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L'ORDINE NECESSARIO DELL'ARCHITETTURA
Commento al libro di Renato Capozzi
Federica Visconti
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Non so se questo testo possa definirsi propriamente una ‘recensione’: d’altra parte ho intuito che una certa libertà di interpretazione mi fosse concessa in relazione al ‘senso’ di questo intervento per Città Bene Comune e ne sono lieta. Perché il libro di Renato Capozzi Sull’ordine. Architettura come cosmogonìa (Mimesis, 2023) è un libro difficile e quindi non è facile parlarne. Per questa ragione ho deciso di farlo dopo aver partecipato a due sue presentazioni, avvenute entrambe il 1° giugno 2023, presso le Università IUAV di Venezia e degli Studi di Udine, organizzate rispettivamente dai colleghi e amici Martino Doimo e Claudia Pirina, alle quali ho preso parte come discussant, nel primo caso con Marco Ferrari e Sara Marini – coordinatrice della unità di ricerca “TEDEA_Teorie dell’architettura, immaginari del reale e latenze figurate” – nel secondo con Giovanni Comi e Luca Taddio, alla gentile presenza di Alberto Sdegno, presidente dei Corsi di Laurea in Architettura, nell’ambito delle iniziative Architettura Udine Venti per il ventennale di Architettura a Udine. Le due discussioni sono servite a ritornare sui contenuti del libro a quasi un anno dalla sua lettura, avvenuta nella sua prima stesura, e hanno quindi aiutato a vederlo un po’ meno dal suo interno.
Provo, in ogni caso, con ordine, a sintetizzare preliminarmente contenuti e struttura del libro.
Sull’Ordine si compone di una Premessa e tre capitoli, ognuno a sua volta articolato in quattro paragrafi. Ogni ‘porzione’ è introdotta da un bottello: un disegno a sinistra e alcune citazioni a destra. Alla Premessa – mi pare di poter affermare – è affidato il compito di chiarire il significato del sottotitolo Architettura come cosmogonìa a partire dalla dualità Kháos/Kósmos per cui non si dà ordine senza disordine e l’Architettura è l’Arte costruttrice di un ordine che si oppone al diveniente àpeiron. Il Capitolo 1 si assume l’onere di discutere il significato del termine Ordine a partire dalla sua etimologia, passando per i significati che esso assume in differenti scienze, discipline e in quasi tutti i campi dello scibile umano, per poi discuterne il senso profondo in relazione a due questioni, quella del desiderio e quella degli archetipi. È qui che l’autore affonda convintamente e con appropriatezza in campo filosofico, prima distinguendo tra bisogno e desiderio – per cui l’ordine sarebbe in realtà una condizione alla quale tendere come ‘missione civile’ inevitabilmente destinata a restare incompleta ma, d’altra parte, necessaria – e poi tornando a un suo consolidato tema, già affrontato in precedenti lavori, quello degli archetipi. Quello che si reifica nelle opere, questa la tesi, è sempre evidenza nel reale di un ordine ideale che è altrove e preesiste, appunto negli archetipi quali, secondo Jung, strutture soggiacenti e innate all’inconscio collettivo. Il Capitolo 2 su Gli Ordini dell’Architettura discute l’ordine costruttivo non come mero ‘fatto tecnico’ ma come premessa di un ordine dia-logico che sia capace di rendere espressive di valori – e quindi architettoniche – le forme della costruzione; l’ordine architettonico, quindi, viene proposto come ordine sintattico, capace di rendersi intellegibile mentre l’ordine urbano, si realizza, infine, pur nella sua complessità e nel suo incessante divenire, come condizione necessaria per il vivere umano. L’investigazione su questi ‘ordini’ è preceduta da un paragrafo che discute l’assunto kantiano sulla Dottrina Trascendentale del Metodo per la quale Kant conia la definizione di Architettonica, termine che, tra virgolette, dà il titolo al testo introduttivo del capitolo. Da qui in poi, almeno per gli architetti, la strada è un po’ più in discesa perché se è vero che il titolo del Capitolo 3 Architettura come Ordine si precisa ulteriormente in “Architettura, ipostasi dell’ordine”, i paragrafi successivi assumono due maestri indiscussi del Novecento, Louis Isadore Kahn e Mies van der Rohe, come esemplari ‘campioni’ di tale proposizione ma, nell’evidenziarne le differenze – negli esiti formali e, in misura minore ma non irrilevante, nel pensiero – si comprende come lo stesso autore riconosca e legittimi in realtà l’esistenza di più modi, plurali, dell’ordine in Architettura. Come Renato Capozzi ha affermato nelle due presentazioni del suo libro citate in apertura, l’ultimo paragrafo “Ordine come ricerca” avrebbe potuto intitolarsi anche “Il futuro dell’ordine”: aggiungo io riprendendo in ciò una ‘abitudine’ che aveva visto “Il futuro del riparo” e “Il futuro dell’ipostilo” concludere due suoi importanti, precedenti lavori. Mi riferisco a L’idea di riparo (Clean, 2013) e a L’architettura dell’ipostilo (Aión, 2016): come a dire che un libro si scrive per rispondere a una necessità – forse anche a un desiderio – di sistematizzare il proprio pensiero su un tema o una questione ma bisogna anche interrogarsi sulla sua ‘utilità’ intesa come possibilità di stabilire una progressività del pensiero e, in Architettura, anche del nostro operare nel mondo.
Terminato quindi il libro con Bibliografia e Indice dei nomi – come si addice a un testo che abbia una sua fondatezza – posso tentare finalmente qualche considerazione.
Parto da Kahn e Mies sui quali, nel 2019, con Renato Capozzi avevamo condiviso la scrittura di un piccolo libro (Kahn e Mies. Tre modi dell’abitare, Clean 2019) nel quale i due Maestri – rispettive ‘ossessioni’ sin dai nostri studi dottorali – erano stati trattati più che altro ‘per differenza’: ‘architetto romano’ l’Estone di Philadelphia non soltanto nella predilezione per la costruzione continua muraria ma anche degli spazi conchiusi dell’internità, ‘architetto greco’ quello nato ad Aquisgrana che, privilegiando la costruzione elementarista, negli Stati Uniti aveva scoperto la possibilità di mettere in relazione dialogica lo spazio interno con quello illimitato della Natura. Nel tempo i due Maestri ci sono apparsi via via meno distanti ed ecco che ora i due si re-incontrano nelle pagine del libro di Renato Capozzi: eponimo Mies di un ordine assoluto che l’autore ha altrove definito universale (R. Capozzi, Lo spazio universale di Mies, LetteraVentidue, Siracusa 2020), rappresentativo Kahn, nella sua amplissima produzione, di differenti modi dell’ordine descritti dal punto di vista delle procedure compositive, tutte a partire da una τάξις cui si antepongono, a seconda dei casi, diversi prefissi (παρά, ὑπό, σὺν). Ma tralasciando per un attimo le loro opere ‘ordinate’, sul piano teorico la riflessione di Kahn sul tema dell’Ordine è stata – io credo – per Renato Capozzi una scoperta in quanto essa, in qualche misura, si ricollega a un altro tema a lui caro: quello degli archetipi o forse meglio dell’origine in cui l’Ordine, per Kahn come per Capozzi, ha sede come principio astratto che trova la sua reificazione attraverso il progetto cui compete – nel pensiero di Kahn – realizzare (nel senso esatto di rendere reale) la composizione, che alberga nella mente del progettista e per la quale Kahn usa la parola Form, sempre con la maiuscola, in un interessante paragone con il processo compositivo della musica che rende quella suonata prima mutamente nella mente del compositore, poi suono ascoltabile anche da altri.
Un'altra questione, solo apparentemente laterale, riguarda l’apparato iconografico di questo libro: scarno ma significativo. Pochi disegni, tutti ‘commissionati’ da Renato Capozzi al suo – e mio – allievo Gennaro Di Costanzo cui è stata data soltanto la struttura del libro e il titolo dei capitoli. Ne sono venute fuori cinque tavole a china su carta che dimostrano una certa capacità immaginifica e lasciano intendere, nella ricchezza di segni che sembrano alludere a una dialettica tra Architettura e Natura – forse ancora tra Kháos e Kósmos –, che possano stabilirsi significative relazioni con le citazioni testuali collocate nella pagina affiancata. Dunque, un contemporaneo Demiurgo, forza ordinatrice nel mito platonico, è forse quella scimmia che, senza sforzo, era diventata uomo ma avrebbe poi disgregato l’atomo nella citazione di Raymond Queneau. La macina del tempo evoca e trae ispirazione probabilmente dall’omonimo libro di poesie di Antonio Siciliano che, nella quarta, parla di versi senza obbligo di scadenza, fedeli soltanto ad un solido dettato etico e poetico: parole che sembrano attagliarsi anche ai versi della Commedia dantesca che affianca il disegno con le terzine che, nelle parole di Beatrice, descrivono l’ordinata armonia del Paradiso. Naturalmente è ordine architettonico anche la Commedia in sé che, come nei Nove saggi danteschi, Jorge Luis Borges ebbe a scrivere, nascono, di nuovo, da una necessità fattasi desiderio se è vero che Morta Beatrice, perduta per sempre Beatrice, Dante giocò con la finzione di ritrovarla per mitigare la tristezza; io personalmente [dice Borges] penso che abbia edificato la triplice architettura del suo poema per introdurvi quell’incontro. Terzo disegno è Misura del cielo dove, citando stavolta Hermann Broch, con l’architettura l’uomo aspira a vincere il tempo innalzando l’ordine nello spazio e nella relativa Tavola è l’architettura ipostatizzata nella casa a rappresentare l’ordine nello spazio del cielo che misura. La Casa del cacciatore celeste torna a citare un libro – quello con l’omonimo titolo di Roberto Calasso – di storie e miti legati a un luogo tra Sirio e Orione, e si torna quindi a citare un libro sulle origini. Se per Calasso senza metamorfosi in qualcos’altro, l’homo sarebbe rimasto un essere tra tanti, così il disordine e l’arbitrio inziali, nelle parole di Francesco Venezia, sarebbero rimasti tali senza la ‘metamorfosi’ imposta dall’ordine dell’architettura, attraverso misura, proporzione e geometria. Infine – mi si passi la battuta – sono le gole infernali dell’Acheronte quelle che si devono attraversare tra i 302 testi in Bibliografia e i 347 nomi del relativo Indice ma, tutto sommato e se si vuole, ci si può limitare qui a guardare la Tavola di Di Costanzo, forse la più ‘ordinata’ – e bella – di tutte. Altri due disegni, a dirla tutta, completano l’apparato iconografico del libro. Il primo è l’unico disegno di Renato Capozzi – che pure sovente con il disegno si esprime –, bozzetto dell’opera Ex inferis ad astra, progetto di un Danteum verticale per la mostra Città di Dio. Città degli uomini. Architettura dantesche e utopie urbane, a cura di Luigi Gallo e Luca Molinari, allestita nel 2021 nel Palazzo Ducale di Urbino cui, di recente, Gennaro Di Costanzo e Claudia Sansò hanno dedicato un piccolo booklet (Architetture per la Divina Commedia. Un Danteum verticale, Clean, Napoli 2023) e che riafferma l’ordinata costruzione del poema dantesco. Il secondo è in copertina: è la Casa voragine – di nuovo Ordine e Caos – rappresentata nel pregevole quadro materico del pittore-architetto Emilio Schiavoni cui invece una mostra sarà a breve dedicata nel Dipartimento di Architettura di Napoli (catalogo a cura di Federica Visconti e Renato Capozzi, Emilio Schiavoni. Case in blocco, Clean, Napoli 2023) .
Un’ultima considerazione la propongo sulla attualità/utilità/originalità di questo libro, anche contro alcune, forse un po’ veloci, considerazioni recenti (mi riferisco all’articolo di Manuel Orazi su “Il Foglio quotidiano” del 6 giugno dal titolo L’architettura dei professori), seppure precisando che non ritengo affatto la triade citata elemento, univocamente e meccanicamente, qualificante di un testo accademico (che anche qui preciso non è, almeno per me, una brutta parola). Non era affatto scontato che, in un libro così solidamente attestato su un piano di ragionamento teorico, dopo l’ordine costruttivo e quello architettonico si proponesse di discutere anche un ordine urbano, con un affondo nella realtà dei contesti del nostro vivere: e invece l’autore non solo lo fa ma è questo ordine che sembra addirittura diventare centrale in quell’ultimo paragrafo che, come detto, tratta, pur senza citarlo, del ‘futuro dell’ordine’. Se le città nelle quali viviamo sono l’accumulazione fisica e reale nel presente del tempo lungo della storia, l’Ordine sembra poter rappresentare un dispositivo che permette di conoscere, guardandoci indietro, ma anche di progettare – pro-jacere – gettare in avanti: senza di esso non c’è possibilità, di fronte alla complessità del reale, di comprendere i tanti sistemi d’ordine che, dei nostri contesti urbani – ma si potrebbe dire anche territoriali –, costituiscono la densa stratificazione né di agire senza rinunciare, seppure con responsabilità, a stabilirne di nuovi. Per questo l’Ordine è necessario.
Federica Visconti
N.d.C. – Federica Visconti è professore associato di Composizione architettonica e urbana all’Università degli Studi di Napoli Federico II (Dipartimento di Architettura). È stata coordinatore del Corso di Laurea Triennale in Scienze dell’Architettura del DiARC di Napoli e membro del Collegio dei docenti del dottorato in Architettura e Costruzione_DrACo della Università La Sapienza di Roma (dal XXXIII ciclo). È membro di numerosi comitati scientifici e editoriali e pratica il progetto attraverso la partecipazione a concorsi e occasioni accademiche, attività per la quale ha ricevuto premi e riconoscimenti nazionali e internazionali.
Tra i suoi libri: con Angela D'Agostino e Uberto Siola (a cura di), La cultura del progetto. Scritti in onore di Luigi Pisciotti e Dante Rabitti (L'Aquilone, 2003); con Marella Santangelo, Progetto e trasformazione della città (Edizioni Scientifiche Italiane, 2005); con Marella Santangelo (a cura di), La trasformazione delle aree periferiche nella dimensione metropolitana della città. Il caso-studio di Napoli Est (Edizioni scientifiche italiane, 2006); con Renato Capozzi (a cura di), Fabio Reinhart. Architetture per la città (Edizioni Scientifiche Italiane, 2007); con Renato Capozzi e Giovanna Procaccini (a cura di), Max Dudler. Architetture per la città (Edizioni scientifiche italiane, 2007); con Renato Capozzi (a cura di), Architettura razionale. 1973-2008 (Clean, 2008); con Renato Capozzi (a cura di), Idee e progetti per il centro storico di Napoli. Progetti contemporanei per la città storica (Edizioni Scientifiche Italiane, 2008); con Renato Capozzi (a cura di), Walter A. Noebel. Architetture per la città (Edizioni scientifiche italiane, 2008); con Renato Capozzi (a cura di), Jan Kleiheues. Architetture per la città (Edizioni scientifiche italiane, 2009); (a cura di), Uberto Siola e associati. Opere e progetti 2001-2008 (Skira, 2009); con Helena Feldmann e Renato Capozzi, Napoli-Dusseldorf. Città & porto : 5 progetti (Edizioni scientifiche Italiane, 2010); con Renato Capozzi e Adelina Picone (a cura di), Archeourb. Archeologia e città (Clean, 2011); con Renato Capozzi (a cura di), Uberto Siola. Lezioni di architettura urbana (Clean, 2011); con Renato Capozzi e Camillo Orfeo (a cura di), Maestri e scuole di architettura in Italia. Ernesto Nathan Rogers: Milano; Giuseppe Samonà: Venezia; Ludovico Quaroni: Roma (Clean, 2012); (a cura di), Il razionalismo italiano. Storia, città, ragione (Aracne, 2013); L'architettura della strada. Un atlante italiano (Giannini, 2014); con Uberto Siola (a cura di), Esperienze sulle aree metropolitane (Giannini, 2014); con Renato Capozzi (a cura di), Saper credere in architettura. Trentatré domande a Antonio Monestiroli (Clean, 2014); con Renato Capozzi (a cura di), Franco Purini. Tauns 2015 (Clean, 2015); con Oana Diaconescu (a cura di), I limiti dell'intervento. L’orizzonte oikologico dell'architettura (Edizioni scientifiche italiane, 2016); con Renato Capozzi e Gustavo A. Carabajal, Meridiani paralleli. Studi e progetti su Napoli e Rosario (Aión, 2017); Pompeji. Città moderna (Ernst Wasmuth, 2017); con Renato Capozzi, Capozzi Visconti. 10 architetture : 2013-2018 (Aión, 2018); con Renato Capozzi, Forme dell'abitare e forme dello spazio pubblico. Progetti per Favignana tra terra e mare, a cura di Claudia Sansò (Aión, 2018); con Renato Capozzi e Gaetano Fusco, Pausilypon. Architettura e paesaggio archeologico (Aión, 2018); con Renato Capozzi (a cura di), Uwe Schröder: quid pro quo. Progetto per il padiglione Germania a Venezia (Clean, 2018); Aule sacre. Edifici di culto per la ricomposizione urbana di Barra, a cura di Claudia Sansò (Aracne, 2019); con Renato Capozzi, Kahn e Mies. Tre modi dell’abitare (Clean, 2019); con Renato Capozzi (a cura di), Paolo Zermani. Architettura e tempo. La ricostruzione del castello di Novara (Clean, 2019); con Renato Capozzi e Gaetano Fusco (a cura di), Villa Jovis. Architettura e paesaggi dell'archeologia (Aión, 2019); (a cura di), Napoli inclusiva (Thymos Books, 2020); con Renato Capozzi e Norberto Feal (a cura di), Dieci opere di architettura moderna in Argentina, 1927-1963 (Clean, 2022); con Renato Capozzi (a cura di), La costruzione della forma urbana tra architettura e città (Il poligrafo, 2022); Esercizi di analogia. Citazione, variazione, riferimento (Thymos Books, 2022); con Renato Capozzi e Camillo Orfeo (a cura di), Gino Malacarne. Paesaggi urbani (Clean, 2023); (a cura di), Houses and the analogy. Learning from Pompeii (view from the north) (Thymos Books, 2023).
N.B. I grassetti nel testo sono nostri.
R.R. © RIPRODUZIONE RISERVATA 21 SETTEMBRE 2023 |
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