ambiente circostante quanto le relazioni funzionali con la struttura urbana complessiva. La “Città della Comunicazione”, che consisteva nella costruzione di un Museo del Cinema e di altri importanti edifici pubblici circondati da nuove aree residenziali, direzionali e commerciali (pp. 265-271), e il “Piano Rogers”, finalizzato a finanziare l’operazione di interramento della ferrovia attraverso una notevole quantità di edilizia residenziale e terziaria (pp. 273-283), sono chiari esempi di un approccio disorganico incapace di dare corpo a un progetto coerente per l’intera città nei suoi rapporti territoriali. Un approccio che, purtroppo, ha caratterizzato anche il periodo 2012-2020, arco temporale in cui è stato modificato nuovamente il piano della città vallisoletana, determinando una condizione urbana e territoriale difficile da rimediare.
Federico Camerin
Note
1) Per un parallelismo tra le correnti riformiste dell’urbanistica in Italia e Spagna si rimanda a Álvarez Mora A., Camerin F. (2018), “L’urbanistica italiana recente e le sue ripercussioni in Spagna: razionalizzazione, riforma e controriforma. A proposito del pensiero di Federico Oliva”, Urbanistica, 70(161), 24-40 ed alla presentazione “Homenaje a Giuseppe Campos Venuti, el Urbanista Reformista”, https://vimeo.com/385711956. Vedasi anche il contributo di Luca Marescotti in questa rubrica “L’urbanistica innanzitutto”, https://www.casadellacultura.it/1265/l-urbanistica-innanzitutto.
2) Nella versione spagnola di Urbanistica e austerità, ossia Urbanismo y austeridad pubblicata da “Siglo XXI de España Editores”, Campos Venuti afferma nell’introduzione (pp. 1-5) che Spagna e Italia sono realtà socio-politiche in cui la rendita urbana ha un ruolo maggiore rispetto a altri paesi europei perché nella struttura economica di queste due nazioni le concezioni speculative e parassitarie prevalgono con più forza nelle politiche urbane e territoriali.
3) Rivas Sanz, J. L. de las (2004), “El papel de la planificación urbana en la ciudad sostenibile: viejas ideas para problemas nuevos”, in Álvarez Mora, A., Valverde Díaz de León F. (Eds.), Ciudad, territorio y patrimonio: materiales de investigación II (pp. 73-91), Puebla-Valladolid: Universidad Iberoamericana de Puebla-Universidad de Valladolid.
4) Il piano regolatore di Valladolid fu menzionato nell’esposizione “10 años de planeamiento urbanístico en España: 1979-1989” editato dall’Instituto del Territorio y Urbanismo (MOPU) e lo Iuav di Venezia nel 1989, attirando l’attenzione di studiosi di urbanistica come Manuel de Solà-Morales nell’articolo “Valladolid: la constante reforma de crecer sobre sí misma” (UR: revista de urbanismo, 1, pp. 2-19, 1985).
N. d. C. - Federico Camerin, dottore in pianificazione urbana nel 2014, ha conseguito nel 2020 il doppio titolo di dottore di ricerca nell’ambito dell'European Joint Doctorate “urbanHist” presso le Università UVA di Valladolid e BUW Bauhaus-Universität Weimar. È stato assegnista di ricerca post-doct presso l’Università Iuav di Venezia (2021), ha insegnato nella stessa università, presso la Fakultät Architektur und Urbanistik di Weimar (2018) e l’Universidad Politécnica de Madrid (2022). Ha inoltre svolto seminari didattici e conferenze presso università, associazioni e enti pubblici in Germania, Italia, Messico, Repubblica Ceca e Spagna.
Attualmente è ricercatore “Margarita Salas” presso l’Universidad de Valladolid – Universidad Politécnica de Madrid, Departamento de Urbanística y Ordenación Territorial (Grupo de Investigación en Arquitectura, Urbanismo y Sostenibilidad, GIAU+S) e ha scritto questo testo nell’ambito del progetto – cofinanziato dal Ministerio de Universidades all’interno del Piano per la Ripresa dell’Unione Europea NextGenerationEU e dall’Universidad de Valladolid – “La Regeneración Urbana como una nueva versión de los Programas de Renovación Urbana. Logros y fracasos”.
Tra i suoi libri: Asuntos y debates en torno a las instalaciones militares en abandono. una reseña en perspectiva internacional (Maggioli, 2021); con F. Gastaldi: Aree militari dismesse e rigenerazione urbana. Potenzialità di valorizzazione del territorio, innovazioni legislative e di processo (LetteraVentidue, 2019).
Per Città Bene Comune ha scritto: La città tra mercato e gentrificazione (22 novembre 2019); La città è davvero al tramonto? (4 dicembre 2020); L’urbanistica contratta fa bene allá rendita (4 novembre 2021).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri
R.R.
© RIPRODUZIONE RISERVATA 28 LUGLIO 2023 |
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